L’uso delle rappresentazioni spaziali come forma visiva immediata, base di discussione e veicolo di pos- sibili decisioni future è stato indagato da vari autori: Neuman (1996), Faludi (1996), Gabellini (1996), Duhr (2006) e Zonneveld (2008).
Nei processi di pianificazione spaziale la rappresentazione del territorio e delle politiche che agisco- no su di esso, sotto forma di immagini più meno concettuali, è un elemento essenziale (Duhr, 2007). Infatti, le immagini giocano un ruolo rilevante nei processi decisionali sia come elemento di supporto delle scelte che come mezzo di comunicazione capace di: «[…] attivare nella società eventuali risorse disponibili per ridiscutere la realtà» (Gabellini, 1996, p. 11).
L’immagine in quanto costrutto sintetico rispetto ad un testo riesce ad incorporare punti di vista diffe- renti e porsi come luogo di mediazione di interessi contrastanti (Healey, 1997). L’immagine lascia spazio all’interpretazione del singolo ed è accessibile a prescindere dal contesto culturale di provenienza. Tuttavia, proprio in virtù delle sue qualità comunicative può anche avere effetti distorcenti all’interno dei dibattiti (Neuman, 1996). Le rappresentazioni cartografiche, in quanto prodotto di un processo di pianificazione spaziale, non comunicano in modo “passivo” ma definiscono ambiti di attenzione e di azione contribuendo attivamente alla costruzione di politiche, agende, progetti. Così: « The decision on what should be ‘put on the map’, and how it is going to be presented, opens up great potential to 10 Retorica intesa non solo come l’arte del parlare bene, ma soprattutto come arte di persuasione che utilizza in modo efficacie forme di argomentazione.
L’approccio del Regional Design
shape discourse, to empower some parts of the public or the territory, and to disadvantage others» (Duhr, 2007, p.1).
Nei processi di costruzione del piano si possono individuare molteplici approcci comunicativi, che va- riano in conformità all’osservatore verso cui è diretto il messaggio e in base alla tipologia di contenuto (se rappresentativa dello stato di fatto o della proposta di progetto). Per orientarsi nella pluralità di linguaggi Gambino (2000) propone una tassonomia delle rappresentazioni, dedotta rispetto all’intento comunicativo, individuando tre tipologie: i) le rappresentazioni con funzione regolativa a livello giuridi- co, ii) le rappresentazioni tese a delineare orientamenti strategici condivisi tra una pluralità di attori e iii) le rappresentazioni con funzione argomentativa e di supporto alla discussione.
Tale classificazione è ripresa e riletta da Lucchesi (2007) che distingue rappresentazioni prescrittive, illustrative ed esplorative dei futuri possibili, ponendo particolare attenzione alle: «[…] implicazioni di efficacia connesse alle diverse funzioni [che] possano condizionare le modalità operative della co- struzione delle immagini» (Lucchesi 2007: 48). A seconda delle funzioni e dell’efficacia comunicativa prefigurata, quindi, sono utilizzate tecniche e modalità illustrative diverse.
Talvolta le immagini sintetiche, anche sotto forma di metafore, riescono a concettualizzare ed espli- citare al meglio analisi o progetti complessi. Un esempio è la nota metafora della “Blue Banana”: un “semplice” diagramma con un altrettanto “semplice” nome sono riusciti a sintetizzare le aree di forza dello spazio europeo.
Questa immagine, sebbene molto criticata per il suo approccio semplicistico, ha saputo cogliere le potenzialità della rappresentazione e dell’uso di un concept facilmente comunicabile; in special modo
La “Blue banana” o dorsale europea in Duhr, S. (2007) The Visual Language of Spatial Planning: Exploring Cartographic Representations for Spatial Planning in Europe, Routledge, London.
in un contesto in cui lo sviluppo urbano e regionale talvolta ha oltrepassato anche i confini nazionali, oltre che quelli municipali. Nel processo di definizione delle strategie per lo spazio europeo, l’European Spatial Development Perspective (ESDP), l’uso delle immagini è stato molto dibattuto poiché queste po- tevano essere motivo di conflitto, soprattutto per il ruolo assunto dalle rappresentazioni nelle diverse culture di pianificazione europee. Ad esempio, la capacità dei sistemi di pianificazione nordeuropei di incorporare forme di raffigurazione, spatial vision, è considerato un vantaggio nella definizione di stra- tegie comunitarie (Janin Rivolin,2004). Questo a sottolineare il potere delle rappresentazioni.
Prima ancora che nel dibattito sullo spatial planning europeo la forza delle rappresentazioni era già stata messa in luce a partire dalle esplorazioni di futuro conseguenti alle crisi energetiche degli anni Settanta del Novecento. In questo periodo emerge una nuova attenzione rivolta al futuro come luogo dell’incertezza si esplicita nell’emergere di alcune tematiche globali; queste si delineano come que- stione ambientale, declinata come preoccupazione per il futuro del pianeta, e la grande tematica della fine del moderno che porta con sé trasformazioni sociali, economiche e culturali. Negli anni ’60-‘70 si diffonde negli Stati Uniti la futurologia come scienza che dovrebbe prevedere con approccio scientifico il futuro12. Con l’approccio di questa disciplina sono redatti alcuni studi che mettono in discussione l’i- dea di crescita continua e illimitatezza delle risorse (Towards the year 2000, Limits to growth, Thinking the Unthinkable). Questi studi si basano sull’elaborazione di scenari per analizzare gli eventi futuri13. In un contesto contraddistinto da una grande attenzione rivolta al futuro le rappresentazioni diventa il mezzo per proiettare sul presente ipotesi del divenire, le immagini prodotte influenzano il futuro stesso attraverso la loro capacità di stimolare un dibattito e portare a riconsiderare le azioni in atto che plasmano l’avvenire14.
La costruzione delle rappresentazioni possibili diventa descrizione, proiezione, concreta di situazioni future che delineano tendenze di lungo periodo, e si pongono come complementari alla descrizione degli avvenimenti e quindi al disegno di breve periodo.
La rappresentazione diventa elemento centrale per sollecitare l’azione poiché le immagini «contribu- iscono a rendere il futuro stesso oggetto di conoscenza, di discussione e di costruzione possibile» (Vi- ganò,2008, p. 16); costruzione condivisa fra una molteplicità di attori.
Le diverse tipologie di rappresentazione del futuro hanno origine comune nell’ incertezza e nella com- plessità delle trasformazioni dei territori contemporanei, ma un diverso atteggiamento verso il futuro e verso la sua costruzione e immaginazione.
I modi di pensare il futuro possono impiegare «costruzioni tecniche e retoriche di diverso tipo: dal visioning, la descrizione di un futuro desiderato sulla base di un processo di scambio e di condivisione con gruppi di cittadini interessati, al forecasting che indaga le probabilità, allo scenario che esplora le possibilità.» (Viganò, 2008, p.16). Questi termini spesso sono associati e sovrapposti in modo disorien- tante, seppur nel costrutto teorico disciplinare sono contraddistinti da una connotazione specifica e autonoma.
Nel contesto europeo largo spazio troveranno elaborazioni progettuali e teoriche sull’uso degli scenari e delle vision intese come rappresentazioni sintetiche e condivise del futuro di una regione.
12 Recentemente ripresa all’ interno dei Future Studies e della Project Anticipation come campo di attività orientato all’azione. La project anticipation mira ad innescare un possibile cambiamento interagendo con gli attori
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La costruzione di scenari, scenarios building, è contestuale alla crisi degli anni ’70 ed esempio ne sono le ricerche condotte dalla DATAR- Délégation à l’Aménagement du Territoire et à l’Action Régionale (Commissione per la pianificazione del territorio e per l’intervento regionale) che hanno portato alla realizzazione di “grandi immagini” del territorio francese. Con il supporto del gruppo Omnium techni- que d’aménagement (OTAM) furono realizzati scenari esplorativi del futuro contrapponendo tendenze possibili o plausibili con estremizzazioni che portavano alla creazione di “scenari dell’inaccettabile”, questo per stimolare riflessioni sulle azioni da intraprendere nel presente.
In ambito italiano la tecnica dello scenario è stata indagata da più autori sia nelle esperienze di ricerca sia nella pratica professionale (Secchi 2003; Magnaghi 2007; Gabellini 2010).
Fin dagli anni Sessanta la tecnica dello scenario è utilizzata da Giovanni Astengo come mezzo di previ- sione dell’immagine futura su cui strutturare il percorso progettuale del piano. Esempio sono i piani di Genova e Bergamo. A Genova vengono delineate quattro diverse ipotesi di sviluppo definite marginali e strutturali. Le prime due ipotesi acquisiscono e razionalizzano le tendenze in atto, mentre le seconde delineano uno sviluppo futuro basato su un nuovo modello socioeconomico. Gli scenari elaborati sono improntati su: «quattro tipi diversi di città e quattro sinergismi di attività economiche» e obbligano l’amministrazione a scegliere tra due diversi atteggiamenti di scelta politica urbanistica: «uno più re- missivo di fronte alle tendenze in atto, l’altro più incisivo nelle decisioni e nelle attuazioni» (Astengo, 1966 in Di Biagi,2012p. 56). Quindi lo scenario si pone come visualizzazione di alternative che sotten- dono precise scelte economico-politiche. Nel piano di Bergamo, invece, gli scenari vengono usati con valenza comunicativa, per informare gli attori rispetto alle scelte da intraprendere, e valutativa rispetto agli effetti e alla relazione costi/benefici. Attraverso l’utilizzo degli scenari il piano non si limita ad asse- condare le tendenze in atto ma diviene: «pre-visione di profonde modificazioni, un’immagine del futu- ro che, orientando gli sguardi, le speranze e le attese, è in grado di imporsi nel presente e trasformarlo» (Di Biagi, 2012, p. 57).
Nell’esperienza di Secchi gli scenari hanno valenza di argomentazione rispetto alle scelte possibili, sono definiti come racconti in cui si rappresenta il futuro ipotetico del territorio (“what will happen if…”) per una molteplicità di tematiche con la finalità di generare un dibattito sulla definizione di strategie future e produrre conoscenza. Solitamente nell’azione progettuale, come nei lavori compiuti per i piani di An- versa e Mosca, Secchi elabora varie tipologie di scenario, fra cui lo scenario tendenziale, come sviluppo delle tendenze in atto e con accezione negativa, e lo scenario desiderabile, che può essere singolo o plurimo. La contrapposizione degli scenari, come contrapposizione di due idee di futuro possibile, ha la finalità di aumentare la consapevolezza delle scelte rispetto alle opportunità di sviluppo, oltre a rende- re esplicita la responsabilità dei singoli attori verso la costruzione di un progetto. Gli scenari si pongono come base scientifica per il controllo di ciò che è possibile o impossibile, attraverso il controllo avviene la scelta e la legittimazione di azioni e progetti che andranno poi a comporre le vision progettuali. Nel lavoro di Magnaghi ˗esplicitato dallo stesso nella ricerca Prin “La costruzione di scenari strategici per la pianificazione territoriale: metodi e tecniche” (2003-2005)̶ lo scenario ha valenza cognitiva e progettuale nel “progetto di territorio”, nonché una forza comunicativa capace di sollecitare la parteci- pazione degli abitanti alla trasformazione dei propri luoghi di vita. Gli scenari della scuola territorialista si presentano come immagini raffiguranti la messa in valore dei giacimenti patrimoniali dei territori di progetto, con approccio multiscalare e multisettoriale. Lo scenario disegnato diventa un’immagine-ma- nifesto, con proprie qualità estetiche, che cerca di sintetizzare progetti di natura diversa: «[…] propon- gono “visioni” del territorio che esprimono una tensione utopica[…] fra la visione di un futuro di un luogo, collocabile in tempi lunghi, e pratiche quotidiane degli abitanti che contribuiscono alla crescita di “coscienza di luogo”,la quale a sua volta induce azioni e saperi per la cura del territorio e dell’ambien- te» (Magnaghi, 2007, p. 9). Quindi, gli scenari strategici si pongono come elemento complementare ai testi all’interno di una più ampia visione olistica di un dato territorio.
Patrizia Gabellini, che ha compiuto un’approfondita indagine sul tema della rappresentazione dei piani, parte dal presupposto che scenario, visione e immagine, pur essendo utilizzati in modo interscambiabi- le, hanno una loro connotazione specifica e autonoma. In particolare, soffermandosi sul primo termine la studiosa dichiara che: «Scenario è parola che ricorre in campi diversi e può assumere, di volta in vol- ta, significati spostati sul versante della conoscenza e su quello dell’azione» (Gabellini, 2010, pag. 86). La tecnica dello scenario acquisisce, perciò, valori diversi nei vari autori e come evidenziato da Gabellini (2010) spesso questo termine, data la sua natura polisemica, viene utilizzato in maniera interscambia- bile con i termini visione e immagine. Come evidenzia Secchi nei “Diari”: «alcune di queste immagini hanno assunto i connotati di possibili punti di fuga dal presente proposti in modi evasivi; altre quelli di mere rappresentazioni di trends in atto; altre quelli di percorsi argomentati e suggeriti a collettività più o meno vaste, altre ancora hanno assunto i connotati di visions, di rappresentazioni spesso allusive dell’insieme delle domande e dei desideri che percorrono a diverse profondità la società; altre infine quelli di veri e propri scenari, di tentativi cioè di indagare “cosa succederebbe se…”»15.
Quello che interessa sottolineare è che se definiamo lo scenario come forma di pre-visione di possibili- tà, quindi come elemento insitamente multiplo, appare evidente che spesso quello che viene definito scenario strategico si avvicina più ad una forma di vision, un’immagine condivisa di un futuro deside- rato. Allo stesso tempo è possibile osservare come, spesso, l’utilizzo degli scenari sia parte integrante dei processi visioning.
Come già detto l’uso del termine vision ha assunto una pluralità di significati riferiti a diverse modalità di elaborazione e rappresentazione di futuri possibili ed è stato utilizzato con diverse accezioni nel con- testo europeo e nordamericano. Ad esempio, nella tassonomia delle parole visioning e vision proposta da Shipley e Newkirk sono stati individuati più di venti significati diversi.16
Sembra utile distinguere l’utilizzo del termine nel contesto nordamericano e in quello europeo.
Propri del contesto nordamericano sono i processi di community visioning o visioning process, che si diffondono negli anni ’80 nell’ambito della pianificazione a lungo termine delle aree metropolitane.17 L’uso dei visioning process in questo contesto trova origine nella crisi della città, dispersa sul territorio, infatti questa pratica viene spesso utilizzata per pianificare aree vaste, la regione metropolitana, supe- rando i confini amministrativi.
Altro elemento che denota l’elaborazione di vision è l’incertezza della società frammentata e multi- culturale, incertezza cognitiva rispetto all’avvenire e rispetto alla pluralità dei valori. L’incertezza viene affrontata con approccio pragmatico, attraverso il processo di elaborazione del piano si produce cono- scenza e si delineano i valori attraverso l’interazione fra gli attori. In questo processo si guarda ai vari aspetti dello sviluppo della città: dimensione spaziale, economica, delle politiche pubbliche; elaboran- do uno strumento non prescrittivo che propone linee di intervento da sviluppare nel lungo periodo at- traverso un progetto-processo che coinvolge la comunità. Questa pratica ha avuto ampia diffusione nel contesto americano e il termine vision ha assunto oggi svariate declinazioni, ad esempio può indicare una grande immagine che racconta il futuro o un insieme di politiche di intervento.
15 Diary of a Planner by Bernardo Secchi, Planum 2002-2013, voce 10-Progetti, visions, scenari: http:// www.planum.net/diario-10-progetti-visions-scenari-bernardo-secchi
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La tassonomia proposta da Shipley, R.; Newkirk, R. (1999) Vision and visioning in planning: what do these terms really mean? Environment and Planning B, Vol. 26, No. 4, p. 573–591
Il community visioning non è un processo univoco «ma è possibile individuare una famiglia di espe- rienze di visioning omogenee perché caratterizzate da operazioni, fini e contenuti molto simili, spesso comuni» (Pellegrini, 2008).
I processi sono tendenzialmente lunghi (2-5 anni), aperto alla partecipazione e volti all’apprendimento e alla costruzione del consenso; si articolato in più fasi:
I- Delineazione delle condizioni presenti, delle dinamiche in corso e analisi delle scelte passate per definire la situazione attuale. Contestualmente vengono definite le questioni da affrontare e le scel- te da intraprendere attraverso la costruzione di consapevolezza nella comunità locali;
II- Definizione degli scenari come racconti, scritti o immagini, in cui si rappresenta il futuro prossimo del territorio mediante una conseguenza logica che parte dalla supposizione: “what will happen if…”.
Tale modalità configura un numero variabile di scenari proiettati in un orizzonte temporale distante, così da accentuarne la portata visionaria, e proiettare i conflitti sul lungo periodo, così da attenuarli; III- A partire dagli scenari desiderabili selezionati viene definita una vision, rappresentata come sin- tesi complessa dell’immagine collettiva del futuro desiderato, sfondo e contenitore per azioni di lungo periodo e molteplici tematiche. Questo documento non ha validità prescrittiva, ma si pone come documento programmatico condiviso su cui predisporre azioni puntuali e politiche.
Negli esempi nordamericani la vision si esplicita in un semplice testo dove vengono elencate le strate- gie da seguire:
VANCOUVER’S VISION
Birthplace of the Pacific Northwest, Vancouver is the heart of southwest Washington, connecting peo- ple and places throughout the region. The mighty Columbia River is the link to our past and a key to our future. We are a friendly city for all ages, incomes, abilities and backgrounds, with proud, unique neighborhoods. We are dedicated to preserving our heritage and natural beauty while welcoming the opportunities change brings to our lively metropolitan community. We are the most livable city in the Pacific Northwest. Residents and businesses across our city are passionate about building a safe, thriv- ing and sustainable community together.”
Vancouver Strategic Plan Community Vision, adopted in 2008
Visioning process in Bozzuto P., Costa A., Fabian L., Pellegrini P., (2009) (a cura di) Storie del futuro. Gli scenari nella progettazione del territorio, Officina Edizioni, Roma
In ambito europeo invece si fa alla vision come rappresentazione complessa e sintetica dell’imma- gine collettiva del futuro desiderato, sfondo e contenitore per azioni di lungo periodo e molteplici tematiche, in una dimensione di sviluppo regionale e territoriale (Mascarucci, 2004). Come mostrato in precedenza,l’elaborazione di visions si contestualizza nei processi di spatial planning, in cui le rap-
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p.154). La costruzione di immagini illustrate o mentali (ad esempio attraverso le metafore) uindinon sono un mero esito e prodotto finale rappresentativo della decisione, ma un elemento interattivo di discussione: «forme della raffigurazione […] capaci di svolgere un ruolo talvolta decisivo nei processi di comunicazione che accompagnano il progetto strutturale e strategico nel suo farsi» (Gabellini, 2007). La vision è un elemento di persuasione e immaginazione, elemento di costruzione del futuro “spaziale” e istituzionale: « una vision non è un piano: è allo stesso tempo assai meno dettagliata e più complessa; non tende a definire diritti e doveri specifici, a costruire procedure esecutive, quanto a delineare una linea di fuga, un orizzonte di senso per l’intera collettività precisando le strategie atte ad avvicinarlo. Una vision è aperta e flessibile, ma dotata di potere discriminante: non ogni azione può esservi inse- rita. Essa accoglie, modifica o rifiuta non su di una base giuridica, ma su di un base logica, di coerenza sostanziale e formale. Quanto più forte, perché assoluto o condiviso, è il potere che la esprime, tanto più essa sta nel retroterra del non detto» (Secchi, 2003).