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Lépicier riscontrò anche la diffusa ostilità dell’ambiente sociale in cui vivevano i cattolici indigeni eritrei, nonostante la loro situazione nella colonia fosse ben diversa da quella dei cattolici dell’impero etiopico. A causa di questo clima di intolleranza la popolazione cattolica viveva di fatto ancora concentrata in alcuni villaggi di tre territori, due dei quali corrispondevano a quelli in cui aveva operato il de’ Jacobis: l’Acchele Guzai con centro principale in Acrur e intorno ad Halai, nello Scimezana.

Per il resto erano dispersi nella regione di Cheren250. C’erano poi varie comunità cattoliche in villaggi a maggioranza ortodossa dove la convivenza non era per niente indolore, in quanto spesso i cattolici erano oggetto di discriminazioni ed atti ostili, ragione per cui in questi villaggi le due popolazioni vivevano quasi sempre in zone ben distinte. Non così per i cattolici dei territori bileni, che coabitavano assai più pacificamente con i musulmani251.

Lépicier lamentò con disappunto che questi cattolici erano alquanto influenzati dalle consuetudini religiose delle comunità ortodosse indigene, da cui in fondo provenivano. Infatti nelle loro ricorrenze liturgiche e pratiche religiose facevano continuo

249

Idem

250 Idem, f. 39. 251 Idem, f. 40.

riferimento al digiuno e all’astinenza dalle carni “impure”, così come i loro conterranei ortodossi. Gli stessi preti indigeni avevano difficoltà a dissuadere i loro fedeli da questi antichi costumi.

I cappuccini da parte loro non di rado cercavano di sradicare queste antiche tradizioni con modalità piuttosto sbrigative quando non violente, bollandole tutte come pratiche superstiziose o pagane. Così facendo però ottenevano solo la riprovazione e lo sdegno dei capi locali252. Nonostante tutte queste difficoltà, alcuni preti ortodossi abissini continuavano a nutrire un certo interesse e curiosità nei confronti della Chiesa di Roma. Lo stesso Lépicier più volte ebbe modo di avvicinare vari cascì -preti ortodossi- che gli avevano chiesto di essere accolti nella confessione cattolica253, anche se a tali richieste non di rado non erano estranee motivazioni di carattere economico.

Sempre riguardo alle relazioni col clero ortodosso abissino, Lépicier non criticò apertamente la decisione dei cappuccini di chiudere la casa di accoglienza per sacerdoti ortodossi istituita dai lazzaristi francesi nella città di Cheren, ma lasciò intendere che si era trattato di un grave errore. La casa infatti fino all’arrivo dei cappuccini era stata un importante centro di indottrinamento per quei preti ortodossi intenzionati a passare alla Chiesa cattolica. Il periodo di formazione-“correzione” durava circa due o tre anni, prima di essere ammessi a ricevere l’ordinazione sacerdotale cattolica254. Ciò aveva costituito un’importante esperienza per la Chiesa cattolica, che secondo Lépicier con la venuta dei cappuccini italiani era stata semplicemente sbaragliata, perché ritenuta inutile.

C’è da interrogarsi come mai nonostante un operato missionario spesso così lacunoso quando non nocivo, in grado di suscitare sdegno e forti proteste non solo presso i cattolici indigeni ma anche tra gli ortodossi, si continuava a registrare una pur sommessa

252

Idem

253 Idem, f. 41. 254 Idem

corrente favorevole alla Chiesa cattolica, presso il popolo ma anche in alcune componenti del clero ortodosso etiopico-eritreo. L’interrogativo non è di scarso rilievo, anche alla luce delle dinamiche storiche dell’Etiopia e dell’Eritrea di quegli anni.

Va ricordato infatti come sin dai primi anni Venti si era andato diffondendo nel clero ortodosso etiopico un forte movimento nazionalista e xenofobo, detto dei “Giovani Etiopi”, che aveva trovato nella Russia zarista un sostenitore di primo piano, in virtù della comune fede ortodossa255. Un movimento alla cui testa si sarebbe posto lo stesso Ras Tafari futuro Negus d’Etiopia, e che si sarebbe radicato anche nella società etiopico-abissina soprattutto con l’approssimarsi dell’aggressione italiana del 1935-36 e che avrebbe avuto nel generale Rodolfo Graziani un acerrimo nemico.

Alla pur circoscritta crescita di interesse quando non di simpatia nei confronti della Chiesa cattolica avevano concorso sicuramente le scuole delle missioni, prima dei lazzaristi e poi dei cappuccini -oltre a quelle delle missioni protestanti256-, tanto in Eritrea come nell’impero etiopico, perché offrivano una concreta possibilità di riscatto sociale a molti ragazzi del popolo.

Anche Hailé Sellassié sin dall’infanzia aveva avuto tra i suoi educatori un vescovo cappuccino, il francese Andrè Marie Jarosseau, del quale era rimasto molto influenzato, sviluppando un sincero interesse per le vicende della cristianità occidentale europea, specialmente quella cattolica257.

255

Paolo Borruso, L’ultimo impero cristiano. Politica e religione nell’Etiopia contemporanea (1916-1974), Guerini e Associati, Milano 2002, p. 83. Cfr. Carlo Zaghi, I Russi in Etiopia (1884-1886). Napoli 1972, voll. I-II.

256 Cfr. Gionatan Breci, Etiopia: storia di una missione avventista. Dalla nascita dell’interesse missionario avventista fino all’invio di missionari italiani, (tesi di laurea magistrale in Teologia), Istituto Avventista di

Cultura Biblica, Facoltà di Teologia, Firenze aa 2011-2012, pp. 33-90.

Lo stesso ministro italiano ad Addis Abeba Renato Piacentini258 nel 1923 aveva inviato a Mussolini una nota informativa in cui segnalava questo rinnovato interesse da parte del clero ortodosso indigeno verso la Chiesa cattolica259. Un interesse certamente favorito dallo stato di profonda arretratezza culturale in cui si trovava la gran parte del clero ortodosso.

Giunto alla guida dell’impero etiopico il Negus Tafari iniziò a rompere l’atavico isolamento in cui si trovava l’Etiopia, aprendola ad un più diretto e coinvolgente contatto col mondo europeo, non solo per avviare un concreto processo di apertura e ammodernamento della società etiopica, ma anche con l’intento preciso di svecchiare la Chiesa ortodossa abissina, rimasta ancorata alle dispute dottrinali dei primi secoli del cristianesimo e ad una prassi liturgica spesso incomprensibile alla gran parte del popolo.