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Il delegato apostolico Valeri in Eritrea ed Etiopia

L’11 Febbraio 1932 il delegato apostolico dell’Egitto Valerio Valeri iniziava la sua visita in Eritrea ed Etiopia su mandato della Congregazione Orientale. La ragione principale della sua missione era la visita all’ordinariato cattolico di rito Etiopico retto da Chidanè Mariam Cassa nominato due anni prima. Era stato inviato per ispezionare, pur con discrezione, il nuovo ordinariato indigeno-eritreo e verificare eventuali miglioramenti nelle relazioni tra clero indigeno e missionari dal tempo della visita apostolica di Lépicier. A tal fine avrebbe visitato anche le missioni cappuccine.

La visita iniziò dalla nuova cattedrale di Asmara per i cattolici di rito Latino, che erano in maggioranza i coloni italiani -la vecchia cattedrale era stata affidata agli indigeni di rito Etiopico-. Valeri restò impressionato dall’imponenza e dalla funzionalità della nuova cattedrale e dell’episcopio costruiti dal vicario apostolico Cattaneo. Davanti a questi edifici le vecchie costruzioni lasciate agli indigeni “ scomparirebbero non poco… poiché questi edifici fatti in stile romanico e sotto la guida di un vero artista rappresentano forse quanto di meglio può offrire l’Asmara in materia di costruzioni382”.

Altro tema sensibile dell’ispezione di Valeri era quello delle risorse economiche a disposizione dei preti indigeni. Il vicario Chidané Mariam Cassa lamentava finanze assai più modeste di quelle disponibili al vicario dei Latini Cattaneo, pur ricevendo annualmente 24 mila lire dalla Congregazione Orientale “…per il suo personale sostentamento”, nonché 70-80 mila lire da Cattaneo come percentuale delle offerte per le Messe celebrate dai preti indigeni383. Sin dal momento della sua nomina Chidané Mariam aveva cercato di ottenere un’effettiva autonomia finanziaria, manifestando all’Orientale la richiesta di gestione diretta dei fondi, senza la mediazione di Cattaneo. Ma al momento della visita di Valeri erano trascorsi già due anni dalla sua domanda, senza che avesse ottenuto alcuna risposta da Roma384. Fino a quel momento era il vescovo dei Latini a gestire la destinazione delle Messe con le relative offerte da far celebrare ai preti indigeni -10 lire per ogni Messa celebrata, di cui sei all’officiante e 4 al vescovo385

-. La cifra era quella stabilita nel 1927 dopo la visita d’ispezione di Lépicier.

382 ACO, Op. cit., p. 4. 383

Idem, p. 5.

384 ACO, serie Etiopi, prot. 1079/ 48, f. 11. 385 Idem

A quell’epoca i sacerdoti indigeni eritrei erano 68 e a seguito delle forti tensioni con i cappuccini l’Orientale ne aveva disposto da qualche anno la dipendenza dalla delegazione apostolica d’Egitto386

. Territorialmente erano distribuiti in modo abbastanza difforme, in gran parte concentrati nelle comunità indigene delle città principali come Asmara, Saganeiti e Cheren, che poi erano gli stessi centri in cui risiedevano i principali nuclei di italiani. Solo pochi di loro seguivano le comunità di cattolici indigeni disperse nei territori interni della colonia387.

Sebbene in misura minore rispetto alla concentrazione di cappuccini nei maggiori centri abitati, l’alto numero di preti indigeni nelle città costituiva un problema anche per il vescovo eritreo, perché doveva fronteggiare la scarsa assistenza spirituale delle comunità dell’interno. Inoltre c’era il problema delle divisioni tra i cattolici di rito Latino e quelli di rito Etiopico, che negli anni era andata deteriorandosi proprio a causa dei dissidi tra cappuccini e clero indigeno.

Col passare delle settimane Valeri maturò un giudizio deludente sul clero indigeno. Pur ammettendo che generalmente erano dei buoni sacerdoti, si lamentò della loro assai scarsa formazione culturale, anche se il vescovo Chidané Mariam glieli presentò in termini abbastanza positivi, tralasciando di menzionargli quei casi più problematici che invece gli furono segnalati dal vescovo dei Latini Cattaneo388. Ma a differenza di quanto avvenuto con Lépicier nel 1927, all’Orientale Valeri evidenziò di non aver ricevuto lamentele significative da parte dei preti locali sui cappuccini.

Non nascose così una sua tendenziale presa di posizione a favore dei cappuccini e ancora di più per Cattaneo, anche se dai documenti d’archivio emergono

386

ACO, serie Etiopi, prot. 562/ 30, f.21, p. 6.

387 Idem 388 Idem

effettivi miglioramenti delle condizioni economiche dei preti indigeni eritrei, la cui protesta era stata più energica rispetto a quella dei preti etiopici, ed era culminata in uno sciopero dai servizi liturgici389.

Probabilmente a rasserenare gli animi aveva influito il drastico ridimensionamento dei contatti tra preti indigeni e missionari. Praticamente quasi annullati a seguito della separazione giurisdizionale dei cattolici di rito Etiopico da quelli di rito Latino. Un risultato però che non si era ancora realizzato per i preti indigeni del vicariato d’Abissinia, ancora largamente alle dipendenze dei lazzaristi390.

Va aggiunto che in Eritrea l’aumentata disponibilità di denaro per i preti indigeni -che ora percepivano un salario di circa 300 lire mensili391- non era stata ben accolta dalla gran parte dei cappuccini, a cominciare dallo stesso Cattaneo. Un malcontento condiviso pure dal vicario d’Abissinia Gruson e dai suoi confratelli lazzaristi d’Etiopia392. Valeri invece lasciò intendere all’Orientale che molte delle

critiche rivolte ai cappuccini negli anni precedenti erano state indebitamente amplificate dal visitatore Lépicier, nel frattempo divenuto cardinale.

Secondo lui infatti i cappuccini adempivano al loro dovere “…con coscienza e zelo… Anche le autorità civili ne sono soddisfatte e nessuna di esse mi ha fatto cenno del desiderio che avrebbero di veder sostituiti i Padri Cappuccini con altri Religiosi di altro Ordine”393

. Ammetteva tuttavia che “Ciò che manca … è

389 Idem, allegato n. 8.

390 Idem, lettera del vicario Gruson lazzarista al visitatore Valeri (allegato 7). 391

Idem, f. 21, p. 6.

392 Idem, pp. 6-7. 393 Idem, p. 23.

piuttosto la conoscenza … delle lingue locali, difetto disgraziatamente diffuso nelle nostre Missioni”394

.

Anche nel descrivere alla Congregazione Orientale il governo pastorale di Cattaneo, Valeri procedette ad un’opera di rettifica, anzi ad un vero e proprio stravolgimento dei giudizi negativi che su di lui erano stati espressi, e già ben prima della visita di Lépicier del ’27. Tutte le lamentele e le sofferenze che erano state raccontate dai preti e dalle suore indigene su Celestino Cattaneo erano scomparse, o meglio tramutate in valutazioni positive. Il vescovo cappuccino veniva descritto come un “Prelato di grande pietà e rettitudine…devotissimo alla Santa Sede”395. Lo descrisse come colui che nel 1930 aveva ispirato l’istituzione dell’ordinariato per gli indigeni -quando nella realtà Cattaneo aveva cercato di scongiurarne il più possibile l’istituzione-. Ne esaltò lo zelo costruttore: erano aumentate le chiese e varie altre istituzioni come l’orfanotrofio per i meticci della colonia fatto costruire ad Asmara396, e ciò grazie ai suoi numerosi ed influenti contatti a livello governativo, sia nazionale che coloniale, che gli avevano procurato ingenti somme di denaro 397. Dunque secondo Valerio Valeri negli anni passati Cattaneo non era stato correttamente giudicato, anche se doveva ammettere che per alcuni degli stessi cappuccini costui era “…troppo ligio alle autorità civili” e poco interessato alle -assai scarse- missioni tra gli indigeni398.

Altro punto centrale della visita di Valeri riguardava il seminario di Cheren. Nonostante l’avvenuta separazione tra missionari e clero indigeno, la sua conduzione era ancora affidata ai cappuccini, in particolare a quelli della provincia 394 Idem 395 Idem, p. 21. 396 Idem 397 Idem 398 Idem

lombarda. Il superiore era Diego da Castel Cellesi, coadiuvato nell’insegnamento dai padri Zeffirino da Lurate Abbate e Vittore da Ponzone; c’erano anche due sacerdoti indigeni, Ghebré Mariam laureatosi a Roma che insegnava Sacra Scrittura, lingua Tigrigna e Ghe’ez, nonché abba Michele Derar399.

Chidané Mariam Cassa si era lamentato molto con Valeri per la conduzione assai autoritaria del seminario da parte di Diego da Castel Cellesi. Costui alla fine dell’ultimo anno scolastico aveva espulso dieci alunni senza minimamente consultare il vescovo eritreo, e non era la prima volta che episodi del genere accadevano. Per Diego da Castel Cellesi infatti era divenuto abbastanza facile espellere dei seminaristi400, da quando la giurisdizione del seminario era passata al vescovo Chidané Mariam. Pur costituendo ciò una pesante infrazione del regolamento del seminario -redatto anni prima da Cattaneo quando ne era ancora il responsabile-, che poneva l’istituzione sotto la diretta autorità del vescovo401.

Il delegato Valeri dovette suo malgrado chiamare in causa Diego da Castel Cellesi, che si difese con difficoltà e citando a sproposito il regolamento del seminario402. Inoltre contrattaccò quasi accusando Chidané Mariam Cassa di aver accolto nella sua residenza tre seminaristi da lui espulsi alcuni anni prima e di averli affidati ad Angelico da None, che era stato rettore del seminario prima di lui403. Ancora una volta emerge la figura di questo inconsueto cappuccino, che aveva accettato di buon grado la dipendenza dal vescovo eritreo-abissino per recuperare almeno una parte di quei seminaristi espulsi da Diego da Castel Cellesi.

399

Idem, p.10.

400 Idem

401 Anche su questo argomento, come su molti altri, il testo di Metodio da Nembro, Op. cit., non fa minimamente

cenno al problema, cfr. pp. 239, 267 e 315.

402 ACO, op. cit., p. 11. 403 Idem

Facendo ciò Angelico da None aveva però scavato più profondamente quel solco che di fatto lo distanziava dalla gran parte dei cappuccini. Lo stesso Valeri non apprezzò quel tentativo di recupero dei seminaristi espulsi, operato dal vescovo eritreo e da quel cappuccino un po’ anomalo, dichiarando che la condizione di quei seminaristi era irregolare. Pertanto, se costoro volevano continuare a studiare per il sacerdozio dovevano tornare in seminario e sottoporsi all’obbedienza di padre Diego404.

Ma sia Chidané Mariam che i preti indigeni espressero ripetutamente a Valeri il desiderio di veder tornare Angelico da None alla guida del seminario405. Per tutta risposta il delegato apostolico replicò che non era proprio il caso, dal momento che il vescovo Cattaneo aveva di fatto opposto un veto su Angelico da None perché ovunque fosse andato “…da Keren quanto da altri luoghi fu dovuto allontanare per la sua eccessiva bontà che finiva per dar luogo al disordine…” 406

. Dunque dovevano farsene una ragione e suggerire qualche altro cappuccino, come ad esempio poteva essere Egidio da Verano407.

Le difficoltà dei cappuccini a condurre il seminario e l’impossibilità di farvi tornare padre Angelico finirono per suscitare tra i preti indigeni la volontà di gestirlo autonomamente. Pur presentando alla Congregazione Orientale questa novità, Valeri lasciò intendere che si trattava di una prospettiva del tutto prematura perché non riteneva i preti indigeni pronti ad assumere tale responsabilità408.

404 Idem, p.14. 405 Idem, p. 12. 406 Idem

407 Padre Egidio da Verano, laureatosi in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana, era stato per molti anni

missionario nella regione dei Cunama nel bassopiano eritreo e al momento era superiore della scuola di Saganeiti.

Valeri visitò anche le comunità di suore del vicariato d’Eritrea suddivise nei due istituti femminili che coadiuvavano i cappuccini in diverse mansioni in alcune parrocchie, nelle scuole e negli ospedali. Si trattava, come detto precedentemente, delle suore di Sant’Anna che erano 54, e delle suore della Nigrizia (oggi denominate comboniane) che erano 27409. Pur non sbilanciandosi nelle valutazioni sulle loro attività, Valeri lasciò intendere che la scarsa disponibilità di suore di Sant’Anna con il diploma per l’insegnamento provocava un certo disappunto nel governo coloniale che iniziava a considerare la possibilità di revocare loro la direzione di alcune scuole per affidarla a personale laico410.

Le suore comboniane invece dirigevano una scuola per indigeni ad Asmara e fornivano diverse suore infermiere negli ospedali di Massaua ed Asmara. Inoltre raccoglievano fondi per l’apertura di un ospizio per anziani poveri411

. Entrambi gli istituti di suore ricevevano sussidi governativi per la conduzione delle scuole e specialmente le comboniane avevano ottenuto “…un contratto speciale assai favorevole”412

.

All’Orientale il visitatore apostolico parlò anche delle conversioni dei monaci ortodossi. Di per sé non erano né facili né frequenti, e inoltre dove c’erano dei monasteri molto attivi, anche le conversioni dei semplici fedeli ortodossi al cattolicesimo erano quasi impossibili. Ma, numeri alla mano, c’erano stati almeno due fattori che avevano favorito delle conversioni in alcune regioni come l’Hamasien e il Seraé: la nomina del vescovo indigeno e la politica ostentatamente benevola del governo, fatta di concessioni e finanziamenti.

409 Idem p. 30. 410 Idem p. 30 bis. 411 Idem 412 Idem

Va ricordato inoltre che somme considerevoli erano state dilapidate dal governo italiano in lavori molto onerosi, che poi non sarebbero stati terminati, come la costruzione ad Asmara della grande cattedrale ortodossa in stile axumita costata una cifra enorme - alcuni milioni di lire dell’epoca-413. Secondo Valeri la migliore propaganda cattolica sarebbe stata un’esperienza monastica indigena. In tal senso giudicava molto favorevolmente il progetto di Angelico da None di avviare a Casamari una comunità di aspiranti monaci benedettini abissini414.

Terminata la visita in Eritrea Valeri si recò in Etiopia a visitare il vicariato apostolico d’Abissinia gestito dai lazzaristi francesi415

. Sulla carta il vicariato occupava gran parte dell’Etiopia del Nord, nel concreto però i cattolici erano concentrati in due villaggi dell’Agamiè, nel Tigrè del Nord, ai confini con l’Eritrea: Alitiena e Guala, luoghi storici dell’epopea del de’ Jacobis416

. Accompagnato da padre Edouard Gruson superiore del vicariato da oltre trent’anni, il delegato apostolico visitò le comunità di cattolici che qui erano tutte di rito etiopico. I missionari di questo vicariato erano dieci, di cui due indigeni, tutti francesi e lazzaristi e i preti abissini erano quindici417.

Valeri raccolse molte rimostranze dei preti indigeni contro i lazzaristi francesi, cosa che non mancò di evidenziare alla Congregazione Orientale con una certa ironia:“…si è verificato un fenomeno del tutto opposto: silenzio perfetto in Eritrea418da dove eran prima venuti tanti ricorsi e ricorsi…”419.

413 Idem, p. 17. 414 Idem 415 Idem, p. 34. 416 Idem, p. 35. 417 Idem, p. 36. 418 Idem, p. 38. 419 Idem, p. 37.

Senza riferirsi esplicitamente al cardinale Lépicier lo richiamava in causa, sempre con l’obiettivo di difendere anzitutto i cappuccini italiani d’Eritrea ma anche i lazzaristi francesi, lasciando intendere che molte delle denunce secondo lui non avevano un chiaro fondamento420 e pertanto -concludeva ancora una volta disinvoltamente-, non bisognava prestarvi molta attenzione. Come nel caso di maltrattamenti inferti dai lazzaristi francesi421 ad un gruppo di preti indigeni. Ma Valeri riconosceva che in Etiopia, come già in Eritrea, la richiesta di una maggiore formazione culturale e teologica avanzata dai preti abissini era legittima. Anche se secondo lui i lazzaristi non potevano farvi fronte adeguatamente per mancanza di personale disponibile da inviare in Etiopia422.

Si può supporre che Valeri non fosse al corrente delle denunce fatte giungere dai preti indigeni alla Congregazione Orientale negli anni precedenti, soprattutto da quelli del vicariato d’Eritrea amministrato dai cappuccini? Denunce che tra l’altro avevano avuto autorevoli conferme esterne già da diversi anni, come nel caso della relazione che Pio XI tramite –Sincero- aveva richiesto al gesuita liturgista Camillo Beccari423. Da quest’ultima si apprende che il Papa sin dal 1923, a poco più di un anno dalla sua elezione -verosimilmente a causa delle tensioni in atto nel Pontificio Collegio Etiopico oltre che per le lettere di denuncia dei preti abissini-, aveva deciso di istituire un unico seminario in Eritrea per tutte le circoscrizioni ecclesiastiche della regione etiopica.

Una decisione che per timore di ripercussioni di carattere politico -come ad esempio l’obiezione che la Francia avrebbe potuto fare al progetto per le crescenti

420 Idem 421

Idem, p. 38.

422 ACO, Etiopi, prot. 562/ 30, cit. p. 38. 423 ACO, Etiopi, prot. 328/ 28, f. 2.

tensioni con l’Italia424

- il Papa non portò avanti425. Ancora cinque anni più tardi, richiesto di un parere sulle tensioni tra missionari e sacerdoti etiopi, il gesuita Beccari ribadì a Pio XI la necessità di un seminario unico, con la viva raccomandazione di non affidarlo ai cappuccini. A suo dire infatti non sarebbe stato prudente“…affidare la direzione…ai cappuccini, poiché, com’è noto, essi non sono ben visti dalla popolazione indigena, e questo purtroppo per giusti motivi, tra i vari Istituti religiosi credo si debba preferire l’Istituto della Consolata…” 426

.

La visita apostolica di Valeri non suscitò in Vaticano una maggiore attenzione alle problematiche dei vicariati d’Eritrea e d’Abissinia. Concentrato a stemperare le critiche rivolte ai cappuccini d’Eritrea, il visitatore apostolico aveva esteso la sua rassicurante interpretazione anche al vicariato d’Abissinia, assimilando gran parte delle rivendicazioni dei preti autoctoni a fantasie esagerate. Una scelta non priva di conseguenze, dal momento che all’Orientale la sua relazione rassicurante aveva allentato la tensione verso l’Abissinia. Ma non vedendo giungere da Roma alcuna direttiva riformatrice in seguito alla visita di Valeri, i preti della regione abissina dell’Agamié427 tornarono a scrivere, rincarando i toni.

Non fidandosi di Valeri né più della Congregazione Orientale, questa volta inviarono un memoriale al vescovo Chidané Mariam Cassa, il quale non mancò di farlo pervenire a Roma. In esso non solo lamentavano le pessime relazioni con i lazzaristi dai quali venivano discriminati428, ma facevano intendere chiaramente che

424

Infatti i vicariati dei Galla e del Tigrè come pure la prefettura apostolica di Gibuti erano amministrati da missionari francesi, sia cappuccini che lazzaristi.

425 ACO, Etiopi, prot. 328/ 28, cit., f. 2. 426 Idem

427

ACO, serie Etiopi, prot. 562/30, cit., promemoria del clero indigeno d’Abissinia inviato a Chidanè Mariam Cassa ( allegato 6).

già la visita di Lépicier del 1927 non aveva prodotto alcunché di significativo per loro, se non l’inasprimento delle tensioni con i lazzaristi429

.

Anche questi ultimi un paio di mesi prima avevano scritto a Valeri, per altre ragioni. Oltre che ad assicurarlo di non avere problemi coi preti indigeni e tantomeno coi due lazzaristi abissini430, gli scrissero -con stupore ed imbarazzo- che era la prima volta che ricevevano da Roma soldi per “intentions de messes”431 da condividere con i preti indigeni. Inoltre tale denaro, lamentavano, risultava ampiamente insufficiente per i loro bisogni e per quelli del clero locale. Si trattava di 5.000 lire che i cardinali Sincero e Pacelli a nome di Pio XI avevano inviato a Valeri, affinché le destinasse ai lazzaristi e ai preti autoctoni432.

Questa cifra si aggiunse a quella di 3.000 lire offerte da Valeri durante la sua visita. Queste somme erano però del tutto insufficienti a coprire il fabbisogno minimo di missionari e clero locale d’Etiopia. Inoltre con tali ristrettezze il vicario Gruson rese noto di non sapere come fare a restituire al suo collega d’Eritrea Cattaneo una somma cospicua che gli aveva concesso in prestito433.

429 Idem

430 ACO, serie Etiopi, prot. 562/ 30, cit., allegato 5. 431

Idem, allegato 8.

432 Idem 433 Idem

CAPITOLO II

LA RIFORMA DELLE CIRCOSCRIZIONI CATTOLICHE