Pio XI nell’Aprile 1937528 su proposta di Tisserant529 nominò Castellani delegato apostolico per l’Etiopia -alle dipendenze della Congregazione Orientale- nonché vicario apostolico per il governatorato civile di Addis Abeba -dipendente dalla Congregazione di Propaganda Fide-.
Castellani apprese del suo nuovo incarico il 19 Aprile, ma si trattenne ancora per diversi mesi nella sua sede di Rodi. La pubblicazione del decreto della sua nomina come quelli di altri ordinari dell’Etiopia venne posticipata al 15 Maggio530
-, anche a causa delle tensioni tra lazzaristi e Propaganda Fide per la scelta del prefetto apostolico del Tigrai e pure per il conflitto tra cappuccini e missionari della Consolata sulle missioni del Guraghé.
Solo il 6 Giugno Castellani lasciò Rodi per l’Italia dove si trattenne per quasi tutta l’estate. A Roma incontrò il ministro dell’Africa Italiana Lessona a cui chiese finanziamenti per la costruzione della nuova cattedrale di Addis Abeba, del vescovado e del seminario maggiore. Infine il 3 Settembre 1937 partì per l’Etiopia531
, dove fu accolto con tutti gli onori dal viceré Graziani e dagli alti funzionari che aveva conosciuto durante la visita apostolica.
Il ministro gli aveva assicurato che i lavori della cattedrale sarebbero iniziati “subito”532
anche se una volta giunto ad Addis Abeba Graziani lo invitò a considerare in
528
Idem, ff. 1-2. La data della nomina venne però retrodatata al 25 Marzo 1937, giorno della nomina di quasi tutti i responsabili delle nuove circoscrizioni ecclesiastiche etiopiche.
529 Idem, ff. 7 e 15. 530
Idem, ff.12 e 14.
531 Idem f. 19. 532 Idem, f. 39.
modo non troppo rigoroso quella promessa, a motivo della scarsità dei mezzi finanziari e degli imponenti costi delle operazioni belliche, tutt’altro che concluse533
.
Castellani ricevette in concessione un elegante edificio già sede della legazione americana presso il Negus come sua residenza e sede della delegazione. Messosi presto al lavoro suddivise la città di Addis Abeba in quattro zone pastorali, secondo le quattro chiesette cattoliche già esistenti.
Ai lazzaristi affidò la cura degli ortodossi che si sarebbero convertiti al cattolicesimo534, anche se inviò due monaci ortodossi abissini in Eritrea presso il vescovo cattolico di rito Etiopico Chidané Mariam Cassa, affinché approntasse “…il lungo corso di istruzione loro necessaria”535
. Come la stragrande maggioranza dei vescovi e dei missionari di allora Castellani era convinto che i convertiti dall’ortodossia dovessero sottoporsi ad un lungo ed articolato corso di istruzione catechistica cattolica, per purificarsi dalle eresie della Chiesa di origine.
Il delegato apostolico si rese conto abbastanza presto dell’estrema complessità del suo nuovo doppio incarico come rappresentante pontificio-primate di tutta l’A. O. I., e come arcivescovo di Addis Abeba. Spesso tuttavia sarebbe stato chiamato a risolvere conflitti non di stretta attinenza pastorale, allentare tensioni e contenziosi tra i diversi istituti missionari nelle delicate fasi di installazione delle loro strutture e delle relative suddivisioni territoriali.
Come ad esempio quando Tisserant gli chiese di indagare sul pesante malcontento dei preti indigeni del Tigré contro il loro nuovo prefetto apostolico, il lazzarista italiano
533 ACO, N. S. 1935-1937, vol. 1296, rub. 39/ 17, ff. 397-400. 534
ACO, prot. 165/ 37, Oriente Delegazione Apostolica AOI, S. E. Mons. Giammaria Castellani Delegato Apostolico, f. 31.
Bartolomeo Bechis536. Ma nello svolgimento dei suoi uffici Castellani ebbe ripetute occasioni di confronto diretto anche con Pio XI, specialmente sul tema della suddivisione territoriale delle missioni etiopiche.
O ancora quando Propaganda Fide progettò di concedere due missioni etiopiche ai francescani minori della Somalia che per ragioni di salute avevano bisogno di ambienti più salubri per riprendersi. Un progetto che però fu ostacolato da vari istituti missionari contrari all’ipotesi di concedere missioni a tale scopo. Venuto a conoscenza del rifiuto dei religiosi, Pio XI ordinò a Castellani di destinare due stazioni missionarie del Vicariato Apostolico di Addis Abeba -i cui territori erano molto più salubri delle regioni etiopiche dell’est e del sud-, dove i missionari malati della Somalia avrebbero potuto riposarsi in vista di un successivo rientro537.
Nonostante la linea politica ufficiale del governo italiano tesa a depotenziare un eventuale afflato missionario cattolico incontrollato che avrebbe finito per urtare ulteriormente il clero ortodosso abissino, nei suoi molti incontri Castellani stabilì ben presto buoni rapporti con le autorità coloniali. Infatti non pochi degli amministratori più direttamente coinvolti nei vari territori, di sovente applicavano un’ampia discrezionalità interpretativa sulle indicazioni governative riguardanti la Chiesa cattolica in Etiopia. Una discrezionalità spesso non timorosa di manifestare un aperto sostegno all’azione della Chiesa cattolica. Come nel caso del provveditore agli studi di Addis Abeba, da cui ottenne il pieno appoggio per l’affidamento di alcune scuole alla Chiesa cattolica, sia nel suo vicariato come in altre circoscrizioni apostoliche. O nel caso del commissario governativo di Debre-Brehan che lo accolse con grande entusiasmo chiedendogli subito 40 missionari da inviare nella
536
AGCM (Archivio Generale Congregazione della Missione), cartella Etiopia, foglio non classificato, lettera di Valentino Ferrando al superiore generale dei lazzaristi, Adigrat, 25 Settembre 1938.
nuova prefettura apostolica di Dessié, dove avrebbero potuto aprire tutte le scuole che volevano538.
Parimenti riuscì a far ammettere le suore in quasi tutte le scuole oltre che in due ospedali e nella casa maternità ed infanzia della capitale. Iniziò poi a visitare tutte le circoscrizioni dell’impero, anche con l’obiettivo di risolvere le varie lagnanze e contenziosi degli ordini e delle congregazioni missionarie.
Dal canto suo il governo di Roma non mancò di ribadirgli che non avrebbe tollerato un’azione missionaria cattolica a tutto campo, diretta cioè contemporaneamente agli ortodossi, ai musulmani, ai protestanti e ai pagani. Tuttavia la Chiesa cattolica avrebbe potuto occuparsi in modo preferenziale dei pagani, cioè delle popolazioni indigene praticanti le religioni tradizionali africane.
Un altro problema non secondario era quello del finanziamento della nuova delegazione apostolica, dal momento che non bastavano le pur generose promesse di aiuto da parte governativa per le diverse opere missionarie: dalla progettazione e costruzione di chiese, alle case per i missionari, le scuole, gli orfanotrofi, i lebbrosari, ecc. Occorreva pertanto convincere le istituzioni centrali vaticane ad adoperarsi quanto prima ad inviare delle risorse, vista la mole di progetti che si stavano approntando e il crescente numero di missionari che si andavano via via impiantando nelle nuove missioni.
Il problema si andò trascinando per diversi mesi dall’insediamento del delegato apostolico: infatti sia la Segreteria di Stato -che aveva il controllo amministrativo di tutte le altre delegazioni apostoliche dipendenti dalla Congregazione Orientale- che la Congregazione Orientale, non avevano intenzione di accollarsi l’onere del finanziamento di questa nuova delegazione, o almeno non completamente.
Su questo conflitto di attribuzione delle competenze finanziarie delle nuove circoscrizioni ecclesiastiche etiopiche, e specialmente del vicariato apostolico di Addis Abeba, mons. Tardini della Segreteria di Stato rispose a Tisserant che già Benedetto XV aveva costituito un apposito fondo per le delegazioni apostoliche e per le altre opere orientali539, tuttavia gli consigliò di chiedere l’interessamento diretto di Pio XI540. Questi nell’udienza concessagli il 18 Dicembre 1937 stabilì che anche Addis Abeba fosse amministrata dalla Segreteria di Stato.
Castellani dovette pure affrontare una certa ritrosia della Congregazione Orientale a concedergli la facoltà di sovvenzionare il clero indigeno secolare del suo vicariato -che non godeva certo delle stesse disponibilità finanziarie dei missionari-, devolvendo loro le offerte delle seconde e terze messe festive.
Per Tisserant però il clero locale risultava sufficientemente provveduto e quindi era bene devolvere tali somme per altri scopi, come ad esempio i seminari che sarebbero stati aperti nelle nuove circoscrizioni. C’era poi da organizzare un concorso di progetti architettonici sulla futura cattedrale di Addis Abeba e per questo motivo già ai primi di Aprile del 1938 Castellani ottenne il permesso di tornare a Roma, per illustrarlo personalmente al Papa.
Da Roma gli chiesero di provvedere ad un suo sostituto temporaneo, che trovò in Costanzo Bergna prefetto apostolico di Dessiè, nonché già suo confratello minore francescano.
Giunto a Roma discusse con Tisserant anche della nuova sede del grande seminario interregionale indigeno, che avrebbe dovuto ospitare i seminaristi di quasi tutta l’antica Abissinia, dalle prefetture apostoliche del Tigrai, di Dessiè e di Gondar, fino a quelli
539 ACO, prot. 165/ 37, Oriente Delegazione Apostolica AOI… cit., f. 46. 540 Idem.
dell’Eritrea. Si trattava di portare avanti le trattative per la cessione del fabbricato del consolato italiano di Adua da parte del governo di Addis Abeba. Inoltre Castellani chiese a Tisserant di finanziare la costruzione di una chiesa per gli indigeni cattolici di rito Etiopico nella capitale.
L’aiuto del governo sia finanziario che di fornitura delle maestranze e dei materiali fu determinante, anche se non di rado i fondi promessi non furono effettivamente erogati, e nel corso della breve occupazione italiana dell’Etiopia sempre più numerose sarebbero state le opere iniziate e non terminate.
In questo contesto si sarebbero rivelate fondamentali le generose sovvenzioni che diversi alti funzionari non fecero mancare ai progetti ecclesiastici, come quella del governatore dell’Eritrea Giuseppe Daodiace, che in diverse occasioni esternò a Castellani, come ad altre autorità ecclesiastiche, il suo pressante desiderio di sapersi ufficialmente riconosciuto nelle sue benemerenze “…mediante una decorazione Pontificia”541. Ma non fu il solo, molti altri aspirarono ai riconoscimenti pontifici, facendo giungere in Vaticano il proprio curriculum vitae 542.
Non a caso alla vigilia della guerra Castellani chiese ripetutamente ai superiori dell’Orientale e a quelli della Segreteria di Stato di adoperarsi affinché Daodiace fosse premiato con un’onorificenza pontificia per i suoi interventi a favore delle missioni cattoliche dell’A.O.I.
Pur preso da questa frenetica attività di visite ed incontri, Castellani si rese conto che una duratura opera di penetrazione coloniale oltre che di evangelizzazione in un contesto così peculiare come quello etiopico, necessitava di un’imprescindibile opera di pacificazione degli animi delle popolazioni indigene e dei loro rappresentanti.
541 ACO, relazione del vicario apostolico Marinoni al cardinale Tisserant, Asmara 22 Maggio 1939, p. 10. 542 Idem
A tal fine si adoperò affinché gli italiani capissero l’importanza di intraprendere al più presto questa riconciliazione: chiese al governo di rilasciare dodici personalità cattoliche indigene, tra i molti capi che erano stati deportati in Italia543 a seguito dell’attentato al maresciallo Graziani544. Così pure cercò di sensibilizzare gli amministratori civili e militari perché istruissero i nazionali (termine usato per definire i coloni italiani ndr) a sentimenti di convivenza e tolleranza, opera certamente non facile in virtù dell’indole marcatamente autoritaria e razzista del regime italiano.
Certamente nella visione di Castellani un’opera di riconciliazione fondata su “principi di giustizia e di bontà”545
verso gli indigeni costituiva un’imprescindibile strategia necessaria a consolidare la presenza dei coloni come quella dei missionari italiani, per ottenere una “… maggiore possibilità di azione”546.
Ma al di là delle dichiarazioni di principio su una maggiore giustizia verso gli etiopi nei suoi discorsi e lettere pastorali, il delegato apostolico si decise più concretamente ad operare contro le pratiche razziali promosse dagli amministratori italiani solo dopo che Tisserant gli scrisse senza equivoci sull’urgenza di integrare cattolici indigeni e italiani, e dopo che il nuovo Viceré Amedeo di Savoia iniziò la sua strategia di inclusione e coinvolgimento di esponenti indigeni nell’amministrazione della colonia547
.
543
Paolo Borruso, L’Africa al confine. La deportazione etiopica in Italia (1937-1939). Prefazione di Angelo del Boca. Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 2003, pp. 7-86.
544 APF, N. S. 1935-1937, vol. 1296, cit., idem 545
Idem
546 Idem