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La visita apostolica di Lépicier in Eritrea

Nel 1927 la colonia eritrea contava 350.000 abitanti, dei quali circa 170.000 musulmani, 150.000 copti ortodossi e 27.000 cattolici nativi, inclusi un migliaio di meticci che per la legge erano indigeni pur essendo figli di italiani non riconosciuti né da questi né da parte degli eritrei189. Gli italiani di religione cattolica erano circa 4.000 e rappresentavano la gran parte degli europei residenti190. Malgrado tutti i problemi la condizione della Chiesa cattolica in Eritrea complessivamente era migliore rispetto a quella della Chiesa cattolica nell’impero d’ Etiopia, dove i cattolici venivano sottoposti ad un regime di controllo e limitazione delle proprie attività di fede da parte dello stato etiopico.

All’arcivescovo francese Lépicier, già religioso dell’ordine dei servi di Maria fu affidata una missione assai delicata. Se da un lato c’erano le denunce degli indigeni da verificare e discernere sul campo, dall’altro c’era pure da ascoltare i cappuccini italiani, anch’essi in una condizione tutta da decifrare. Il visitatore doveva pertanto intervenire in

188 Alessio Enrico Maria Lépicier nacque a Vaucouleurs, in Francia, il 28 Febbraio 1863. Entrato nell’ordine dei

Servi di Maria (Serviti), dopo la sua ordinazione sacerdotale fu assunto dalla Santa Sede a servizio della Sacra Congregazione dei Religiosi. Consacrato vescovo, fu inviato in missione speciale in Eritrea ed Etiopia come visitatore apostolico. Poco più di un anno dopo, il 17 Dicembre 1928 il Papa lo nominò Cardinale a capo della medesima congregazione vaticana. Morì a Roma il 20 Maggio 1936, due settimane dopo la conquista italiana di Addis Abeba. Fu sepolto nel cimitero del Verano.

189 ACO, Relazione Lépicier, f. 39. 190 Idem, f. 38.

situazioni infruttuose quando non perniciose e al contempo incoraggiare quei missionari impegnati in attività apostoliche autentiche.

Giunto in Eritrea sin dai primi giorni il visitatore apostolico dovette però rilevare un aperto risentimento che accomunava -almeno in questo- i sacerdoti indigeni e molti degli stessi cappuccini -seppure per altre ragioni- contro il vescovo Cattaneo che peraltro in quel periodo era in Italia. Non accettavano il suo stile di governo fondamentalmente autoritario, che induceva gli uni e gli altri -pur con motivazioni diverse- a desiderare le sue dimissioni e la sua partenza dall’Eritrea.

Cattaneo però non aveva alcuna intenzione di dimettersi e rientrato in sede continuò nella sua linea di contrapposizione, nonostante le sue dichiarazioni apparentemente concilianti, specialmente verso i preti indigeni e le loro istanze di maggior equità, come scrisse ripetutamente nelle sue relazioni periodiche alla Congregazione Orientale191. Restò molto determinato a non accogliere nessuna delle loro richieste col pretesto di evitare “pericolosi” precedenti192

, e ciò per stroncare radicalmente quella che considerava solo una fronda di insubordinati, convinto com’era che occorreva “..aumentare il rigore e restringere anche di più gli emolumenti che ora si danno al clero ”193

.

Ma nelle parrocchie indigene e nelle missioni il visitatore Lépicier constatò che molti problemi non erano riconducibili solo ai modi autoritari del vicario apostolico. Ad esempio occorreva intervenire sul regime di monopolio detenuto dai cappuccini sulle finanze del vicariato, di fatto controllando non solo le loro missioni ma pure le zone pastorali affidate ai preti eritrei, perché non autosufficienti finanziariamente. Infatti al di là delle offerte in beni naturali, i preti eritrei dovevano ricorrere ai missionari per avere

191

Cfr. ACO, Etiopi, prot. 977/ 28, relazioni annuali alla Congregazione Orientale: 1928, 1929.

192 ACO, Etiopi, prot. 977/ 28, f. 49. 193 Idem

denaro sufficiente all’acquisto di materiali necessari al loro ministero, o nel caso di traslochi e viaggi.

Questa accentuata dipendenza economica del clero locale dai missionari a Lépicier parve come un riflesso speculare di quel sentimento di insofferenza di molti cappuccini verso le rivendicazioni di equità dei preti indigeni. Nell’intento di risolvere la pericolosa contrapposizione il rappresentante papale si mosse su due fronti. Anzitutto cercò di conoscere meglio il sistema di gestione finanziaria del vicariato visionando i bilanci di molte missioni, anche se ciò non sempre gli fu possibile a causa di resistenze e a volte dinieghi, anche da parte dello stesso Cattaneo.

A causa di questo ostracismo valutò opportuno rivolgersi al governo, a quello metropolitano come a quello della colonia. Si era persuaso che occorreva modificare a vantaggio della Chiesa cattolica il sistema di agevolazioni e contributi messo a punto dal governo per le diverse confessioni religiose della colonia, di cui al momento ne traevano un buon vantaggio gli ortodossi etiopi, gli islamici e gli evangelici. Infatti sin dagli inizi della vita della colonia le diverse amministrazioni italiane avevano perseguito una promozione generalizzata delle diverse confessioni religiose non cattoliche, che rappresentavano la gran parte della popolazione della colonia194.

In altri termini si era cercato di attutire il risentimento mai sopito delle popolazioni indigene per l’avvenuta invasione e le conseguenti azioni di esproprio delle terre, e soprattutto le migliori. Da qui l’erogazione di fondi statali per una serie di opere religiose non cattoliche: ad esempio a Massaua erano state costruite due moschee, diverse chiese ortodosse ad Asmara e in altre località, tutte finanziate dal governo195.

194 Cfr. Cesare Marongiu Buonaiuti, Op. cit. 195 ACO, Etiopi, prot. 977/ 28, f. 44.

Al contempo non va sottovalutato il fatto che questo regime di agevolazioni permetteva all’amministrazione coloniale di esercitare un controllo diretto sull’attività di proselitismo svolta dalle diverse confessioni. Un monitoraggio effettuato con cura particolare anche sulle iniziative di evangelizzazione degli organismi cattolici, in primis gli istituti missionari, che invece davano quasi per scontato il poter usufruire in colonia di quel regime di libertà ed agevolazioni di cui godevano in Italia, seppure ancora in un’epoca pre-concordataria.

Pur con sfumature diverse i vari governi italiani fino all’avvento del fascismo avevano progressivamente posto sotto controllo la spinta missionaria-proselitista della Chiesa cattolica, soprattutto quando essa tentava di espandersi in zone a maggioranza ortodossa od islamica, col rischio di provocare conseguenze dirompenti per il già assai precario equilibrio della giovane colonia.

Nella sua relazione per il cardinale Sincero Lépicier evidenziò questa prassi governativa non dichiarata di contrasto anticattolico, motivata da precisi calcoli opportunistici oltre che da ragioni di ordine pubblico. Come nel caso in cui il governo confiscò tre scuole alle missioni, non esitando però ad impiegare alcune suore e un missionario come insegnanti196.

Va ricordato che la disponibilità di religiosi da utilizzare come personale insegnante per il governo italiano rappresentò spesso una comoda soluzione al non facile problema della reperibilità di maestri adatti e capaci, in grado di reggere all’ambiente eritreo così diverso da quello italiano.

Infatti non solo mercanti e avventurieri, ma molti altri italiani che giungevano in colonia per essere impiegati nelle diverse funzioni dell’amministrazione non di rado si

resero responsabili di episodi di indisciplina e arroganza, per non parlare della violenza esercitata nei confronti degli indigeni, specie se donne.

Raramente poi questi italiani immigrati accettavano di risiedere nei centri dell’interno o in quelli minori sulla costa, spesso piccoli villaggi senza le comodità dei “bianchi”. Preferivano piuttosto restare all’Asmara dove si trovavano tutte le agevolazioni delle città italiane più attrezzate. E dunque la disponibilità all’insegnamento che i religiosi e ancora di più le religiose offrivano, risolveva un problema gravoso per il governo. Ciò spiega come mai sin dal tempo dei primi insediamenti dei cappuccini italiani l’amministrazione coloniale avesse cercato con insistenza di coinvolgerli nella conduzione delle scuole.

I cappuccini però avevano quasi sempre declinato l’invito, replicando che il loro ordine religioso non era specificamente indirizzato all’istruzione scolastica. Anche per questa indisponibilità la loro presenza nei maggiori centri della colonia iniziò ad essere mal percepita da molti funzionari, tanto da farsi strada l’idea di richiedere in colonia un’istituzione cattolica disponibile a svolgere un lavoro soprattutto in ambito educativo. Furono contattati i fratelli della dottrina cristiana, che però essendo in maggioranza francesi declinarono l’invito per spirito di solidarietà verso i connazionali lazzaristi espulsi a vantaggio dei cappuccini italiani197.

Nella sua relazione alla Congregazione Orientale Lépicier cercò comunque di stemperare le accuse addebitate ai cappuccini, da quelle più gravi provenienti dal clero indigeno, a quelle meno compromettenti dei funzionari e dei coloni, tentando di illustrare una situazione in cui si alternavano una serie di punti di forza e di debolezza, attribuendo

la causa scatenante dei problemi anzitutto alle tensioni derivate dall’avvicendamento tra lazzaristi francesi e cappuccini italiani.

Ad esempio sottolineò come a causa del repentino cambio di personale missionario la percentuale di cristiani “scismatici” convertiti al cattolicesimo era significativamente diminuita, fin quasi a terminare del tutto198. Evidenziò pure una generale buona disposizione dei cappuccini a lavorare in contesti abbastanza difficili, anche se in realtà ciò riguardava soprattutto quei pochi frati che si trovavano nella regione del Barca tra gli indigeni Cunama199.

Al contempo rilevò che la maggioranza dei cappuccini italiani aveva una conoscenza alquanto carente delle culture e delle lingue locali, tale da non permettergli di entrare in contatto in modo adeguato con le popolazioni autoctone: su 22 frati presenti in Eritrea solo 3 o 4 potevano predicare in lingua tigrigna200. Tutti gli altri ne avevano una conoscenza alquanto scarsa, non potendo così interloquire con la gente se non in modo superficiale201. Ancora meno conoscevano l’antica lingua liturgica etiopica Ghe’ez con evidenti ripercussioni negative, sia sulla conduzione del seminario che sulla missione in generale.

Lépicier dovette anche riconoscere l’ostilità manifestata da molti cappuccini nei confronti degli indigeni, specialmente se preti, come era stato denunciato dalle lettere inviate a Roma: “Mancano di buone maniere…Non permettono mai che un prete indigeno mangi alla loro mensa, perfino nelle circostanze più solenni”202

. Molti preti eritrei infatti gli avevano raccontato diversi episodi di questo tipo, come quando in una festività di San Francesco avevano potuto prendere parte solo alla celebrazione liturgica, ma non al 198 Idem, f. 39. 199 Idem, f. 17. 200 Idem, f. 18. 201 Idem, f. 18. 202 Idem

pranzo successivo. Finita la celebrazione i missionari avevano “invitato” i preti indigeni a tornarsene alle loro case, mentre gli altri ospiti -praticamente solo gli italiani e gli altri europei lì residenti- si erano seduti ai tavoli.

Simili episodi erano abbastanza risaputi, anche perché era tale il senso di umiliazione per i sacerdoti locali che questi ne parlavano un po’ con tutti quelli che incontravano, facendo sì che crescesse tra la popolazione un sentimento di sdegno per i frati cappuccini. Praticamente un po’ in tutte le missioni in cui i cappuccini impiegavano i sacerdoti autoctoni a svolgere un servizio presso le comunità indigene, da Saganeiti a Cheren, questi non venivano mai ospitati nelle case dei frati, ma sempre in capanne separate dove qualche donna preparava loro da mangiare e un giaciglio per terra203. Inoltre i preti indigeni avevano lamentato a Lépicier il divieto loro imposto di celebrare la Messa nella cattedrale di Asmara e di usare i calici dei missionari.

Il visitatore apostolico non mancò di segnalare a Roma anche alcune operazioni finanziarie alquanto arbitrarie e discutibili, come la decisione dei cappuccini di investire 200.000 lire della missione nel Prestito del Littorio, cosa che fu pubblicata con enfasi nel diario ufficiale della Colonia204. Copie di questo numero del diario coloniale furono mostrate a Lépicier in diverse occasioni, sia da preti indigeni che da notabili locali con cui aveva avuto modo di dialogare.

Tutti costoro gli avevano evidenziato il contrasto tra la grande disponibilità di denaro dei padri cappuccini -che avevano così la possibilità di bloccare in un prestito una somma assai rilevante per l’epoca-, e i loro reiterati dinieghi a sovvenire alle necessità materiali dei preti locali e le rispettive comunità, dichiarandosi sempre “carenti” di mezzi finanziari. In verità la cospicua sottoscrizione cappuccina al “Prestito del Littorio” aveva

203 Idem, f.19. 204 Idem

finito per sconcertare pure non pochi italiani, anche perché la si confrontava con quella - ben più contenuta ma pur sempre rilevante- di 25.000 lire sottoscritta dal governatore della colonia Jacopo Gasparini205.

Approssimazione e superficialità nonché l’ostilità verso i locali parevano dunque marcare l’azione di molti cappuccini italiani in Eritrea. A ciò bisogna aggiungere l’eccessiva concentrazione di missionari a servizio dei coloni italiani che i preti indigeni avevano segnalato a Lépicier: su 22 cappuccini sacerdoti, 8 vivevano nella capitale della colonia, ed erano tutti a servizio della popolazione italiana che contava circa 3.000 abitanti206.

Essendo così distribuiti non avevano tempo né occasione di effettuare visite ai villaggi dei nativi né di intrattenere relazioni con il clero cattolico indigeno, e men che meno dei contatti col clero ortodosso. Al contrario, grazie alle agevolazioni e gli sconti sui viaggi in nave e treno di cui potevano usufruire, molti di loro tornavano periodicamente in Italia con una relativa facilità e frequenza. Anche su questo punto Lépicier chiese alla Congregazione Orientale di intervenire presso i superiori cappuccini, affinché diminuissero i viaggi dei loro sottoposti per l’Italia, altrimenti “…non si affezionano mai alla missione loro affidata”207.

Suggeriva inoltre di utilizzare meglio queste agevolazioni nei viaggi, ad esempio permettendo anche ai tanti preti indigeni che desideravano compiere un viaggio a Roma la possibilità di realizzare questo sogno.

Per alleggerire un po’ le criticità addebitate ai cappuccini, tenne a rimarcare che c’erano tra loro delle eccezioni significative, come quei quattro cappuccini risiedenti a

205

Idem, f. 20.

206 Idem 207 Idem, f. 21.

Barentu nella regione del Barca, che si erano impegnati nell’evangelizzazione degli indigeni con uno stile di vita povero e vicino a quello della popolazione208.

Ma per quanto volesse stemperare la lunga serie di dolenti critiche, non poteva prescindere più di tanto dalle denunce del clero indigeno cattolico, che poi avevano costituito la ragione principale a motivare la Santa Sede ad inviarlo in ispezione. Della visita di Lépicier e del suo significato però nella bibliografia cappuccina edita fino ad oggi non vi è praticamente traccia, se si fa eccezione di un brevissimo cenno nel già citato volume di Metodio da Nembro209.