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La conversione di sacerdoti ortodoss

Una volta eletto pro vicario degli indigeni Chidané Mariam Cassa giunse a Roma -su indicazione di Lépicier a Pio XI305- per preparare la venuta di alcuni sacerdoti ortodossi intenzionati ad entrare nella Chiesa cattolica. Il 27 Novembre 1928 presentava a Lépicier -nel frattempo nominato cardinale da Pio XI- la domanda di ammissione di quattro di questi sacerdoti, due dei quali erano sposati306. Chiese che venissero ospitati presso il Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano, dove avrebbero risieduto per trascorrere un tempo di preparazione teologica prima di essere ammessi alla nuova ordinazione sacerdotale cattolica. Lépicier aveva parlato di molti altri sacerdoti ortodossi etiopi ed eritrei che chiedevano con insistenza di essere accolti nella Chiesa cattolica, ma il cardinale Sincero segretario della Congregazione Orientale davo molto peso al giudizio del collega Lépicier, il quale gli sconsigliò di far venire a Roma i due casi più problematici, cioè i preti sposati, caldeggiando viceversa la domanda dei due celibi entrambi monaci, uno dei quali proveniente dal celebre monastero di Debre Bizen -visitato da Lépicier- e l’altro dal monastero di Debra Morcorios307.

304 ACO, serie Etiopi, prot. 1920/ 28, f. 12. 305 Idem, f. 2.

306

Due di questi sacerdoti ortodossi, originari dell’Eritrea, erano sposati ma furono subito abbandonati dalle mogli non appena queste seppero della loro decisione di farsi cattolici, cfr. ACO, Op. cit., f. 14.

La conversione al cattolicesimo di due monaci, che nella tradizione etiopica godevano di una maggiore considerazione rispetto ai semplici preti di campagna, avrebbe provocato una notevole impressione in Etiopia. E questo era proprio l’intento di Lépicier, suscitare cioè “una grande impressione in Abissinia”308, per far breccia quanto più possibile nel mondo ortodosso etiopico suscitando conversioni al cattolicesimo.

Sincero chiese allora al padre Camillo da Torino rettore del Pontificio Collegio Etiopico di preparare l’accoglienza di questi due sacerdoti, affinché fossero “agevolati nell’opera di rieducazione necessaria all’esercizio del sacro ministero, secondo i requisiti della Chiesa Cattolica”309

; pur essendovi nel Collegio forti tensioni tra i superiori cappuccini e gli studenti abissini, che provenivano tutti dal vicariato d’Eritrea. E infatti nel Febbraio 1929 nonostante la formale adesione del rettore al comando del cardinale Sincero310, il padre spirituale del Collegio Teclé Mariam Semharay comunicava all’assessore Cicognani dell’Orientale la sua piena contrarietà alla venuta a Roma dei due preti ortodossi311

.

Questi motivò la sua obiezione dicendo che una volta ammessi i due sarebbero rimasti “fortemente scandalizzati”, visto che nel Collegio non si osservavano i duri e prolungati digiuni della tradizione ortodossa etiopica, col risultato che avrebbero divulgato il fatto in patria “con altrettanto scandalo di quei fedeli e infedeli”312. Il cardinale Sincero però, verosimilmente consultatosi con Pio XI, non diede “alcun conto”313 al parere di costui e confortato dal giudizio opposto del padre rettore, decise di non bloccare l’operazione.

308 Idem, f. 15. 309 Idem, f. 17. 310 Idem, f. 18. 311 Idem, f. 22 312 Idem 313 Idem, f. 23.

La vicenda di questi due monaci, abba Hailémariam Ghebresellassié di anni 35 e abba Hailemariam Zerù di anni 29314, venne seguita personalmente da Pio XI315. In un’udienza a Sincero nell’Aprile 1929 ne autorizzò la dimora presso il Collegio Etiopico. C’è da dire che alcuni mesi più tardi si ebbe un’inedita convergenza di vedute tra il direttore spirituale del Collegio Etiopico Teclé Mariam Semharay e il vicario d’ Eritrea Cattaneo. Anche questi infatti aveva espresso delle riserve sul domicilio dei due monaci al Collegio Etiopico, suggerendo all’Orientale di destinarli invece al primo monastero cattolico che si sarebbe aperto in Eritrea, visto che proprio in quel periodo la Santa Sede stava procedendo, pur tra mille cautele, all’istituzione del monachesimo cattolico nella colonia italiana316

, accogliendo così dopo tanti dinieghi il progetto del cappuccino Angelico da None.

Nel Dicembre 1929 erano già pronti quattro candidati da inviare in qualche monastero d’Italia -occorreva decidere se presso l’abbazia di San Paolo fuori le mura a Roma o in quella di Farfa- per la specifica formazione alla vita monastica cattolica317. La Congregazione Orientale chiese però un esplicito parere favorevole da parte del vicario Cattaneo prima di coinvolgere l’abate di San Paolo nella vicenda. Infatti solo dopo il suo eventuale assenso l’abate di San Paolo avrebbe dovuto incontrare e valutare i candidati presso il Collegio Etiopico e, se lo avesse ritenuto opportuno, li avrebbe accolti nell’abbazia di San Paolo per il periodo formativo318.

Dei due monaci convertiti, Hailemariam Zerù fu accolto nel Collegio Etiopico nell’Aprile 1929, mentre di Hailémariam Ghebresellassié si persero le tracce probabilmente 314 Idem, f. 32. 315 Idem, f. 19. 316 Idem, ff. 29 - 30. 317

Si trattava di Abba Hailémariam, già accettato dai Benedettini di Farfa ma all’epoca ancora residente nel Collegio Etiopico di Roma; Abba Hailémariam Zerù, ex monaco ortodosso da poco convertito e residente anch’egli al Collegio Etiopico; Abba Chefle Jesus Ghebrémariam, al momento ancora parroco a Zagher in Eritrea e in attesa del permesso di Cattaneo; infine Abba Hailémariam Ghebresellassié, anch’egli ex monaco ortodosso, ora in viaggio per Roma. Cfr. ACO, Op. cit., f. 38.

perché stanco dell’attesa. Infatti era andato ad Addis Abeba, e solo più tardi si riuscì ad informarlo che lo attendevano a Roma319. Hailemariam Zerù fu istruito nella fede cattolica per circa otto mesi dal provicario degli indigeni Chidané Mariam Cassa, anche lui ospite del Collegio Etiopico, e dopo un esame da parte del Vescovo Pisani320, consultore della Congregazione Orientale, venne ammesso a ricevere il battesimo e la cresima cattolica.

Nel Gennaio 1930 giunsero a Roma dei notabili eritrei per assistere al matrimonio del principe ereditario d’Italia. Tra questi c’era pure l’abate del monastero del Bizen, incontrato da Lépicier durante la sua visita in Eritrea del 1927. E in considerazione dell’importante ruolo che nella storia dell’Etiopia avevano avuto gli abati del Bizen, il vicario Cattaneo aveva scritto a Sincero raccomandandogli di fargli avere un’udienza pontificia321

. Pur dando una disponibilità generica all’udienza, Pio XI tuttavia non sembrò particolarmente interessato a riceverlo, almeno da quanto emerge da una nota autografa di Sincero: “Se l’abate del grande Monastero Copto ortodosso del Bizen farà domanda di udienza a Mons. Maestro di Camera, si vedrà se sia opportuno di riceverlo”322.

Circa la conversione dei monaci ortodossi abissini nel periodo precedente la guerra italo-etiopica del 1935-36, è da notare che dalla documentazione d’archivio dell’Orientale sono registrati diversi altri casi, ma comunque non così numerosi come Lépicier aveva voluto far credere a Sincero e al Papa. Questi provenivano soprattutto dall’Eritrea, grazie più che altro alla propaganda dei sacerdoti indigeni e dello stesso loro vicario Chidané Mariam, e non invece dei missionari.

Ad esempio il 26 Marzo 1933 il vescovo indigeno procedette all’ordinazione sacerdotale cattolica di tre sacerdoti ortodossi nella cattedrale indigena di rito Etiopico di 319 Idem 320 Idem, f. 34. 321 Idem, f. 37. 322 Idem, f. 36.

Asmara, per l’occasione gremita di fedeli cattolici indigeni, ma anche di “dissidenti” -termine usato all’epoca dai cattolici per designare gli ortodossi- giunti per l’evento.

Il fatto ebbe una grande eco nella colonia e fu riportato anche dal periodico dei missionari cappuccini Parole Buone che mise in evidenza l’eccezionalità dell’evento: “…Assistere a una scena di questo genere non è cosa comune…Gli ordinandi provarono il benefico effetto di una fede così viva da parte dei loro nuovi fratelli. Mai non avevano provato cosa simile in seno all’eresia. Ha questo di proprio l’eresia: le freddezze del rito, senza uno slancio di amore. Si sente che l’eresia è la morte…L’aspetto (dei neo ordinati) era un po’ di gente impacciata, ma l’occhio era sereno, sorridente, non più velato di tristezza né cupo come, in generale, l’occhio degli eretici”323.

Per il sostentamento dei neo sacerdoti il vescovo Chidané Mariam chiese ed ottenne dalla Congregazione Orientale un sussidio mensile di 300 lire per ciascuno di essi324. Non tutti i casi di sacerdoti convertiti ebbero però un felice esito. A volte, come nel caso di un ex monaco del Bizen, certo Ghebresellasié, il quale dopo la conversione al cattolicesimo aveva manifestato l’intenzione di lasciare il sacerdozio per contrarre matrimonio. La sua richiesta di essere “ridotto” allo stato laicale fu accolta solo dopo le reiterate insistenze di Chidané Mariam presso l’Orientale e la Congregazione del Sant’Uffizio, che era poi il dicastero ad avere la competenza sui casi di sacerdoti che chiedevano di tornare allo stato secolare325.

Va detto però che la prassi del tempo per casi del genere era sempre complessa, a prescindere dalla provenienza geografica o di rito del richiedente. Inoltre i casi di conversioni di sacerdoti ortodossi etiopi ed eritrei si andarono considerevolmente affievolendo con l’approssimarsi delle ostilità belliche dell’Italia nei confronti dell’Etiopia.

323

Cfr. Parole Buone, Anno XVII, Maggio 1933, N. 5, Op. cit., pp. 36-37.

324 Idem, pp. 41, 43. 325 Idem, pp. 45-51.