Una volta avuto un quadro complessivo della situazione del vicariato d’Eritrea Lépicier indicò alla Congregazione Orientale una serie di misure da adottare quanto prima al fine di stemperare la ribellione del clero indigeno. Anzitutto suggerì la rimozione del vicario apostolico Cattaneo la cui posizione era ormai divenuta assai problematica quando non insostenibile, tanto che il medesimo aveva dato al visitatore apostolico piena disponibilità a farsi da parte267.
La sua linea di governo apostolico aveva suscitato tante nuove problematiche senza risolvere quelle per cui era stato nominato vescovo. Non aveva saputo porsi in modo equidistante rispetto ai diversi contendenti, non di rado schierandosi eccessivamente a favore di una delle parti, cioè quella dei cappuccini contrapposti ai preti indigeni, cosa che non aveva di certo aiutato la ricomposizione del conflitto. Per questo Lépicier suggeriva di nominare un superiore regolare dei missionari che fosse distinto dalla persona del vicario apostolico268.
Bisognava poi che i cappuccini fossero “…obbligati ad imparare assolutamente il tigrignà, poiché è cosa insoffribile che dei missionari vissuti per diecine di anni in Eritrea, non sappiano ancora parlarlo” 269
. Inoltre occorreva che i missionari accettassero di essere inviati in altre località della colonia anziché restare, la gran parte di essi, risiedenti nella capitale Asmara o nei centri ove dimoravano soprattutto gli italiani, che fossero civili o militari, lasciando così gran parte delle incombenze dell’apostolato rivolto agli indigeni sulle
267
Idem, f. 49.
268 Idem, f. 50. 269 Idem
spalle dei preti locali, che però non riuscivano a rispondere alle molte necessità e richieste, specialmente quelle inerenti al seminario e alle località del Bassopiano eritreo270.
Andava altresì modificato profondamente il tipo di relazioni tra missionari e clero locale superando quel rapporto di sudditanza non dichiarata -ma vissuta-, a cui continuavano ad essere sottoposti i sacerdoti locali. In modo sottile Lépicier non perdeva occasione di confrontare l’operato dei cappuccini italiani, ritenuto assai più paternalista e autoritario di quello dei lazzaristi francesi delle missioni etiopiche di Alitiena e Guala che invece, a suo dire, accettavano di condividere la mensa coi sacerdoti locali “con tanto profitto”271. Non esitò tuttavia a segnalare alla Congregazione Orientale i nomi di quei sacerdoti abissini che avevano partecipato ad una rivolta contro il vescovo Cattaneo272.
Circa i chierici indigeni, questi dovevano accettare di “sottostare alle leggi ecclesiastiche secondo lo spirito della Chiesa Romana… quindi il clero eritreo non si senta troppo libero dalle leggi della Chiesa universale”273. Riconosceva però che bisognava apportare quanto prima dei miglioramenti economici per sollevare le condizioni miserevoli di questi preti, dal momento che la cifra stabilita di 6 lire per l’elemosina della celebrazione quotidiana della Messa era ampiamente insufficiente.
Pertanto proponeva un ulteriore sussidio di 4 lire “ad arbitrio della Santa Sede”, così da assicurare a ciascun sacerdote indigeno la somma di 10 lire giornaliere, che se pure a detta di molti restavano insufficienti, per Lépicier avrebbero soddisfatto in modo dignitoso le loro necessità274. Poneva però delle condizioni precise: per ricevere il sussidio questi sacerdoti
270 Idem 271 Idem, f. 51. 272 Idem 273 Idem 274 Idem, f. 52.
dovevano risiedere obbligatoriamente nel proprio villaggio, assicurare l’insegnamento catechistico, l’assistenza dei malati e altre eventuali necessità275.
Sulla richiesta corale di un vescovo eritreo da parte dei preti autoctoni, Lépicier espresse forti perplessità. Secondo lui era sufficiente nominare un sacerdote locale come rappresentante dei preti indigeni, che svolgesse la funzione di provicario, quale poteva essere abba Kidanè Mariam Cassa. Questi però doveva dipendere completamente dal vicario apostolico d’Eritrea, che sarebbe stato un vescovo cappuccino. Lépicier però riconosceva -non senza una certa suggestione- che l’ipotesi di un vescovo cattolico indigeno avente giurisdizione sugli indigeni, avrebbe avuto un forte impatto sul mondo ortodosso abissino276. Inoltre proprio in quel periodo a seguito della morte dell’Abuna Matteos primate della Chiesa ortodossa etiopica, si stava facendo strada nella corte di Addis Abeba -primo tra tutti il reggente Ras Tafari-, l’idea che era giunto il tempo di chiedere al patriarcato di Alessandria -da cui dipendeva la Chiesa ortodossa etiopica- la nomina di un Abuna etiopico, interrompendo così l’antichissima consuetudine che vedeva il patriarcato alessandrino esercitare un vero e proprio padronato sulla Chiesa d’Etiopia, designandone il primate tra il clero egiziano copto 277.
Lépicier riteneva però l’eventualità di un vescovo cattolico eritreo del tutto prematura, sia per la reazione dei missionari, che in un’ipotesi del genere avrebbero scorto la prospettiva di dover “sottostare quasi, al clero indigeno”278, ma ancora di più temeva la reazione del clero autoctono cattolico, che avrebbe potuto sviluppare indebiti atteggiamenti autonomisti che a suo dire avrebbero finito per generare “dei gravi litigi fra di loro stessi”279.
275 Idem 276 Idem 277 Idem 278 Idem, f. 53. 279 Idem
Inoltre paventava l’aperta opposizione che sarebbe giunta dal governo italiano, che certamente avrebbe opposto un fermo dissenso alla nomina di un indigeno -per quanto un ecclesiastico- ad una sì alta carica280. Appena dieci anni dopo però l’autocefalìa della Chiesa ortodossa etiopica sarebbe rientrata nelle strategie imperialistiche del fascismo colonialista, secondo le diverse prospettive del generale Rodolfo Graziani e del ministro dell’Africa Orientale Italiana Alessandro Lessona281
.
Ma al di là di considerazioni di carattere strategico o diplomatico, l’esperienza alquanto conflittuale in cui si erano contrapposti da un lato il vicario apostolico Cattaneo e la maggioranza dei cappuccini, e dall’altro i preti secolari indigeni, poneva un serio interrogativo sulla capacità effettiva del vicario d’Eritrea -qualora a questo incarico fosse rimasto un cappuccino-, di poter dirimere con lucidità e distacco sufficiente i molti e complessi problemi del vicariato.
Lépicier non credeva possibile procedere alla rimozione dell’ordine cappuccino dall’Eritrea, visti i loro ottimi uffici negli alti ambiti statali italiani oltreché naturalmente in quelli ecclesiastici. Alla Congregazione Orientale propose pertanto di far dipendere il vicariato d’Eritrea dall’autorità superiore del delegato apostolico di Alessandria d’Egitto282
, persuaso così che gran parte dei gravi inconvenienti accumulatisi negli anni avrebbero avuto una qualche soluzione soddisfacente per tutti. Tale possibilità a suo avviso non sarebbe stata percepita dai sacerdoti locali come inappropriata, appunto in virtù degli antichi legami giurisdizionali tra la Chiesa alessandrina e quella abissina-etiopica283.
Anche sul Pontificio Collegio Etiopico di Roma sentì suo dovere esprimere una valutazione, pur non avendolo visitato ne aveva infatti sentito parlare spesso sia dai
280 Idem 281
Paolo Borruso, L’ultimo impero cristiano..cit., pp. 215-216.
282 ACO, op. cit., f. 54. 283 Idem, f. 55.
cappuccini che dai preti indigeni. Da tutti aveva ascoltato sempre dei giudizi piuttosto negativi: dalla non adeguata selezione degli studenti che venivano inviati a Roma, all’eccessiva diversità dell’ambiente romano che finiva per nuocere alla mentalità tradizionale indigena degli alunni.
A suo giudizio il numero degli alunni andava aumentato così da rendere la loro comunità più consistente. Inoltre occorreva approntare un modello formativo più in sintonia con la tradizione etiopica ed ammettere al Collegio anche alcuni dei sacerdoti etiopi che si trovavano a Roma per studi di specializzazione, come pure qualcuno dei preti ortodossi che avevano chiesto di convertirsi al cattolicesimo284.
Circa l’attività delle suore di S. Anna le sollecitava ad intraprendere maggiori attività pastorali a favore degli indigeni e un po’ meno per gli italiani. Sulla difficile condizione delle suore indigene chiese alla Congregazione Orientale di intervenire direttamente su Cattaneo, affinché si rendesse conto della sua infelice decisione di sopprimere la loro comunità “dopo tanti anni che servivano alla Missione, e dopo tanta simpatia che avevano presso i loro connazionali”285
. Sarebbe stato opportuno che le avesse nuovamente riunite in un’istituzione, sia che questa avesse avuto una sua autonomia o che fosse stata sotto tutela di “buone religiose italiane” 286.
284
Idem, f. 57.
285 Idem, f. 58. 286 Idem