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Nelle missioni dell’Abissinia

Dopo aver lasciato Monoxoito, l’ultima missione eritrea prima del confine, il 18 Maggio 1927 Lépicier entrava nell’ impero d’Abissinia per visitare le missioni cattoliche affidate ai lazzaristi francesi, che qui a differenza dell’Eritrea non erano stati espulsi. Il vicariato d’Abissinia in quanto a personale missionario era ben più modesto rispetto a quello dell’Eritrea, con meno missioni e meno risorse finanziarie, trovandosi ad agire nel cuore dell’Abissinia storica a stragrande maggioranza ortodossa. I missionari francesi erano solo quattro, coadiuvati da 12 sacerdoti autoctoni. C’erano anche una ventina di suore indigene, molte delle quali impegnate nelle chiese e nel seminario. Per migliorare la loro formazione il superiore generale lazzarista padre Verdier aveva deciso l’invio di due suore lazzariste. Nel complesso anche qui la condizione dei religiosi, tanto francesi quanto abissini, non era per nulla facile dal momento che dovevano affrontare l’ostilità dei nobili e del clero ortodosso. Si cercava di ovviare con donativi e soldi per “comprarsi la libertà”287 di poter viaggiare per i territori dell’impero etiopico senza troppe vessazioni.

Missionari e preti cattolici indigeni vivevano in una condizione per certi versi surreale, sospesi tra la possibilità sempre incombente dell’espulsione o del carcere, e quella di una libertà permanentemente vigilata e precaria. Come ad esempio aveva sperimentato un prete cattolico abissino, per il solo fatto di essere entrato senza autorizzazione nel territorio di Gondar, ragione per cui era stato condannato a sei mesi di dura prigione288.

I missionari erano suddivisi in sette stazioni: Alitiena che era sede del superiore dei lazzaristi, Guala, Adigrat sede di un seminario, Kerker presso l’antica capitale abissina, Gondar dove vivevano padre Sournac e un prete indigeno, Mendida dove risiedeva il padre

287 Idem, f. 61. 288 Idem, f. 62.

Baeteman che solo recentemente aveva potuto mostrarsi come prete cattolico dopo aver vissuto per anni sotto le spoglie di un agente commerciale. Infine nella capitale Addis Abeba c’era la casa procura delle missioni con annesse una chiesa ed una scuola289

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Sottolineando la diversità di queste missioni da quelle eritree, Lépicier usò toni molto meno aspri nel descrivere alla Congregazione Orientale il lavoro dei missionari lazzaristi. La missione di Alitiena ad esempio veniva descritta come un luogo di fraternità, in cui il superiore della comunità padre De Witt un fratello laico e tre preti indigeni vivevano una vita comunitaria senza tensioni e problemi290.

Giunto ad Alitiena i lazzaristi lo sconsigliarono di recarsi nelle altre missioni essendo egli un alto rappresentante del pontefice romano, la sua presenza avrebbe potuto facilmente essere strumentalizzata dagli ambienti più ostili della corte. Per questo motivo i missionari delle varie stazioni gli erano venuti incontro ad Alitiena che era sede del vicariato. Superiore del vicariato d’Abissinia non era un vescovo ma un semplice sacerdote, padre Gruson291 un lazzarista francese da quarant’anni in Etiopia di cui Lépicier esaltava lo spirito di servizio, pur ammettendo che negli ultimi tempi aveva perso un po’ del suo zelo a causa di una certa ingratitudine del clero indigeno292.

In realtà Lépicier non fece alcun cenno all’Orientale di quanto Gruson fosse stanco e demotivato, e di come sin dal 1922 avesse chiesto alla direzione generale dei lazzaristi di Parigi di essere esonerato dall’incarico di superiore del vicariato. Una domanda che restò inascoltata ma che avrebbe riformulato a meno di un anno dalla visita di Lépicier e altre volte ancora, fino alla sua morte avvenuta nel 1934293.

289

Idem, f. 61.

290 Idem

291 Monsieur Edouard Gruson era nato il 20 Febbraio 1863 a Escarene (Alpes Maritime, Francia), ordinato

sacerdote il 20 Marzo 1885 entrò nella Società di San Vincenzo de’ Paoli nel 1894.

292 Idem, f. 61.

A differenza dei cappuccini italiani d’Eritrea qui i missionari -sottolineava con enfasi Lépicier- si erano imposti “…il grave sacrificio di convivere…coi preti indigeni, con i quali condividono il loro vitto, anche quello che vien loro inviato dall’Europa, ed anche quando è scarsissimo”294. Dei preti indigeni di questo vicariato Lépicier si era fatto una buona impressione, anche se gli sembravano “alquanto esigenti”295 a causa della vicinanza e delle relazioni con i vicini sacerdoti eritrei, ritenuti assai più conflittuali e problematici. Ed era proprio questa secondo lui la ragione principale che aveva portato pure i sacerdoti abissini-etiopi a lamentarsi e a chiedere sempre più concessioni e riforme ai missionari, uniformandosi in tal modo ai loro colleghi eritrei: dalla nomina di un proprio rappresentante presso la Congregazione Orientale, ad una migliore istruzione per le suore indigene; da migliori condizioni economiche ed educative per il seminario, all’aumento delle elemosine per le celebrazioni liturgiche296.

Tuttavia su queste rivendicazioni Lépicier sorvolò facilmente ritenendo che non occorreva “dar molta importanza a queste piccole cose”297, appunto perché questi sacerdoti gli erano sembrati più in armonia con i missionari francesi rispetto agli eritrei con gli italiani. E ciò grazie, ci teneva a sottolineare, alla particolare cura dei lazzaristi e dunque non a caso gli indigeni domandavano un numero maggiore di missionari francesi298. In tutti i villaggi cattolici in cui giunse fu accolto molto bene dalle popolazioni, in genere assai impressionate dalla presenza di un inviato papale. Ovunque i capi villaggio avevano da chiedergli qualcosa: dalle scuole alle chiese, dai cimiteri cattolici all’invio di nuove suore299

. 294 Idem, f. 62. 295 Idem 296 Idem, f. 63. 297 Idem, f. 64. 298 Idem 299 Idem

Per le missioni d’Etiopia Lépicier non avanzò proposte o piani particolari, se non ribadire più e più volte che non bisognava dare troppa importanza alle lamentele dei preti indigeni -che pur tuttavia gli erano state manifestate-, dal momento che questo vicariato era “così ben diretto”300

dai lazzaristi.

Tra i pochissimi rilievi che fece c’era quello sul seminario di Guala, per cui occorreva migliorare l’insegnamento e la condizione dei seminaristi. Invece sconsigliò del tutto l’apertura di un’università etiopica nella città di Dire Daua, come era stato proposto di fare alla Congregazione Orientale. La riteneva infatti una proposta del tutto fuori tempo, non essendo l’Etiopia ancora matura per un’istituzione così elevata. A suo parere erano più che sufficienti le scuole elementari esistenti301.

Solo sul punto riguardante l’aumento delle elemosine per le Messe celebrate dai preti indigeni non ebbe alcuna riserva. Per lui occorreva equipararle quanto prima a quelle nuove stabilite per gli eritrei, onde evitare differenze di trattamento302 che avrebbero generato ribellioni, dal momento che “non bisogna mai dimenticare che gli Etiopi, tutti indistintamente, conservano sempre un fondo di desiderio di autonomia”303

. La Congregazione Orientale avrebbe accolto l’indicazione di Lépicier di nominare

il delegato apostolico dell’Egitto Valerio Valeri quale responsabile supervisore dei vicariati apostolici d’Eritrea e d’Abissinia, nella speranza che col suo ruolo più esterno e non direttamente coinvolto nelle vicende dei due vicariati avrebbe contribuito a rasserenare quelle sempre più turbolente missioni. E già nel 1928 vale a dire pochi mesi dopo la fine della visita

300 Idem, f. 65. 301 Idem, f. 66. 302 Idem 303 Idem, f. 65.

di Lépicier, la Congregazione Orientale scriveva al delegato Valeri invitandolo a preparare una visita d’ispezione in Eritrea ed Abissinia304

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