Castellani evidenziò innanzitutto la situazione in cui aveva trovato il clero, sia missionario che indigeno, sottolineando al contempo la necessità di inviare missionari dotati di alcune caratteristiche fondamentali: un’adeguata preparazione culturale finalizzata all’insegnamento, nonché l’abilitazione per le scuole, senza tralasciare la carità: “…e più ancora il tatto della prudenza e dell’equilibrio e questo sia verso gli indigeni non cattolici sia
verso il nostro clero indigeno sia verso le Autorità politiche, la cui fiducia è sempre tanto utile tanto per fare come per non essere ostacolati a fare”450.
Sul clero indigeno sottolineò lo spirito di “pietà”, che gli era stato posto in evidenza dallo stesso Viceré Graziani451, anche se non nascose le lamentele espressegli da molti missionari su una presunta scarsa fortezza di carattere di questi sacerdoti, nonché sulla loro insufficiente formazione culturale e teologica, peraltro prospettatagli dagli stessi preti indigeni dell’Harar452
, ma già nota da anni agli organismi vaticani grazie alle relazioni dei visitatori apostolici Lépicier (1927) e Valeri (1932).
Parlando poi della formazione dei seminaristi, minori e maggiori, che nella sua prospettiva di simpatizzante dell’occupazione italiana dell’Etiopia, in un futuro prossimo non sarebbero stati solo indigeni ma anche italiani, e pertanto auspicava l’apertura di diversi seminari, anzi uno per ogni vicariato, con formatori che dovevano essere scelti tra i migliori missionari italiani.
Per gli studenti di teologia invece prospettò l’apertura di due seminari maggiori, uno per il rito Latino da stabilirsi “nello Stato di Addis Abeba”453 e alle dipendenze di Propaganda Fide, nel quale sarebbero confluiti tutti i seminaristi indigeni dei vicariati del Sud; un altro seminario invece per il rito Etiopico, anche questo da porsi nella regione di Addis Abeba o in Eritrea, da far dipendere dalla Congregazione per la Chiesa Orientale.
Per i più adatti allo studio ci sarebbe stata invece la possibilità “…di essere inviati al Collegio Etiopico di Roma” o a quello Urbano di Propaganda454. Inoltre in previsione della
450 Archivio di Propaganda Fide, Op. cit., f. 250. 451 Idem, f. 251.
452
Idem, f. 252.
453 Idem, f. 253. 454 Idem
grande affluenza di coloni con famiglie al seguito prefigurava anche l’apertura di un seminario esclusivamente per gli italiani455.
Nella sua relazione si soffermò pure sui contatti avuti con le personalità politiche. Anzitutto partì dai colloqui avuti a Roma con Mussolini e Lessona e successivamente con il maresciallo Graziani ad Addis Abeba. Con il capo del governo si era intrattenuto in un colloquio privato, e Mussolini non gli aveva lesinato consigli ed opinioni sulla missione della Chiesa cattolica in Etiopia, come sulle altre confessioni religiose e sulle popolazioni non cristianizzate: “…si degnò di espormi il suo pensiero in forma nitida e concisa… per i copti non esiste un argomento sostanziale che li divida dalla Chiesa Romana: quindi si deve riportarli a questa… Per i Musulmani”, aveva continuato Mussolini, “si deve usare molta cautela… perché possono suscitarci numerose e gravi difficoltà…è meglio lasciarli in pace fino a tempi migliori senza affrettate insistenze”, sui pagani invece “…essi sono del primo occupante, perciò li dobbiamo conquistare noi”456.
Castellani domandò a Mussolini se e in quale misura avesse potuto trovare aiuti concreti negli ambienti politici e governativi dell’Impero: “…il Duce rispose prontissimo e secco: Avrà tutto. Ed è stato vero”457. Mussolini gli assicurò che in breve tempo sarebbero giunti in A. O. I. almeno duecentomila operai. Su questo punto Castellani ricordò come lo stesso Pio XI gli avesse chiesto di adoperarsi innanzitutto per l’assistenza religiosa di costoro prima di affrontare le altre istanze pastorali.
A tal fine prima di lasciare Roma aveva avuto contatti con Enrico Cerulli all’epoca ancora direttore dell’ufficio politico del ministero delle Colonie, il quale gli aveva prospettato la disponibilità del ministero ad assumere con stipendio i futuri cappellani degli
455
Idem, f. 254.
456 Idem, f. 255. 457 Idem
operai458. E aveva incontrato anche i superiori maggiori dei diversi ordini ed istituti religiosi già presenti nel nuovo impero italiano, chiedendogli di non lesinare missionari da inviare come cappellani degli operai459.
Per Castellani però occorreva dare la priorità a quei cappellani militari disponibili a fare il passaggio ai raggruppamenti degli operai, vista l’esperienza acquisita sul posto. Circa le loro spese di mantenimento invitava i superiori degli istituti a confidare sulle parole di Cerulli460 che aveva assicurato la disponibilità del ministero delle Colonie a concedere il medesimo trattamento economico dei cappellani militari.
Ciò avrebbe risolto anzitutto il problema non secondario del loro sostentamento, altrimenti a completo carico degli istituti missionari. Trattandosi poi di salari equiparati a quelli dei capitani delle forze armate italiane, non solo sarebbero stati più che sufficienti ad assicurare un livello dignitoso di vita ai cappellani, ma avrebbero altresì fornito le missioni di preziose risorse economiche.
Questi cappellani sarebbero stati nella giurisdizione del vicariato castrense -oltre che quella dei propri superiori- per ciò che riguardava la loro attività missionaria. Infatti le autorità italiane avevano intenzione di militarizzare pure gli operai, a causa dei molti agguati ai primi cantieri aperti, segno evidente che la pacificazione della nuova colonia era tutt’altro che acquisita461.
Nell’udienza concessagli dal ministro Lessona questi gli espose le preoccupazioni governative sul tipo di presenza che si attendeva dalla Chiesa romana. Il ministro gli prospettò i possibili rischi di una eventuale azione missionaria troppo libera in una realtà come quella etiopica, per cui si dichiarò fiducioso “…nell’equilibrio e nel sincero
458 ACO, Etiopi, prot. 349/ 36, f. 6. 459
Idem, f. 291.
460 ACO, Etiopi, prot. 349/ 36.. cit. idem 461 Idem
amor di Patria del Missionario Italiano”462
. In pratica si attendeva dai missionari spirito di obbedienza e collaborazione con i governativi, che significava anzitutto rinunciare a svolgere la catechizzazione cattolica tra gli ortodossi e pure tra i musulmani, per favorire il più possibile la difficile pacificazione della colonia.
Ma il ministro insistette molto anche sulla necessità per lui “assoluta”463, di sostituire tutti i missionari francesi inclusi il vescovo Jarossseau e i più anziani cappuccini della provincia religiosa di Tolosa, che invece avevano chiesto di restare. Occorreva procedere alla piena italianizzazione del personale missionario, cosa che il governo italiano aveva già fatto intendere al Vaticano ma che il ministro gli ribadiva ora con particolare insistenza. C’era poi la questione dell’assegnazione del territorio dei Galla Sidamo che il governo voleva concedere ai padri della Consolata per “i meriti acquistati nel passato, la capacità scolastica, l’attività e l’organizzazione”464.
Anche Enrico Cerulli gli fece intendere come ciò fosse uno dei principali desiderata del potente ministro Lessona. Ma l’assegnazione di un territorio di missione non rientrava nelle facoltà del visitatore apostolico e pertanto Castellani sottopose la richiesta all’attenzione personale del Segretario di Stato Pacelli, dopo di averne fatto parola a Propaganda e alla stessa Segreteria di Stato, sottolineando che occorreva tenere gran conto di tali istanze: “…del suddetto Ministero per agire in grande cordialità col Regio Governo, dall’atteggiamento del quale, in quest’ora importantissima e decisiva per l’Etiopia, dipenderà molto la prosperità delle stazioni e scuole Missionarie”465
.
Dai dialoghi avuti con Graziani il visitatore apostolico ne rilevò la sostanziale identità di vedute con i due precedenti interlocutori, Mussolini e Lessona. Anche nei primi 462 Idem, f. 63. 463 Idem 464 Idem 465 Idem
colloqui avuti con i funzionari di grado inferiore generalmente ricevette dichiarazioni favorevoli nei confronti delle missioni cattoliche, nonché sull’operato che queste avrebbero potuto svolgere in ambito civile.
Anzitutto partendo dalle scuole, da sempre un campo di intervento privilegiato tanto da parte ecclesiastica come dal regime fascista. Su questo punto affermò di non aver incontrato vere obiezioni neanche in chi gli aveva manifestato delle perplessità su una più vasta opera di scolarizzazione che i missionari avrebbero potuto avviare di lì a breve.
Già nella sua prima nota informale inviata in Vaticano il 22 Ottobre Castellani non aveva mancato di accennare ad un suo coinvolgimento nella stesura del piano regolatore di Addis Abeba466. In esso aveva elaborato uno studio insieme ad alti funzionari governativi per pianificare gli insediamenti degli italiani nella città, ed elencava le opere da costruire. Anzitutto le nuove chiese cattoliche, che l’accresciuta presenza dei coloni italiani e del maggior numero dei cappellani e missionari avrebbe favorito, e che gli alti rappresentanti del governo gli avevano già promesso: “…Specie per la Capitale dell’Impero, tanto il Vice-Re come il Ministro delle Colonie ed altri Funzionari mi hanno detto che desiderano una cattedrale grandiosa, in cui si svolgano funzioni fastose essendo ciò richiesto e dal loro desiderio di vedere esaltata la nostra Religione…”467.
Richiamando quanto lo stesso Mussolini aveva promesso, Castellani scrisse che maestose cattedrali cattoliche avrebbero dovuto sorgere in tutte le sedi dei vicariati e prefetture apostoliche, a cominciare dalla città di Harar, sede dell’antico vicariato dei Galla,
466 Il Piano Regolatore di Addis Abeba era stato compilato, secondo quanto affermato da Mons. Giuseppe
D’Avack, Chierico Segreto di Sua Santità, su incarico del Governatorato di Roma e in collaborazione con l’ingegner Lenti ( parente del Cardinale Cremonesi) e con l’architetto Ignazio Guidi che ebbe pure l’incarico di sovrintendere all’attuazione del Piano. Questo grande progetto venne presentato il 10 Novembre 1936 agli ufficiali della Congregazione Orientale, i quali non mancarono di fornire indicazioni e chiarimenti sui criteri da adottare nella costruzione delle chiese di Rito Alessandrino - al quale veniva assimilato il Rito Etiopico -, “…con
raccomandazione di tener presente la necessità di pensare alla popolazione indigena di tale rito” (cfr. ACO,
Etiopi, cit., ff. 10-11).
ma anche a Gondar, antica capitale abissina e centro dell’ortodossia etiopica, dove gli amministratori locali si sarebbero adoperati volentieri per agevolarne la costruzione.
Il visitatore apostolico restò altresì contagiato -come d’altronde lo furono i suoi colleghi vescovi dell’A.O.I. e la gran parte dei missionari- dall’entusiasmo febbrile che rilevava attorno a sé: dai funzionari ai più umili emigrati italiani che si andavano insediando nelle diverse località dell’impero:“Urge lavorare in fretta, come fa la parte civile dal suo canto”468
e citando ancora ciò che Mussolini gli aveva detto, esaltò questa fase operativa in cui: “L’Impero sarà valorizzato con la stessa rapidità sbalorditiva con la quale è stato conquistato”469. Quando però il cardinale Segretario dell’Orientale Tisserant470
ricevette le sue prime informazioni dall’Etiopia, non mancò di rammentargli ancora una volta la necessità di costruire in Addis Abeba una o più chiese da destinarsi al rito Etiopico, vista
468
Idem
469 Idem, f. 257.
470 Eugenio Tisserant nacque a Nancy (Lorraine) il 24 Marzo 1884. Entrato nel seminario maggiore di Nancy il
1° Ottobre 1900, si appassionò alle scienze bibliche dedicandosi anche allo studio delle lingue orientali. Si diplomò brillantemente in ebraico, siriaco, arabo, etiopico ed assiro presso l’Institut Catholique di Parigi, avendo al contempo frequentato i corsi di lingue semitiche all’Ecole des langues orientales vivantes e all’Ecole des hautes études della Sorbona. Ordinato sacerdote a Nancy il 4 Agosto 1907, venne successivamente chiamato a Roma da Pio X ad insegnare lingua assira al Pontificio Seminario Romano, assumendo pure nel 1908 l’incarico della catalogazione dei manoscritti arabi Borgiani. Nel 1912 nominato scrittore aggiunto per le lingue orientali alla Biblioteca Vaticana. Rientrato in Francia a causa della prima guerra mondiale, venne inviato al fronte dove rimase ferito. Nel 1917 venne trasferito al Corpo di spedizione francese in Medio Oriente. A guerra terminata riprese l’incarico alla Biblioteca Vaticana e nel Novembre 1919 divenne assistente del Prefetto Mercati. Allo scopo di acquistare rari manoscritti e stampati di pregio, compì un lungo viaggio nell’oriente europeo ed asiatico nel 1923-24 e nel 1927 Pio XI lo inviò negli Stati Uniti a studiare il funzionamento delle grandi biblioteche americane, specialmente alla Library of Congress di Washington. Esperienza che mise a frutto nella riorganizzazione della Biblioteca Vaticana. Nel 1930 veniva nominato Pro Prefetto della medesima biblioteca e nel Concistoro del 15 Giugno 1936 Pio XI lo eleggeva cardinale. Pochi giorni dopo lo nominava Segretario della Congregazione Orientale per la sua vasta esperienza e cultura dei Paesi orientali. Rimase alla direzione del dicastero per ventitré anni avviando molti esarcati ed ordinariati cattolici nei Paesi orientali, fondando seminari, scuole, ospedali nonché disponendo la revisione e riedizione di molti libri liturgici nei riti orientali. In questa veste compì molti viaggi presso le comunità cattoliche dei Paesi ortodossi. Eletto vescovo suburbicario di Porto e Santa Rufina il 8 Febbraio 1946 e di Ostia nel 1951. Divenne membro di quasi tutte le Congregazioni Vaticane, presidente di Commissioni permanenti e della Pontificia Commissione per gli studi biblici. Nominato Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa da Pio XII nel 1957 e Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme da Giovanni XXIII nel 1962. Nel medesimo anno fu ascritto all’Académie de France. Più volte Legato Pontificio e membro del Consiglio di presidenza del Concilio Vaticano II. Nel 1964 accompagnò Paolo VI nei suoi viaggi in Terra Santa e in India. Si dimise dai suoi numerosi incarichi il 27 Marzo 1971 e ritiratosi ad Albano Laziale, vi moriva il 27 Febbraio 1972. Fu sepolto nella cattedrale della diocesi suburbicaria di Porto e Santa Rufina, da lui stesso fatta costruire in località La Storta alle porte di Roma. Autore di numerose e prestigiose pubblicazioni. Cfr. La Sacra Congregazione per le Chiese Orientali nel cinquantesimo
“…l’esistenza nella città e dintorni di molti cristiani monofisiti, tra i quali potrà esercitarsi l’opera missionaria dei sacerdoti che verranno costà, e che non dedicheranno la loro attività esclusivamente all’assistenza dei bianchi” 471
.
Inoltre in questa opera pionieristica di così vaste proporzioni, per Castellani occorreva che i missionari si piazzassero quanto prima nelle nuove fondazioni per ottenere in anticipo la destinazione di risorse economiche promesse e già in parte elargite dal governo per la costruzione di chiese ospedali e scuole:“E’ meglio, quindi, cogliere il buon momento attuale, in cui predomina il regime di larghe vedute, senza l’irretimento dell’economia”472
. Auspicava che le nuove missioni facessero subito “un po’ di opere impressionanti”473
al fine di favorire sia la pacificazione del popolo che soddisfare le aspettative dei politici e dei funzionari, come avevano iniziato a fare i missionari della Consolata appena finita la guerra di conquista. Sulla questione islamica ai superiori vaticani lasciava intravedere concreti spiragli di espansione per la Chiesa, partendo dal fatto che molti missionari avevano giudicato esagerate le obiezioni e le cautele espressegli dagli alti funzionari governativi su una possibile opera di evangelizzazione tra i musulmani, confidando in ciò nella relativamente recente conversione degli etiopi all’Islam.
Per smorzare le preoccupazioni manifestatesi nei più diversi ambienti ecclesiastici circa gli appoggi e i finanziamenti che il regime intendeva destinare alle comunità islamiche, faceva presente di avere avuto precise assicurazioni dai governativi, a cominciare da Graziani, che anzitutto si sarebbe costruita la cattedrale cattolica di Addis Abeba e poi si sarebbe pensato alla moschea474. Per il territorio di Addis Abeba Castellani proponeva l’istituzione di un vicariato apostolico il cui responsabile avrebbe dovuto avere il
471 ACO, Etiopi, prot. 349/ 36, f. 9. 472
APF, Op. Cit., f. 257.
473 Idem 474 Idem, f. 258.
rango gerarchico superiore a quello di vescovo, cosi “da vincere ogni confronto col capo della Religione Copta” residente in Addis Abeba475
.
Costui avrebbe dovuto occuparsi prima di tutto della cura pastorale dei circa 25 mila italiani residenti nella capitale dell’impero -che secondo quanto riferitogli dal Vice Re Graziani sarebbero raddoppiati nel giro di un anno- e inoltre avrebbe dovuto curarsi dei cattolici indigeni di rito Latino. Avendo il titolo di primate d’Etiopia476
sarebbe stato alle dipendenze di Propaganda Fide in qualità di vescovo- ordinario di Addis Abeba e della Congregazione Orientale per la sua funzione di rappresentante della Santa Sede. Vista la condizione sui generis di questo vicariato proponeva di non affidarlo ad un singolo istituto, bensì a tutte le congregazioni missionarie che si fossero impiantate in Etiopia.
Infine se le conversioni degli abissini fossero state numerose, auspicava anche la nomina di un vescovo indigeno di rito Etiopico per la capitale. Ogni circoscrizione doveva essere affidata ad un istituto religioso in grado di assicurare la copertura del personale per il maggior numero di missioni possibile. Nel caso invece di un istituto che non avesse potuto ottemperare a questa condizione, sarebbe stato coadiuvato da un’altra congregazione missionaria. E ciò per evitare il caso doloroso di togliere all’istituto affidatario delle missioni da esso fondate per assegnarle all’istituto sopravveniente477.
Per le antiche missioni lazzariste del Tigrai fondate dal de’ Jacobis, Castellani prospettò la nascita di una nuova circoscrizione ecclesiastica da affidare ai lazzaristi italiani, anche se di fatto il loro scarso numero avrebbe posto più di un problema a questa congregazione di fondazione francese, come si vedrà più avanti. Del vasto e strategico territorio etiopico, Castellani evidenziò il grande potenziale agricolo -tematica consueta per la propaganda di regime- rammentando anche come nei programmi governativi fosse stato
475
Idem, f. 269.
476 Idem, f. 270. 477 Idem, f. 259.
previsto l’insediamento di un gran numero di coloni italiani che avrebbero dovuto sostituire i contadini abissini una volta espulsi, un po’ sul modello degli espropri di massa eseguiti dagli inglesi ai danni dei contadini gikuyu sugli altopiani del Monte Kenya478.
Come già nei programmi del governo, anche il visitatore apostolico tralasciò di ricordare ai suoi superiori vaticani che gli insediamenti dei coloni italiani sarebbero avvenuti a detrimento della maggioranza della popolazione locale, che però era di confessione ortodossa... Tuttavia negli intenti del visitatore apostolico per gli etiopi ortodossi occorreva comunque “…curarsi molto con la speranza di conversione…”479.
Secondo lui un valido aiuto sarebbe giunto dalle autorità politiche italiane che per loro avevano programmato il ritorno “alla Madre Chiesa Romana”, grazie anche all’istruzione come strumento di acquisizione del consenso, permettendo così ai missionari di aprire numerose scuole, o di inviarvi missionari e sacerdoti indigeni pratici della lingua e del rito Etiopico Gheez480. Appare singolare che un simile progetto di espansione cattolica nel cuore dell’Abissinia ortodossa -così come prefigurato da Castellani- trovasse forti assonanze con i piani governativi, pur con motivazioni diverse.
Ma chi aveva l’autorità, in campo secolare come in quello religioso non parve in grado di cogliere adeguatamente la portata dirompente di una scelta di questo tipo. Tanto dal punto di vista dei colonizzatori che da quello dei religiosi italiani venne esaltato il valore strategico dell’occupazione dei luoghi più simbolici della tradizione abissina senza che ciò suscitasse alcun dubbio o tentennamento.
Castellani senza difficoltà prospettò per questa regione uno sviluppo missionario strabiliante, con ben tre diverse circoscrizioni ecclesiastiche: nel territorio circostante l’antica capitale dell’Abissinia Gondar, nel Goggiam con capoluogo Dessiè e nel Beghemeder con
478
J. D. Fage, A History of Africa, .. cit., pp. 447ss.
479 APF, Op. cit., f. 262. 480 Idem, f. 263.
capoluogo Debra Marcos. Pur trovandosi in Etiopia solo per alcuni mesi Castellani si trovò a dover dirimere conflitti a volte alquanto complicati, come nel governatorato del Galla- Sidamo, dove a seguito della conquista italiana i frati cappuccini e i missionari della Consolata si contendevano alcune missioni.
L’attrito si era accentuato anche perché era intervenuta Propaganda Fide chiedendo ai cappuccini di lasciare alla Consolata tre missioni. La sua mediazione però non ottenne gli effetti sperati perché la sola eventualità di abbandonare queste missioni fondate dal Massaia aveva provocato la netta opposizione dei cappuccini, che non si limitarono ad esprimere il loro dissenso ma chiesero di riavere pure le missioni del Kaffa -che erano state affidate ai missionari della Consolata nel 1911-, anche quelle fondate dal Massaia.
In particolare i cappuccini piemontesi motivarono questa domanda con delle ragioni storico-affettive481, anche se per controbilanciare le loro richieste piuttosto esigenti, i superiori maggiori dell’ordine espressero piena disponibilità a lasciare tutto il territorio dei Sidamo-Borana a sud del lago Margherita, che a giudizio di Castellani poteva costituire da solo una circoscrizione ecclesiastica autonoma, con capoluogo Neghelli.