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Cenni sull’arbitrato.

A margine di queste considerazioni analitiche sul private enforcement

antitrust, pare opportuno qualche breve cenno sulla più privata delle forme di

applicazione normativa che esista, ossia quella operata dagli arbitri. Il regolamento n. 1/2003/Ce nulla dice sul punto e nel rispetto dei limiti inizialmente fissati a questa indagine non sarà quindi possibile approfondire la questione oltre una sintetica panoramica che completi il quadro generale tracciato. L’arbitrato si contrappone nettamente alle forme di tutela privata esaminate finora in quanto, come è noto, si tratta di uno strumento che sottrae al giudice le controversie rimesse in arbitri, salvo la verifica dell’arbitrabilità della materia oggetto di decisione ed i limiti di quest’ultima fissati dalla legge.

Il primo problema, quello della compromettibilità della materia antitrust si è posto inizialmente negli U.S.A. dove è stato risolto a favore dell’arbitrato. La soluzione è stata lentamente accolta anche in Europa, nonostante le resistenze della giurisprudenza e le difficoltà poste nei casi più complessi di liti multiparti.

La questione dell’arbitrabilità si pone sia indipendentemente dall’opzione giurisdizionale, sia come alternativa a questa401 ed è stata a lungo dibattuta

tanto in sede comunitaria, che dalle giurisdizioni nazionali. Il punto problematico era individuato nell’essere il diritto antitrust disciplinato da norme inderogabili, alle quali si è ricondotta inizialmente la natura indisponibile (e quindi non transigibile o arbitrabile) dei diritti tutelati. Tuttavia, ad un approfondimento successivo, la specialità tecnica della materia e la circostanza che le norme che la regolano appartengano all’ordine pubblico e postulino un’applicazione uniforme, non sono parse sufficienti a sottrarre all’arbitrato le controversie che vertono sulle norme antitrust. All’esito dell’evoluzione, l’arbitrabilità di questa materia è ormai pacifica, con la precisazione che la norma inderogabile deve essere seguita dall’arbitro nella sua decisione, senza che questo comporti però a monte l’indisponibilità del diritto ed il conseguente divieto di arbitrato.

Anche in Italia è ormai pacifico in giurisprudenza che le controversie tra imprese, anche laddove abbiano ad oggetto la nullità del contratto perché contrario a norme imperative o all’ordine pubblico (come nel caso di violazione delle norme antitrust), non implicano automaticamente l’indisponibilità dei diritti e quindi l’inarbitrabilità della lite402. In origine, l’esclusione dall’arbitrato si era

invece fondata proprio sulla non transigibilità dei diritti antitrust ai sensi dell’art. 806 c.p.c. La questione è stata di fatto superata a partire dal momento in cui la giurisprudenza ha ammesso l’arbitrato sulle controversie in cui si applicasse direttamente il diritto comunitario della concorrenza403. L’estensione anche

all’antitrust nazionale non si è quindi più potuta escludere.

Assodata l’arbitrabilità delle liti in cui si applichino norme direttamente applicabili di diritto comunitario404, si affianca al dovere dell’arbitro di applicare

gli artt. 81 e 82 in quanto norme inderogabili405. Dopo il regolamento n. 1/2003/

Ce questo dovere comprende anche le esenzioni previste ex art. 81, n.3, salvo solo il divieto per l’arbitro di surrogare l’autorità amministrativa competente.

401 LANDOLT, Modernised EC competition law in international arbitration, The Hague, 2006, p. 323 ss. 402 ACERBONI, Controllo giudiziario dell’applicazione da parte dei giudici delle regole antitrust, in La Concorrenza, a cura di CENDON, cit., p. 823 s.

403 TAVASSI, SCUFFI [TAVASSI], Diritto processuale antitrust, cit., p. 228 s.

404 LAMANDINI, Arbitrabilità e diritto antitrust, Relazione del 30 settembre 2006 al Convegno “IP, arbitrato e processo” , Università di Pavia, in AIDA, 2006, p. 95 ss., che riporta l’evoluzione della prassi in Italia,

Europa e U.S.A. e riconduce la normativa antitrust all’ordine pubblico, che vincola gli arbitri a decidere sempre secondo diritto.

Infatti, l’unico limite residuo per gli arbitri è dato dalla necessaria natura privatistica della decisione richiesta (questione che si pone soprattutto in casi residuali di applicazione delle norme nazionali, come le autorizzazioni in deroga previste in Italia per l’autorità garante) per garantire che le decisioni amministrative siano adottate solo dalle istituzioni preposte.

Sulla questa linea interpretativa, non può essere escluso che tra l’arbitro e la Commissione sussistano forme di coordinamento, completamente inesplorate dalle norme, in analogia a quanto accade rispetto ai giudici. Rispetto alle interazioni con il public enforcement, l’arbitrato può costituire sia una barriera all’applicazione dei divieti pubblici, ma anche, processualmente, un ulteriore fronte di raccordo tra la sfera privata e quella pubblicistica. Tuttavia, né il regolamento n. 1/2003/Ce, né le comunicazioni sulla cooperazione menzionano mai l’arbitrato, in quanto non si tratta né di una giurisdizione, né di un’autorità amministrativa. Sono dunque gli arbitri a doversi porre e risolvere il problema del coordinamento406. Ai giudici nazionali è rimesso il controllo sugli

arbitri, con la possibilità di adire la Corte di giustizia in via pregiudiziale per l’interpretazione del diritto comunitario applicabile407.

In particolare, gi arbitri hanno la possibilità di integrare le prove e ricorrere ad esperti per evitare che il loro lodo, a causa di carenze istruttorie, comporti un pregiudizio per la tutela delle parti. Se si ammette, come pare corretto, che la Commissione possa intervenire come amicus arbitri, va però ribadito che gli arbitri non sono vincolati dalle sue osservazioni408. Non è invece

chiaro se l’arbitro debba tenere conto della precedente decisione della Commissione sullo stesso caso, ipotesi che richiederebbe una sospensione del rodimento arbitrale. La questione è già stata discussa per i giudici e va risolta, a maggior ragione per gli arbitri, nel senso della loro piena autonomia processuale e decisoria rispetto alla Commissione. Questa considerazione riposa sulla mancanza di una norma comunitaria che preveda qualche forma di

406 NAZZINI, International arbitration and public enforcement of competition law, in Eur.comp.law rev.,

2004, p. 153 ss.

407 ABDELGAWAD, Arbitrage et droit de la concurrence, Paris, 2001, p. 425 ss.

408 NAZZINI, International arbitration, cit., p. 160 ss.; NISSER, BLANKE, Reflections on the role of the European Commission as amicus curiae in international arbitaration proceedings, in Eur.comp.law rev.,

vincolo, magari sulla base della estraneità degli arbitri all’ordinamento statuale o della loro minore adeguatezza all’indagine, rispetto al giudice e all’autorità.

Alla luce del solo regolamento n. 1/2003/Ce, dunque, prima della pronuncia del lodo arbitrale si può ammettere uno scambio di informazioni, orientamenti e pareri, certamente mai pregiudiziali, nè vincolanti per gli arbitri, sia con la Commissione, che con le autorità nazionali. Questa forma di blanda cooperazione, che sottintende un’analogia tra arbitri e i giudici nei rapporti con la Commissione può probabilmente passare rispetto ad una norma generica e “mista” come il regolamento n. 1/2003/Ce. Ogni assimilazione è invece radicalmente esclusa nel campo strettamente giurisdizionale del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Le pronunce della stessa Corte sono infatti esplicite (e pressoché unanimi) nell’escludere che gli arbitri possano, non essendo giudici, adire lo strumento del rinvio ex art. 234 del trattato409.

Paradossalmente, quindi, gli arbitri come le autorità amministrative, potranno avvalersi degli orientamenti interpretativi della Commissione, ma non di quelli della Corte. Lo schema, che si giustifica forse nel public enforcement per la sostanziale omogeneità di natura tra la Commissione e le autorità, richiede qualche forzatura in più per essere agli arbitri. Essi sono infatti certamente diversi dalle autorità amministrative almeno e forse più di quanto lo siano dal giudice. L’interpretazione di un organo giurisdizionale appare allora più utile al lodo di quella di un organo amministrativo, seppure deputato ad uniformare l’applicazione dei divieti antitrust come nel caso della Commissione. Nonostante queste considerazioni è certo che gli arbitri non possono adire la Corte di giustizia ex art. 234, anche se secondo alcuni autori essi potrebbero dichiarare improcedibile l’arbitrato, nei casi in cui un parere della Corte paia loro necessario, per consentire alle parti di adire il giudice ed accedere così al rinvio410.

La redazione della clausola compromissoria e la gestione dell’arbitrato

antitrust sono fondamentali e fanno propendere per il ricorso a procedure

amministrate, gestite da un ristretto e competente numero di arbitri, in attesa della creazione di una camera arbitrale specializzata, anche in relazione alla

409 Sentenze Corte giust., Denuit, C-125/04, del 27 gennaio e Nordsee, 102/81, del 23 marzo 1982, contra

v. Corte giust., Danfoss , 109/88, del 17 ottobre 1989 (ricevibilità del rinvio di un tribunale arbitrale di categoria danese).

prassi degli arbitrati provvedimentali legati alle condizioni di autorizzazione delle concentrazioni411. Infatti, la materia antitrust modernizzata dal regolamento n.

1/2003/Ce si presta secondo alcuni autori ad accogliere meglio che in precedenza lo strumento arbitrale, già utilizzato con sempre maggior favore anche dalla Commissione nel campo delle concentrazioni412. In quel settore i

vantaggi procedurali dell’arbitrato farebbero addirittura intravedere un decentramento delle funzioni quasi giurisdizionali dalla Commissione (nell’attività di controllo delle prescrizioni con cui vengono autorizzate le concentrazioni) agli organismi arbitrali. Secondo questa interpretazione, utilizzando così l’arbitrato internazionale la Commissione lo avrebbe trasformato in un arbitrato “sopranazionale” integrato nelle procedure in materia di concentrazioni413. Si tratta di una ricostruzione suggestiva ma la cui portata

fuoriesce abbondantemente dai limiti di questa indagine e di questo paragrafo. Va comunque prestata attenzione alle istanze di adeguamento dello strumento arbitrale, finalmente e faticosamente accettato nel campo antitrust, per garantire che funzioni coerentemente e possa avere un ruolo nel contesto applicativo che si è sin qui delineato.