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PROCESSO E PRIVATE ENFORCEMENT 3.1 Private enforcement comunitario.

Rinvio pregiudiziale, autorità e giurisdizioni.

LO STRUMENTO DEL RINVIO PREGIUDIZIALE È RISERVATO AI GIUDICI NAZIONALI , MA LA COLLABORAZIONE TRA LA COMMISSIONE E GLI ALTRI ELEMENTI DEL SISTEMA DECENTRATO È GIÀ IN PARTE PRESENTE NEGL

III. PROCESSO E PRIVATE ENFORCEMENT 3.1 Private enforcement comunitario.

Come già accennato nei precedenti capitoli, il sistema comunitario di repressione delle violazioni antitrust disegnato dal regolamento n. 1/2003/Ce comprende anche un livello di enforcement privato davanti ai giudici nazionali, chiamati ad applicare direttamente i divieti nelle azioni civili356. Tuttavia, le

regole processuali cui fare riferimento per la disciplina di questa forma di contenzioso giurisdizionale sono quelle previste dal diritto nazionale, con le riserve che questa scelta reca con sè, in termini di omogeneità della tutela.

Nonostante le complessità del sistema di azioni private in questa materia e la necessità di rispettare l’autonomia degli stati nella disciplina processuale, la possibilità di adire direttamente un giudice per far valere il proprio diritto all’applicazione del divieto antitrust, eventualmente richiedendo la condanna del trasgressore al risarcimento, è giustamente un aspetto imprescindibile del sistema di enforcement considerato nel suo complesso. Si tratta di una sede di

356 KUNEVA, Commissario Ue consumatori, II Lisbon Competition Conferece, Lisbona 15 e 16 novembre

2007, v. anche GINSBURG, ibidem, per un confronto con i dati U.S.A., e COOK, per il rapporto tra public e

private enforcement nella giurisprudenza comunitaria. La giurisprudenza comunitaria citata è reperibile

tutela ineliminabile per garantire ai privati la completa tutela dei diritti previsti dalle norme. Ciononostante, le parti sono finora state riluttanti ad utilizzare questo strumento, a causa di una serie di ostacoli su cui ci si soffermerà in seguito.

Per contrastare lo scarso sviluppo del private enforcement antitrust, che accomuna tutti gli stati dell’Unione, le istituzioni comunitarie hanno optato da tempo, almeno formalmente, per una strategia di incentivo alla tutela civile privata, pur continuando a delegarne la disciplina agli stati nazionali. Recentemente, si è però passati dalle intenzioni alla pratica, con la redazione di uno specifico documento ufficiale, il Libro verde del 2005 sul risarcimento dei danni conseguenti ad illeciti antitrust357. Si tratta di un atto di orientamento non

vincolante e neppure strettamente normativo, che però ha il pregio di aver ufficialmente aperto un confronto con gli stati per il raggiungimento di obiettivi concreti e l’adozione di linee condivise in risposta alle numerose carenze del sistema358. Con questo intervento la Commissione ha innanzitutto preso atto

della situazione presente e ha creato uno spazio per la ricerca di soluzioni utili per il futuro. Gli stati hanno risposto con interesse, collaborando e contribuendo in modo spesso critico a ridisegnare il quadro di opzioni prospettato dalla Commissione nel Libro. In sostanza, l’utilità principale di questa operazione risiede soprattutto nella possibilità che il Libro offre per analizzare le reazioni degli stati su questo tema. La realizzabilità concreta delle soluzioni, oltre alla loro accettabilità in termini istituzionali e culturali, hanno così trovato entrambe

357 Libro verde sulle azioni di risarcimento danni per violazione delle regole antitrust, COM(2005) 672 def.

e allegato documento di lavoro della Commissione SEC(2005) n. 1732, cit., del 19 dicembre 2005, su

http://ec.europa.eu/comm/competition/antitrust/actionsdamages/documents.html Diversamente dagli U.S.A., dove oltre il 90% degli illeciti antitrust viene gestito dal contenzioso civile, nell’Unione europea l’utilizzo delle azioni civili è sinora stato utilizzato molto poco rispetto al public enforcement, anche a causa del meccanismo precedente al regolamento n. 1/2003/Ce, che riservava la decisione di esenzione alla Commissione (art. 81, n. 3). Altri elementi dissuasori sono i costi delle azioni civili, l’onere della prova e il dibattito sui rimedi per risarcire il danno, che gli stati europei hanno trasferito sul piano comunitario, A. JONES, SUFRIN, EC competition law, Oxford, 2004, cit., p. 1189 ss.; è favorevole alla promozione comunitaria del private enforcement C.JONES, Private antitrust enforcement in Europe: a policy analysis

and reality check, in World comp., 2004, 15 ss. con un tentativo di critica a WILS, Should private antitrust enforcement be encouraged in Europe?, in World comp., 2003, p. 473 ss., a sua volta contrario allo

sviluppo delle azioni civili oltre il livello attuale.

358 AMICO, Intese e pratiche lesive della concorrenza: alla ricerca di un modello europeo per le azioni di risarcimento danni, in I contr., 2005, p. 404 ss.; DIEMER, The green paper on damages actions for beach of the EC antitrust rules, in Eur.comp.law rev., 2006, p. 311 ss.; PHEASANT, Private damages actions, in Comp.law ins., 2006, vol. 5, n.2, p. 8 e n. 3, p. 7 l’a. è certo che il Libro verde produrrà un incremento del

contenzioso privato antitrust e analizza anche il working paper della Commissione riguardo al tema dell’onere della prova, infine, idem, n.8, p. 8 s., esamina le risposte al Libro verde delle istituzioni nazionali, spesso critiche sulle proposte della Commissione (ad es. si nota un generale rifiuto all’introduzione delle azioni collettive e dei danni doppi).

un’occasione per emergere prima che l’azione comunitaria si cristallizzasse in forme precettive.

L’elemento che si offre come principale spunto di critica nell’attuale quadro del contenzioso civile antitrust comunitario, può essere ricondotto alla disomogeneità e mancanza di armonizzazione tra gli stati già esaminate a proposito del (già più uniforme) livello pubblico di enforcement. Le autorità nazionali seguono infatti il modello comunitario più da vicino. Nonostante questo, le differenze che esistono tra loro possono creare i veduti problemi di non uniforme applicazione. Inoltre, laddove si tratti di organi amministrativi, le autorità non hanno tecnicamente lo stesso obbligo dei giudici di garantire ai diritti contenuti nelle norme un livello di tutela equivalente. Non hanno neppure quello di emanare decisioni destinate alla circolazione ed idonee a costituire, quantomeno orientamenti interpretativi, se non addirittura veri e propri precedenti. Anche per il rinvio integrale alla disciplina nazionale operato dalle norme comunitarie sui giudizi civili antitrust, emerge con ancora maggiore evidenza la necessità di un’armonizzazione processuale e sostanziale tra gli stati, visto che il tasso di autonomia e diversificazione giurisdizionale tra loro è molto superiore e di più difficile soluzione rispetto a quello riscontrabile nei procedimenti amministrativi.

Il punto da cui è partita la Commissione nell’adozione del Libro verde e, prima, nel formulare gli intenti del regolamento n. 1/2003/Ce può essere riassunto in un semplice dato di fatto. Rispetto al numero di procedimenti amministrativi antitrust, quello delle liti civili è sempre stato molto inferiore. Come già accennato, lo scarso sviluppo del private enforcement ha riguardato tutti i paesi dell’Unione, indipendentemente dalle loro opzioni processuali. Le azioni civili per ottenere accertamenti e compensazioni, se pure sono l’unica sede in cui i privati possono ottenere la tutela del loro diritto soggettivo al risarcimento, non sono appetibili per gli interessati, che infatti non utilizzano questo strumento. Il dato statistico a cui si fa riferimento, che ha motivato la revisione critica delle precedenti politiche comunitarie è emerso dal rapporto Ashurst359 del 2004. Si tratta di uno studio che ha tentato di fotografare la

diffusione delle azioni civili antitrust nell’Unione europea e che ne ha

stigmatizzato senza mezzi termini il “completo sottosviluppo”, anche dal punto di vista normativo. Dopo la diffusione di questi dati empirici, la Commissione si è determinata all’adozione del Libro verde, ma la dottrina ha comunque escluso, con giusta ragione, che nell’immediato futuro sia prevedibile un aumento dell’interesse a percorrere la via giudiziaria, quantomeno per i risarcimenti antitrust360.

Il rapporto Ashurst non ha potuto tenere conto dell’impatto del regolamento n. 1/2003/Ce sullo sviluppo delle azioni civili antitrust, ma va chiarito che tale norma non ha previsto novità rilevanti sotto il profilo del private

enforcement, salvo il rinvio ai giudici e a i procedimenti nazionali e l’auspicio di

un incremento del contenzioso, da provocare con altri mezzi. Una possibile ricaduta processuale della riforma del 2003 sui giudizi civili antitrust può tuttavia ravvisarsi come conseguenza dell’eliminazione della notifica preventiva degli accordi per chiedere l’esenzione. Si tratta di una modifica che permetterà di azzerare le pratiche difensive dilatorie, che presentando alla Commissione la richiesta di esenzione in pendenza della lite utilizzavano la conseguente sospensione del processi per rallentarne l’iter361. La decisione sulla sussistenza

di un’esenzione era infatti, evidentemente, pregiudiziale all’accertamento del giudice in merito alla violazione del divieto antitrust, e doveva essere quindi emanata prima che si potesse proseguire con il processo. Spesso, queste circostanze venivano sfruttate per ritardare l’esito del giudizio, senza che i presupposti per ottenere l’esenzione in sede comunitaria sussistessero realmente. Il regolamento n. 1/2003/Ce ha previsto che il giudice possa direttamente applicare l’art. 81, n. 3 accertando da sé la sussistenza dei presupposti di esenzione. Questa verifica si porrà, presumibilmente, sempre preliminarmente ad ogni accertamento sulla violazione, ma potrà essere

360 RILEY, PEYSNER, Damages in EC, cit., p. 749, tra i vari problemi del sistema di private enforcement gli

aa. citano l’effetto frenante della durata, dei costi e dell’incertezza dei processi, soprattutto in sistemi nazionali disomogenei, in alcuni casi, con lacune nell’individuazione di giurisdizione e responsabilità

antitrust; sulla stessa linea REICH, The “Courage” doctrine: encouraging or discouraging compensation for antitrust injuries?, in Comm. mar.law rev., 2005, p. 65 s., che intravede una tendenza verso una forma

di armonizzazione processuale affidata ai giudici nazionali e quindi “bottom-up”, su questa opzione la dottrina non è però concorde, preferendo molti aa. la via legislativa di armonizzazione, v. EILMANSBERGER, The green paper on damages actions for beach of the EC antitrust rules and beyond:

reflections ont he utility and feasibility of stimulating private enforcement through legislative action, in Comm.mar.law rev., 2007, p. 463.

361 WILS, Principles of European antitrust enforcement, cit., p. 20 ss. Sull’ininfluenza del regolamento n.

1/2003/Ce per lo sviluppo del private enforcement, la dottrina è concorde, v. anche NEGRI, Giurisdizione

espletata internamente al processo ed evidentemente in via incidentale. Una prima conseguenza del regolamento n.1/2003/Ce sul contenzioso civile

antitrust è dunque quella di privare le parti della c.d. euro-difesa a fini dilatori362.

Le ragioni dello scarso ricorso alle azioni civili sono note da tempo agli interpreti e non sono emerse soltanto in occasione del rapporto Ashurst. Da quel momento però, esse sono diventate oggetto di un approfondimento particolare, perchè le istituzioni comunitarie non si sono accontentate di una presa d’atto del prevalente utilizzo del canale pubblico di enforcement, ma si sono poste l’obiettivo di potenziare quello privato, anche nell’ottica di incrementare l’efficienza sistematica dei controlli e delle sanzioni cui si è già fatto cenno. La sede contenziosa civile è infatti un anello importante che completa la rete e le forme del controllo antitrust e che, se correttamente sviluppato, potrebbe alleggerire non di poco il carico di lavoro e costi sopportato oggi quasi esclusivamente dall’apparato amministrativo (nell’accezione ampia consentita dall’art. 35 del regolamento n. 1).

Da quanto precede risulta corretta l’opinione di quegli interpreti che individuano la ragione principale dello scarso sviluppo del private enforcement essenzialmente alle enormi differenze processuali esistenti tra i vari stati dell’Unione, in particolare, rispetto alle attività istruttorie363. La mancata

armonizzazione processuale si traduce evidentemente in una fonte di incertezza e di mancanza di tutela per le parti, con rischi di shopping ed interpretazioni difformi nei diversi giudizi nazionali. Intraprendere una azione civile, superate le incognite legate all’individuazione del giudice competente, espone i privati a procedure non sempre conosciute, quasi mai equivalenti e troppo spesso insufficienti a raggiungere l’obiettivo di una tutela piena.

Inoltre, la dottrina sottolinea unanime le difficoltà di promuovere lo sviluppo del contenzioso privato antitrust in un contesto come quello europeo caratterizzato da una profonda diversità tra gli stati membri, non solo sul piano processuale, ma soprattutto su quello culturale. Il potenziale interessato al ricorso giurisdizionale si deve fare carico di una serie notevolissima di rischi e di

362 LENAERTS, GERARD, Decentralisation of EC competition law enforcement: judges in the frontline, in World comp., 2004, p. 315 ss.

363 RILEY, Beyond leniency: enhancing enforcement in EC antitrust law, in World comp., 2005, p. 383 ss.,

che naturalmente non manca di sottolineare l’importanza delle barriere secondarie: diversità culturali,

standard della prova, causalità, giurisdizione e lo stesso diritto al risarcimento sancito nella sentenza Courage, ma interpretato discrezionalmente dai giudici nazionali.

anche maggiori costi (una delle poche certezze che emergono in questo settore)364. In particolare, chi agisca in una sede civile europea sopporta un

rischio molto elevato di pagare alte spese legali in caso di soccombenza365 a

questo si aggiunge l’enorme difficoltà nell’acquisizione della prova necessaria a sostenere la propria domanda (aumentando le probabilità di soccombenza e di pagamento delle spese). L’onere della prova è quindi un ulteriore freno all’azione privata, che si attenua soltanto se questa venga instaurata successivamente ad un provvedimento dell’autorità amministrativa, nei limiti previsti dagli ordinamenti nazionali per dare ingresso alla prova amministrativa nel processo. Anche su questo delicatissimo aspetto gli ordinamenti sono spesso, come si vedrà, carenti e non uniformi. Oltre all’incerto effetto da attribuire (eventualmente) alle decisioni amministrative nel processo civile, sulle azioni risarcitorie pesa poi non poco la necessità di salvaguardare le politiche nazionali di clemenza366. La difficoltà riguarda anche la possibilità di ammettere

una compensazione per i consumatori, anche nel caso di azioni collettive, in particolare, perché i generali problemi di quantificazione del danno si aggravano se questo abbia comportato un costo aggiuntivo per il consumatore finale, ma sia però stato trasferito sull’intero mercato dall’impresa interrompendo il nesso di causalità (c.d. passing-on).

Insieme alle vedute ragioni tecniche e processuali, ha poi certamente un peso negativo sullo sviluppo del contenzioso civile antitrust anche la mancanza di incentivi, che non riescono ad attirare le parti nel processo anche se in questo modo esse rinunciano al proprio diritto al risarcimento, che non può essere avanzato nelle sedi amministrative367. L’ordinamento statunitense, che fa

364 BAKER, An uncertain road ahead, in Comp. law ins., 2007, p. 3 s. Sulle incognite conseguenti

all’esclusione della materia antitrust dalla Convenzione di Le Hague sulla giurisdizione, v. RADICATI DI BROZOLO, Antitrust claims: why exclude them from the Hague jurisdiction and judgements convention?, in Eur.comp.law rev., 2004, p. 788 s.

365 RILEY, PEYSNER, Damages in EC antitrust actions: who pays the piper?, in Eur.law rev., 2006, p. 760

s., suggeriscono il modello di contingency fees del Quebec.

366 BOGE, Leniency programs and the private enforcement of European competition law, in BASEDOW, Private enforcement of EC competition law, The Netherlands, 2007, p. 220 riassume alcuni dei possibili

punti di conflitto tra l’azione civile e le politiche di clemenza (innalzamento delle richieste di danni, svantaggio per il soggetto che per primo segnali la violazione, inapplicabilità di regole di discovery). Le azioni civili di solito vengono radicate dopo la decisione amministrativa, mentre le richieste di clemenza sono ovviamente precedenti, con il rischio che le informazioni fornite possano fondare azioni risarcitorie. I possibili vantaggi di ogni riforma vanno confrontati con gli svantaggi (in particolare l’introduzione dei danni multipli o delle regole di discovery sul modello U.S.A.), comunque, sia il public che il private enforcement necessitano del buon funzionamento della clemenza e viceversa.

367 RILEY, Beyond, cit., p. 385, suggerisce la necessità che la Commissione si faccia carico della

da modello all’Europa per il grande successo delle azioni civili antitrust, prevede invece forme di risarcimento maggiorato (c.d. treble damages) e di alleggerimento dei costi (class action e tariffe legate all’esito del processo), che servono per incoraggiare le parti ad intraprendere la via giurisdizionale. Si tratta, come si vedrà, di strumenti che hanno già rivelato i loro limiti nel sistema americano, ma che sono certamente funzionali all’obiettivo di alimentare il contenzioso civile. I dati confermano infatti che negli Stati Uniti quasi tutte le violazioni antitrust sono gestite in sede giurisdizionale di merito.

A fronte dei veduti limiti sistematici che contraddistinguono forse inevitabilmente il contesto comunitario, parte della dottrina, pur ammettendo l’opportunità di potenziare le azioni di risarcimento privato antitrust, si è premurata di sottolineare la superiorità del public enforcement, quantomeno per garantire il rispetto delle regole in modo efficace. E’indubitabile, del resto, che il sistema pubblico sia superiore a quello privato sia nell’indagine che nella sanzione (per citare ancora gli U.S.A., il giudice è stato dotato di strumenti di indagine fondamentali per scoprire e reprimere illeciti “occulti” come quelli

antitrust, ma si tratta di un’opzione processuale estranea al sistema comunitario

e non esente da critiche, sia formali che sostanziali). L’applicazione pubblicistica dei divieti può vantare anche un miglior controllo sulla correttezza del livello di sanzione irrogata, garantendo una prassi più uniforme e, da questo punto di vista, più giusta ed efficace. In linea con questo ragionamento, se il contenzioso civile fosse inteso come uno strumento per aggravare le conseguenze negative dell’illecito allo scopo di migliorare la repressione delle condotte illegittime, è corretto ritenere che sotto questo limitato profilo (di interesse, in ultima analisi, pubblico), basterebbe intervenire innalzando la soglia di quelle previste per le autorità amministrative. Diversamente, se si avesse soprattutto interesse a migliorare l’efficacia nell’accertamento degli illeciti, ovvero se le azioni civili fossero intese solo come un mezzo per garantire un controllo più diffuso e capillare che consentisse di punire un maggior numero di infrazioni, potrebbero essere potenziate le risorse ed i poteri delle autorità pubbliche, senza necessità di intervenire sul settore giudiziario. A favore della superiorità del controllo pubblico militano anche ragioni economiche, perché

come si è detto il contenzioso privato è più costoso per le parti (nel sistema amministrativo ci sono risorse stabilmente deputate alla quantificazione e alla dimostrazione del danno, gli operatori sono più specializzati e i costi amministrativi sono minori di quelli giudiziari)368. Questa teoria è indubbiamente

realistica e pragmatica, anche se neppure il sistema amministrativo appare immune da critiche e lacune, come si è evidenziato nel precedente capitolo.

Preliminarmente, è interessante rilevare che la dottrina si sia interrogata in modo compiutamente critico sul problema, prestando attenzione non alle difficoltà di un possibile intervento su uno strumento così complesso e poco utilizzato come il private enforcement, ma mettendo in discussione la necessità stessa di incrementare questo tipo di enforcement oltre il suo già consolidato ruolo complementare e limitato. La critica più efficace all’espansione del settore di contenzioso civile muove dagli obiettivi pubblicistici delle norme antitrust comunitarie, identificati essenzialmente nella deterrenza e nella giustizia compensativa. Entrambi gli obiettivi comportano costi e rischi per essere raggiunti369, ma il public enforcement, risulta comparabilmente più efficace ed

eventualmente potenziabile per esigenze di maggiore deterrenza. La giustizia correttiva invece, non avrebbe un sufficiente grado di sostegno sociale e sarebbe ancora troppo costosa rispetto al sistema pubblico370.

Evidentemente tutti gli argomenti citati non colgono il fenomeno nella sua interezza, perché confrontano il public e il private enforcement solo sul piano dell’ interesse pubblico, necessariamente portando acqua alla maggior adeguatezza allo scopo dell’applicazione pubblicistica dei divieti. In sostanza, la premessa è funzionale alla conclusione che si vuole raggiungere. Per ricostruire correttamente la situazione è dunque necessario cambiare prospettiva. Il sistema di controllo sulle violazioni antitrust richiede necessariamente che si prevede una sede deputata al risarcimento del diritto soggettivo, in particolare del terzo estraneo alla fase amministrativa. Questo specifico tipo di tutela deve essere accessibile nel rispetto delle garanzie giurisdizionali ed all’interno di un meccanismo coerente con le altre misure deterrenti e premiali371. Lo scopo

368 WILS, Principles of European antitrust enforcement, cit., p. 118 ss. 369 WILS, Should private antitrust, cit., p. 478 ss.

370 WILS, Should private antitrust, cit., pp. 484 e 488.

371 Il tema del private enforcement si lega strettamente a quello della tutela dei consumatori, come

prevalente nel sistema delle norme antitrust, è certamente quello di servire l’interesse pubblico. La prevalente funzione pubblica del relativo sistema di