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Cenni a pronunce del 2017

Di recente, la Corte europea è tornata ad affrontare la questione dell'equità processuale e del correlato diritto al confronto in un paio di pronunce, risalenti, rispettivamente, al marzo e all'aprile del 2017.

La prima sentenza cui si fa riferimento è la sentenza Palchik c. Ucraina254. La pronuncia rappresenta un compendio completo della

disciplina così come risultante dopo che la Grande Camera, con la sentenza Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito del 15 dicembre 2011 e con la sentenza Schatschaschwili c. Germania del 15 dicembre 2015, ha ridefinito la regola della “prova unica o determinante”.

La Corte di Strasburgo torna a ribadire il principio di diritto in forza del quale, laddove le dichiarazioni rilasciate in sede investigativa da parte di testimoni d'accusa che non abbiano successivamente partecipato al processo siano state acquisite allo stesso per effetto delle norme di diritto interno, il giudizio può ritenersi complessivamente equo, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea, qualora l'accusato abbia avuto la possibilità di esaminare i propri accusatori durante la fase delle indagini. Tale possibilità, infatti, rappresenta un'importante garanzia processuale, capace di compensare gli svantaggi incontrati dalla difesa a causa dell'assenza al processo dei propri accusatori.

Applicando il suddetto principio al caso di specie, riguardante una vicenda complessa avente ad oggetto plurime imputazioni, il Giudice europeo ha dichiarato non ricevibile la doglianza con riguardo a tre testimoni, relativamente ai quali si presume che l'imputato abbia rinunciato al diritto di esaminarli, non essendosi opposto alla lettura delle dichiarazioni rese in indagini e non avendo chiesto il loro esame nel processo d’appello. Parimenti irricevibile risulta la doglianza con riferimento ad altri cinque testimoni, per i quali la difesa non ha riferito

254Corte e.d.u., Sez. V, 2 marzo 2017, Palchik c. Ucraina, consultabile in

i motivi in base ai quali fosse importante sentirli né ha indicato quali domande desiderasse porre. Con riguardo ad ulteriori due testimoni, la Corte europea ha nuovamente escluso la ricevibilità del ricorso, in quanto, pur mancando valide ragioni giustificative della loro assenza dibattimentale e pur essendo le loro dichiarazioni decisive per la condanna, il ricorrente ha avuto la possibilità di interrogarli nel corso delle indagini. Per contro, relativamente all'acquisizione al processo delle dichiarazioni predibattimentali di un altro testimone, decisivo e ingiustificatamente assente in giudizio, la Corte ha ritenuto violata l'equità processuale, stante l'impossibilità per l'imputato di porre domande in alcuna fase del procedimento255.

Ancora, come anticipato, un'altra pronuncia intervenuta recentemente in materia di equità processuale è la sentenza Asatryan c. Armenia256.

Il caso di specie riguarda la condanna del ricorrente per tentato omicidio di un ex membro del Parlamento armeno. Questa aveva trovato il proprio fondamento su verbali di testimoni assenti in dibattimento, formati nel corso della fase delle indagini preliminari. A detti verbali, peraltro, non era stata data lettura nel corso dell'udienza dibattimentale: essi, pertanto, non erano stati neppure legittimamente acquisiti. A ciò aggiungasi che i potenziali testimoni non erano nemmeno stati indicati nella lista testi presentata dal pubblico ministero. Da qui, l’impossibilità per la difesa di esaminare i testimoni a carico in alcun grado del processo, con conseguente violazione dell'art. 6 Cedu257.

255Per la rassegna della pronuncia v. Monitoraggio Corte e.d.u. Marzo 2017, a cura di R. Casiraghi (con specifico riguardo all'art. 6 Cedu), consultabile in

www.penalecontemporaneo.it.

256Corte e.d.u., Sez. I, 27 aprile 2017, Asatryan c. Armenia, consultabile in

www.processopenaleegiustizia.it.

257Per la rassegna della pronuncia v. Monitoraggio Corte e.d.u. Aprile 2017, a cura di V. Sirello (con specifico riguardo all'art. 6 Cedu), consultabile in

Da ultimo, con specifico riguardo al tema della tutela dell'equità processuale, suscita qualche perplessità la sentenza 27 aprile 2017, Zherdev c. Ucraina. Ad essere interessato, come detto, è il profilo dell'equità processuale, questa volta in rapporto al diritto all'assistenza tecnica dell'indagato in stato di custodia cautelare, tutelato dall'art. 6, parr. 1 e 3, lett. c), della Cedu.

Nel caso di specie, il ricorrente era un minorenne in stato di custodia cautelare per il delitto di omicidio doloso. Questi lamentava il mancato riconoscimento del diritto, garantito dalla legge nazionale, di parlare con i propri genitori e di scegliere un difensore di fiducia sin dai primi momenti dell’indagine. Egli, in sede di primo interrogatorio in stato di arresto, aveva confessato l’omicidio in assenza del difensore; successivamente, nel corso di un ulteriore interrogatorio in fase di indagine, aveva confermato, questa volta alla presenza del difensore di fiducia, la confessione già resa; a ciò aveva fatto seguito un'ulteriore conferma dinanzi al giudice del dibattimento.

La Corte europea, anzitutto, ritiene che il quadro probatorio contro l’imputato sia sufficientemente solido per fondare la condanna, indipendentemente dalla confessione. Inoltre, esclude che l'errore commesso dall'autorità procedente, ovvero il mancato riconoscimento da parte di quest'ultima del diritto al difensore a partire dall’inizio delle indagini, abbia implicato una violazione dell’equità processuale complessiva secondo il c.d. “Ibrahim test”258.

258Il c.d. “Ibrahim test” era già stato elaborato dalla Grande Camera della Corte europea nella sentenza 13 settembre 2016, Ibrahim e a. c. Regno Unito.Nel corso delle indagini svolte successivamente agli attentati terroristici avvenuti a Londra nel luglio 2005, condotte alla luce della restrittiva normativa interna antiterrorismo, vennero arrestate alcune persone sospettate di essere coinvolte negli attentati o comunque di essere in possesso di informazioni utili ai fini dell'identificazione degli attentatori. Nei confronti di tre indagati, il primo colloquio col difensore venne differito di poche ore, mentre al quarto indagato, mai avvertito del diritto al silenzio, fu impedito di colloquiare col difensore per l'intera durata delle indagini e della detenzione. I quattro imputati, dopo essere stati condannati all'esito di un giudizio con giuria, proposero ricorso dinnanzi alla Corte europea, lamentando la violazione dell’art. 6, parr. 1 e 3, lett. c), Cedu. La Corte europea escluse la violazione della disposizione convenzionale in parola in

I Giudici di Strasburgo ravvisano, pertanto, la non violazione dell’art. 6, parr. 1 e 3, lett. c), della Cedu259.

relazione ai primi tre imputati, ritenendo che l'equità processuale nel suo complesso non era stata compromessa irrimediabilmente, soprattutto in considerazione del fatto che il contrasto a gravi fatti di terrorismo doveva essere il più forte ed effettivo possibile. La Corte giustificò tale decisione sulla scorta di vari argomenti: le autorità procedenti avevano illustrato agli indagati tutte le circostanze eccezionali che legittimavano l’applicazione della legge speciale e, dopo poche ore, avevano loro riconosciuto il diritto di colloquiare col difensore; nel dibattimento gli imputati avevano potuto contestare, anche a mezzo dei difensori, le modalità di interrogatorio impiegate dagli organi inquirenti; il giudice dibattimentale aveva prestato particolare cura nell’esaminare le circostanze eccezionali che avevano giustificato l’applicazione delle norme antiterrorismo e nel dare alla giuria le più complete e precise istruzioni su come valutare la situazione processuale e le dichiarazioni degli imputati come prova utilizzabile. Opposte le conclusioni in rapporto al quarto ricorrente, nei confronti del quale i Giudici di Strasburgo ravvisano una violazione dell'equità processuale. Nei confronti di quest'ultimo, infatti, le autorità procedenti non avevano riconosciuto numerose garanzie difensive, anche oltre i primi momenti successivi all’arresto: in particolare, non gli era stato consentito di essere assistito da un difensore in tutti gli interrogatori di polizia nel corso delle indagini e non era mai stato avvertito del diritto al silenzio, essendo poi state impiegate ai fini della condanna anche le sue dichiarazioni rese in sede d’indagine senza le garanzie in parola (v. Monitoraggio Corte e.d.u. Settembre 2016, a cura di F. Cassibba – con specifico riguardo all'art. 6 Cedu – consultabile in www.penalecontemporaneo.it). 259Corte e.d.u., 27 aprile 2017, Zherdev c. Ucraina. Per la rassegna della pronuncia

v. Monitoraggio Corte e.d.u. Aprile 2017, a cura di V. Sirello (con specifico riguardo all'art. 6 Cedu), consultabile in www.penalecontemporaneo.it.

Capitolo IV

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

DISCIPLINA NAZIONALE E STANDARD

EUROPEI : IL PROGRESSIVO

ALLINEAMENTO DELLE CORTI

SOMMARIO: 4.1. Premessa generale. – 4.2. La giurisprudenza di legittimità prospetta una interpretazione adeguatrice alle norme costituzionali e convenzionali. – 4.3. La sentenza De Francesco n. 27918 del 2010. – 4.4. Gli sviluppi più recenti.

4.1. Premessa generale.

A conclusione della presente disamina, un ultimo aspetto da prendere in considerazione riguarda il tentativo di adeguamento alla giurisprudenza europea posto in essere dalla Corte di cassazione.

Confrontato con il quadro convenzionale, il sistema probatorio italiano si pone in un rapporto di “specialità reciproca” sul piano delle garanzie260: da un lato, il comma 4 dell'art. 111 Cost. impone il rispetto

e la contestualità del contraddittorio, fissando dunque un livello di garanzie più elevato rispetto a quanto imposto in ambito europeo; dall'altro, il comma 5 della medesima disposizione consente l'utilizzo in ipotesi tassative di precedenti dichiarazioni anche come prova unica o principale della condanna.

La dottrina ha rilevato come la sopravvenuta irripetibilità rappresenti un evento accidentale, epistemologicamente neutro, di per

260C. CONTI, Le dichiarazioni del testimone irreperibile: l'eterno ritorno dei

sé inidoneo a convalidare retrospettivamente l'atto formato in assenza di contraddittorio. Senza dubbio, la carenza di dialetticità riduce significativamente il grado di attendibilità dell'elemento conoscitivo per tale via acquisito: di ciò il giudice deve tenere conto nell'esaminare il valore probatorio di questo, dato che l'assenza di criteri legali di valutazione non si traduce nella totale libertà di convincimento, tale da sconfinare nell'arbitrio giudiziale261.

La problematica concernente la compatibilità dell'art. 512 c.p.p. con l'art. 6, par. 3, lett. d) della Cedu non riguarda il piano dell'utilizzabilità della prova assunta al di fuori del principio del contraddittorio, bensì la fase, logicamente successiva, dei suoi criteri di valutazione e della sua idoneità a fondare un giudizio di colpevolezza262. Ciò che il giudice europeo pone in discussione è

l'approccio mentale dell'interprete italiano. Quest'ultimo, infatti, con riguardo all'applicazione dell'art. 512 c.p.p., concentra la sfera di operatività del contraddittorio sull'accertamento delle ragioni e della natura dell'irripetibilità, attribuendo a tale accertamento quasi una sorta di funzione catartica, capace di “purificare” l'elemento di prova formato unilateralmente e di renderlo una potenziale prova esclusiva di colpevolezza. La Corte di Strasburgo, al contrario, invita il giudice italiano a focalizzare l'attenzione sull'uso probatorio delle dichiarazioni irripetibili263. Un aspetto, quest'ultimo, relativamente al quale non si

trae alcun esplicito principio direttivo né dalle disposizioni costituzionali264 né dall'ordinamento processualpenalistico italiano.

261A. BALSAMO, A. LO PIPARO, Principio del contraddittorio, utilizzabilità delle

dichiarazioni predibattimentali e nozione di testimone tra giurisprudenza europea e criticità del sistema italiano, cit., p. 351.

262A. MARI, Acquisizione mediante lettura e regole sovranazionali di valutazione

delle dichiarazioni ormai irripetibili, cit., p. 155.

263A. BALSAMO, A. LO PIPARO, op. cit., p. 348-349.

264A parere di M. DANIELE, Principi costituzionali italiani e ingerenze europee in

tema di prova dichiarativa, cit., p. 1009, il tema della valutazione della prova

dichiarativa raccolta unilateralmente nel corso delle indagini preliminari è “indifferente” alla Costituzione.

Mentre questi ultimi si occupano di individuare le ipotesi di rinuncia al contraddittorio, non prevedono clausole che limitino l'impatto probatorio sulla decisione degli elementi derivanti da tale rinuncia.

A fronte di ciò, due osservazioni si rendono però necessarie. Per un verso, la Costituzione, stabilendo il principio del contraddittorio nella formazione della prova e prevedendo tassative eccezioni, reca in sé implicito una sorta criterio di valutazione: stante la differenza tra prove formate nel contraddittorio tra le parti e prove acquisite in assenza di dialetticità, queste ultime dovrebbero essere valutate sempre con cautela265. Per altro verso, la Costituzione, al comma 1 dell'art. 117,

richiede al Legislatore l'osservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Con le sentenze “gemelle” del 2007266, la Corte costituzionale, precisando che

tale previsione non equivale a una clausola di costituzionalizzazione degli obblighi internazionali, ha affermato che le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretate dai Giudici di Strasburgo, rappresentano un parametro per vagliare la legittimità costituzionale delle norme processuali interne.

4.2. La giurisprudenza di legittimità prospetta una