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L'esercizio tardivo della facoltà di astensione da parte del

Ha sollevato alcuni problemi esegetici l'ipotesi della lettura di dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da un prossimo congiunto dell'imputato che, citato come testimone in giudizio, si sia

156F. TRAPELLA, Teste d'accusa non reperibile, letture e diritto al confronto, cit., p. 101.

avvalso solo al dibattimento della facoltà di astensione di cui all'art. 199 c.p.p.

Si è parlato in proposito di una sorta di irripetibilità “giuridica”157,

in quanto connessa ad ipotesi nelle quali il deponente può legittimamente sottrarsi all'esame.

Prima della modifica dell'art. 111 Cost., il tema era stato oggetto di una discussa presa di posizione da parte della Corte costituzionale. L'art. 512 c.p.p., per la sua formulazione generica, fu ritenuto idoneo a comprendere tra i fatti o le circostanze imprevedibili che rendono impossibile la ripetizione dell'atto anche quelli che, pur se dipendenti dalla volontà del dichiarante, determinano di fatto l'impossibilità di procedere all'esame dibattimentale. Nello specifico, la Corte aveva affermato un'interpretazione estensiva dell'art. 512 c.p.p., tale da qualificare l'esercizio della facoltà di astensione del prossimo congiunto dell'imputato come una causa di “oggettiva e non prevedibile impossibilità di ripetizione dell'atto dichiarativo”, idonea dunque a consentire la lettura degli atti assunti anteriormente al dibattimento.

Viene in rilievo la sentenza n. 179 del 1994. Era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 c.p.p. nella parte in cui non consentiva di dare lettura delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari da prossimi congiunti dell'imputato che, citati come testi, si erano poi avvalsi in dibattimento della facoltà di astensione, comportando così la perdita di materiale conoscitivo utile ai fini della decisione.

La Suprema Corte, anzitutto, ravvisa in motivi di ordine affettivo il fondamento della facoltà di non deporre nel processo penale, riconosciuta dal Legislatore ai prossimi congiunti dell'imputato: si tratta di ragioni consistenti nella «tutela del sentimento familiare

157L'espressione è di C. CESARI, L'irripetibilità sopravvenuta degli atti di

(latamente inteso) e nel riconoscimento del conflitto che può determinarsi, in colui che è chiamato a rendere testimonianza, tra il dovere di deporre e dire la verità, e il desiderio, o la volontà, di non danneggiare il prossimo congiunto». Da ciò la Consulta ricava alcune conseguenze.

In primo luogo, ne deriva che laddove il prossimo congiunto accetti di deporre, egli assume la qualità di teste al pari di qualsiasi altro soggetto, con tutti gli obblighi che tale qualità comporta.

Inoltre, la testimonianza così acquisita è legittimamente e stabilmente acquisita: la Corte afferma che «l'acquisizione della prova testimoniale legittimamente assunta non può essere condizionata dall'eventualità di una successiva invalidazione da parte del teste, nel caso di un suo tardivo esercizio della facoltà di astensione». Si tratta di un principio generale, che trova applicazione in tutti i casi in cui le dichiarazioni di tali soggetti possono assumere rilevanza in sede processuale, dunque anche allorquando si procede all'assunzione di sommarie informazioni in fase di indagini e di udienza preliminare.

La Corte conclude affermando che, in ogni caso, all'autorità interrogante fa capo l'obbligo di avvertire il prossimo congiunto dell'indagato o dell'imputato della facoltà di astensione di cui all'art. 199 c.p.p. Assolto diligentemente tale obbligo, laddove l'interessato abbia rinunciato alla facoltà di tacere, la dichiarazione risulta legittimamente assunta. Nell'eventualità poi che il dichiarante decida successivamente di astenersi dalla testimonianza dibattimentale, pur se in seguito all'esercizio di un diritto, «si determina comunque quella oggettiva e non prevedibile impossibilità di ripetizione dell'atto dichiarativo che, ai sensi dell'art. 512, consente di dare lettura degli atti assunti anteriormente al dibattimento»158. Una soluzione, quest'ultima,

158Così anche G. ICHINO, La facoltà di astensione dei prossimi congiunti, in Cass.

pen., 1993, p. 1588, nonché Cass., Sez. II, 23 ottobre 1996, Spanò, in Dir. pen. proc., 1996, p. 1458, che si richiama espressamente alle posizioni assunte dalla

che si poneva «in linea con il criterio tendente a contemperare il rispetto del principio dell'oralità con l'esigenza di evitare la perdita, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede». Secondo le considerazioni esposte, la questione di legittimità costituzionale fu dichiarata pertanto infondata.

Appare così evidente la tendenza a considerare sempre di più le indagini preliminari come un'anticipazione del processo, facendovi retrocedere concetti e categorie tipici del giudizio, come l'assunzione della qualità di teste o l'acquisizione di materiale probatorio. Le conseguenze destano forti perplessità: la cristallizzazione delle risultanze di indagine, in patente carenza di dialetticità.

Gli inconvenienti derivanti da simile orientamento sono molteplici. Anzitutto, una nozione di irripetibilità suscettibile di essere integrata anche dal legittimo rifiuto di sottoporsi ad esame si tradurrebbe in un'impossibilità occasionale e soggettiva di ripetizione.

Si deve poi considerare il fatto che, se l'astensione del prossimo congiunto integra un caso di sopravvenuta irripetibilità, dovrebbe ammettersi l'uso, come prova delle dichiarazioni da questi rese, della testimonianza dell'organo di polizia giudiziaria che le abbia raccolte, anche quando il teste diretto non venga citato: in tal caso, infatti, il comma 3 dell'art. 195 c.p.p. stabilisce che la mancata richiesta di citazione del prossimo congiunto, fonte diretta delle informazioni, comporta l'inutilizzabilità della testimonianza indiretta, fatti salvi alcuni casi tassativamente previsti, con la conseguenza che l'indisponibilità del teste prossimo congiunto risulterebbe equiparabile a morte, infermità ed irreperibilità del teste diretto.

Da ultimo, potrebbe presentarsi il caso di colui che abbia dovuto rendere dichiarazioni in fase di indagini, in quanto privo della qualità di prossimo congiunto, ma l'abbia acquisita in seguito159: l'esercizio del

159Si pensi, ad esempio, all'ipotesi di affidamento preadottivo, trasformatosi in vincolo di adozione nelle more del procedimento, oppure al caso di colui che nel

diritto verrebbe così disconosciuto e nulla potrebbe impedire la lettura delle dichiarazioni già rese160.

Successivamente, a seguito della modifica dell'art. 111 Cost. ad opera della legge costituzionale n. 2 del 1999, il problema ha trovato una nuova configurazione.

Nella sentenza n. 440 del 2000 la Corte costituzionale abbandona l'interpretazione seguita nella sentenza precedentemente esaminata e muta impostazione. Fu nuovamente sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 c.p.p., questa volta nella parte in cui, alla stregua dell'interpretazione indicata dalla sentenza n. 179 del 1994, consentiva di dare lettura dei verbali delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari da prossimi congiunti dell'imputato che in dibattimento si avvalevano della facoltà di non deporre ai sensi dell'art. 199 c.p.p. Anche in questo caso il Supremo Collegio ritenne la questione non fondata, essendo quest'ultima basata su un presupposto interpretativo superato dal mutato quadro normativo.

La Corte parte dalla considerazione che il quadro normativo in base al quale aveva pronunciato la precedente sentenza interpretativa è «in effetti radicalmente mutato a seguito delle modifiche introdotte nell'art. 111 Cost. dalla legge costituzionale n. 2 del 1999». Si evidenzia che le due “anime” del principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale risultano adesso espressamente enunciate nella menzionata disposizione costituzionale. Il primo periodo del comma 4 ne enuncia la dimensione oggettiva, cioè quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti, affermando che «il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova»; il comma 3, invece, ne richiama la dimensione soggettiva, ossia quale diritto dell'imputato di confrontarsi

frattempo si sia unito in matrimonio con l'imputato.

con il suo accusatore, riconoscendo alla persona accusata «la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico». Il secondo periodo del comma 4 specifica che «la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore». Infine, il comma 5 della disposizione in parola prevede eccezionalmente che, nei casi regolati dalla legge, «la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita».

La Suprema Corte ravvisa come l'interpretazione estensiva dell'art. 512 c.p.p. risulti «chiaramente incompatibile» con la sfera di applicazione della specifica ipotesi di deroga al contraddittorio «per accertata impossibilità di natura oggettiva» prevista dal comma 5 della disposizione costituzionale. Questa, infatti, «non può che riferirsi a fatti indipendenti dalla volontà del dichiarante, che di per sé rendono non ripetibili le dichiarazioni rese in precedenza, a prescindere dall'atteggiamento soggettivo»: se ne desume, pertanto, che tra le cause di «impossibilità di natura oggettiva» non può farsi rientrare l'esercizio della facoltà di astenersi dal deporre riconosciuta al prossimo congiunto dell'imputato, dato che in questo caso si attribuisce rilievo ad una sua manifestazione di volontà.

La Corte conclude che «l'art. 512 c.p.p. va quindi interpretato nel senso che non è consentito dare lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dai prossimi congiunti dell'imputato che in dibattimento si avvalgono della facoltà di astenersi dal deporre a norma dell'art. 199 c.p.p., in quanto tale situazione non rientra tra le cause di natura oggettiva di impossibilità di formazione della prova in contraddittorio».

Controverso, nella giurisprudenza di legittimità, è l'ambito di operatività dell'art. 199 c.p.p. nel caso in cui le dichiarazioni procedimentali del teste, poi astenutosi, riguardino imputati diversi dal suo prossimo congiunto.

Secondo un primo orientamento, in mancanza di un accordo tra le parti, le dichiarazioni del soggetto poi avvalsosi della facoltà di non deporre in quanto prossimo congiunto di uno degli imputati sono da ritenere inutilizzabili anche nei confronti dei coimputati del prossimo congiunto, poiché l'esercizio della facoltà di astensione non può dirsi imprevedibile.

Secondo una diversa impostazione, invece, la facoltà di astensione prevista dall'art. 199 c.p.p. non si estende anche a quella parte della testimonianza concernente i coimputati del prossimo congiunto del testimone: pertanto, le dichiarazioni rese da quest'ultimo nel corso delle indagini preliminari e riferibili a soggetti diversi dal congiunto imputato sono acquisibili in dibattimento, in caso di astensione dal deporre, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., essendo imprevedibile un rifiuto di ribadire una deposizione precedentemente resa161.

Infine, devono ritenersi acquisibili le dichiarazioni rese in sede di indagine dal prossimo congiunto che in dibattimento si sia avvalso della facoltà di astensione di cui all'art. 199 c.p.p. nel caso in cui vi sia l'accordo tra le parti ovvero il teste sia stato sottoposto a minaccia o lusinga per non deporre.

161Così in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. GIARDA e G. SPANGHER, cit., p. 6535.

2.5. Lettura di dichiarazioni rese da persona residente