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Il contraddittorio “soggettivo”

Oggetto di interesse sono i commi 3 e 4, secondo periodo, dell'art. 111 Cost.

Concentrando anzitutto l'attenzione sul comma 3, questo riproduce le garanzie previste dall'art. 6, par. 3, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Esso contiene il catalogo dei diritti spettanti, all'interno del processo penale, alla persona accusata di un reato.

Ai fini della presente analisi rileva la parte centrale del terzo comma, laddove si garantisce all'imputato il diritto «davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico»: si tratta del riconoscimento a livello costituzionale del

right to confrontation, ovvero del diritto dell'imputato a confrontarsi

con l'accusatore55.

E' possibile rilevare alcune differenze rispetto alla omologa

54 V. infra, par. 1.7.

55 A differenza dell'art. 6 Cedu, il comma 3 dell'art. 111 Cost. parla di “facoltà” e non di “diritto” in ordine al confronto. Sul punto si è espresso criticamente P.P. PAULESU, Giudice e parti nella “dialettica” della prova testimoniale, Torino, 2002, p. 14, nota 32. Al fine di non vanificare la portata della disposizione, si ritiene che il termine “facoltà” vada interpretato quale sinonimo di “diritto”: v. S. MAFFEI, Il diritto al confronto con l'accusatore, Piacenza, 2003, p. 91.

previsione convenzionale. In primo luogo, la norma costituzionale precisa che il diritto di interrogare riguarda non solo i testimoni, bensì, più in generale, le “persone” che rendono accuse a carico: tuttavia, occorre evidenziare che i giudici europei hanno da tempo precisato come il termine “testimone” assuma nella previsione pattizia un significato autonomo dagli usi linguistici dei diversi sistemi nazionali. Inoltre, il testo costituzionale prevede che il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore debba trovare attuazione “davanti al giudice”: anche in questo caso non si è mancato di rilevare come, pur in assenza di tale specificazione, una diversa conclusione sarebbe risultata improbabile, considerando che il diritto alla prova si inserisce comunque all'interno di quel “giusto processo”, che dovrà svolgersi davanti al giudice indipendente ed imparziale indicato nell'art. 6, par. 1, Cedu56.

L'altra disposizione che viene in rilievo è il secondo periodo del comma 4, la quale recita «la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore». Una direttiva, questa, dettata dall'esprit de ressentiment verso la sentenza n. 361 del 1998 relativa all'art. 513 c.p.p.57.

56 In questi termini E. MARZADURI, Commento all'art. 1, l. cost. 23 novembre

1999, n. 2, cit., p. 783.

57 Nei nuovi principi, e in particolare nell'esplicito richiamo a chi si sottrae volontariamente all'interrogatorio, risulta evidente la polemica nei confronti della sentenza costituzionale n. 361 del 1998. Una polemica, questa, fallace, dato che tra i vari interventi della giurisprudenza costituzionale questa decisione risulta essere la meno criticabile: sia per l'oggettiva difficoltà di distaccarsi dalle precedenti sentenze, orientate verso il recupero delle dichiarazioni rese nell'indagine preliminare, sia perché il rifiuto di rispondere del coimputato rappresenta già di per sé una sconfitta del contraddittorio. La Corte costituzionale ha inferto i colpi più duri al contraddittorio con le pronunce del 1992: anzitutto con la sentenza n. 24, che ammetteva la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria; poi con la sentenza n. 255, che riconosceva efficacia probatoria ai precedenti difformi utilizzati per le contestazioni. E' questo “vortice inquisitorio” che risulta necessario chiudere per attuare il contraddittorio nella formazione della prova. E l'unica soluzione in tal senso risulta essere il ripristino delle due

La proposizione suona come un'esplicazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova: in nessun modo questo potrebbe dirsi rispettato laddove si ammettesse una condanna fondata su dichiarazioni non sottoposte al necessario controesame.

La disposizione può esplicare i suoi effetti solo in presenza della fattispecie della libera sottrazione al controesame difensivo. Al di là di tale ambito applicativo, la materia rimane disciplinata dalla regola di esclusione probatoria di cui al primo periodo del comma 4 e, quando ne ricorrano i presupposti, dalle eccezioni contemplate dal successivo comma 5. Ciò significa che non è possibile affermare l'utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni raccolte unilateralmente sulla base del semplice fatto che il soggetto non si sia sottratto per libera scelta all'interrogatorio da parte della difesa58.

E' utile chiedersi se la disposizione in esame ponga una regola di esclusione probatoria o costituisca piuttosto un criterio di valutazione. Si tratta di fenomeni differenti59: per un verso, la regola di esclusione

comporta che il giudice debba ignorare un dato, il quale dunque non può dirsi acquisito al processo e rimane giuridicamente irrilevante; il criterio di valutazione (o di giudizio), viceversa, comporta l'obbligo per il giudice di conoscere e valutare il dato, ma ne orienta il

regole fondamentali di esclusione probatoria, che costituiscono i pilastri del processo accusatorio: da un lato, il divieto per la polizia giudiziaria di deporre sulle dichiarazioni ricevute nel corso del procedimento; dall'altro, il divieto di attribuire valore probatorio alle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni, il cui fine può essere solo il controllo di attendibilità della testimonianza dibattimentale. Così P. FERRUA, Il processo penale dopo la riforma dell'art. 111 della

Costituzione, cit., p. 59-60.

58 Difatti, le maggiori preoccupazioni avevano avuto ad oggetto la possibile incidenza della previsione sul principio del contraddittorio sancito nel primo periodo del comma 4. Sul punto v. E. MARZADURI, Commento all'art. 1, l.

cost. 23 novembre 1999, n. 2, cit., p. 795, il quale afferma che «se si ritiene che

nella seconda parte della disposizione si esplicita l'intero significato del principio sul piano dei divieti probatori, si potrebbe dover ammettere che, ove la persona interrogata accetti il confronto, sia pure soltanto con l'imputato, le precedenti dichiarazioni, per quanto rese nel segreto delle indagini, saranno valutabili come prove».

59 Sulla distinzione v. P. FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in AA. VV., La prova nel dibattimento penale, Giappichelli, Torino, 1999, p. 225 s.

convincimento. E' questa la fondamentale differenza tra il primo e il secondo periodo del comma 4. Quest'ultimo, a differenza della prima parte, non pone una regola di esclusione probatoria, bensì un criterio di valutazione. E difatti non si afferma che le dichiarazioni di colui che si è sottratto per libera scelta al controesame della difesa sono inutilizzabili, ma si dice che non è possibile affermare sulla loro base la colpevolezza dell'imputato. Nessun divieto, quindi, di acquisirle al fascicolo dibattimentale e di valutarne il contenuto: semplicemente, risultano inidonee a suffragare l'ipotesi accusatoria, mentre ne rimane pienamente consentito l'utilizzo a favore dell'imputato60.