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Il cervello aggressivo: le basi cerebrali del controllo degli impulsi

2. Le neuroscienze

2.4. L’anatomia della violenza

2.4.1. Il cervello aggressivo: le basi cerebrali del controllo degli impulsi

Grazie agli strumenti esaminati in precedenza, è stato possibile mettere a punto paradigmi sperimentali sempre più sofisticati ed analizzare l’attività cerebrale che supporta non solo funzioni mnemoniche, linguistiche o percettive, ma anche quelle più difficilmente esaminabili scientificamente, come le emozioni e il comportamento; è stato anche possibile confrontare i dati ottenuti circa il funzionamento cerebrale di popolazioni differenti, riuscendo, così, ad indagare gli effetti di variabili, quali le patologie, l’invecchiamento e l’apprendimento. Gli studi più recenti sono stati in grado di confrontare i correlati neurofisiologici del comportamento aggressivo in soggetti normali, criminali, e nelle diverse diagnosi psichiatriche61. L’aggressività ha sempre costituito un tratto costante nella storia dell’umanità e anche nell’esperienza umana individuale; in epoca contemporanea, in particolar modo, il tasso di aggressività è talmente aumentato da rappresentare un vero e proprio problema sociale62. Ma da dove deriva questa aggressività? Si è cercato, in primo luogo, di descrivere le basi neurali di questo genere di meccanismi, soprattutto per mezzo dell’indagine sul ruolo dell’area della corteccia frontale nella generazione e inibizione degli impulsi aggressivi, e si è giunti a constatare come, in seguito ad una lesione o malformazione di questa regione cerebrale, questi meccanismi possono risultare alterati e facilitare, così, reazioni aggressive.

60 RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, Mondadori, Milano, 2016, p. 4.

61 PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., p. 47.

62 PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, cit., p. 48.

20 Proprio alcune aree della corteccia prefrontale e delle regioni circostanti, tra cui l’amigdala63, hanno costituito il punto nevralgico di alcuni esperimenti64 condotti su pazienti che presentavano lesioni alle suddette zone. Questi pazienti mostravano notevoli differenze, a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, non solo rispetto al gruppo normale di controllo – soggetti sani – ma, addirittura, rispetto ad altri pazienti che presentavano lesioni cerebrali, ma al di fuori di queste aree. A livello emotivo, nonostante il loro sistema di risposta elettrodermale fosse intatto e reattivo, i soggetti non presentavano reazioni di conduttanza cutanea alla visione di immagini socialmente significative, come calamità naturali o mutilazioni65, segno di un malfunzionamento nella codificazione di eventi socio-emotivi che si traduce in anaffettività e mancanza di empatia dell’individuo. A livello cognitivo i pazienti prendevano pessime decisioni e ciò si poteva evincere, ad esempio, da un particolare test psicologico, l’Iowa gambling task: gli individui sottoposti al test dovevano ordinare delle carte potendo scegliere liberamente in quale dei quattro mazzi inserirle (mazzo A/B/C/D); ad ogni mazzo corrispondeva un determinato premio oppure una punizione ed erano organizzati in modo tale che, scegliendo i mazzi A e B, si sarebbero ottenuti grandi premi ma anche grandi perdite

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mentre, scegliendo i mazzi C e D, premi minori ma anche punizioni minori. Solitamente, a metà del gioco gli individui sani imparavano ad evitare i mazzi A e B, preferendo i mazzi C e D che consentono loro il migliore profitto, mostrando, così, un buon processo decisionale nella valutazione di premi e punizioni. Al contrario, i pazienti soggetti a lesioni prefrontali continuavano a scegliere i mazzi dannosi. Grazie al poligrafo, si è potuto notare come nei soggetti sani si verificasse, ad un certo punto, una reazione di conduttanza cutanea, una sorta di campanello d’allarme con cui il cervello ci avvisa che stiamo per compiere un’azione rischiosa e potenzialmente dannosa; nei pazienti con lesioni, invece, non suonava nessun campanello d’allarme66. Non risulta difficile pensare, a seguito dei risultati di test come questi, che lesioni simili a determinate aree cerebrali possano contribuire in una certa misura ad un comportamento impulsivo, fuorilegge, spericolato ed irresponsabile, con una maggiore possibilità di sfociare in un disturbo antisociale della personalità. A livello comportamentale, infine, una caratteristica comune in questi pazienti consisteva nella manifestazione di tratti psicopatici, come nel celebre caso di Phineas Gage.

63 Cfr. par. 2.3.

64 DAMASIO A., L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1995.

65 RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, cit., p. 189.

66 BECHARA A./DAMASIO H./TRANEL D./DAMASIO A.R., Deciding advantageously before knowing the advantageous strategy, in Science, 275, 1997, pp. 1293-1294.

21 2.4.1.1. Il caso Phineas Gage

Phineas Gage era un capomastro della Great Western Railway e il giorno 13 settembre 1848 rimase coinvolto in un grave incidente: una barra di ferro gli perforò il cranio, entrando da sotto lo zigomo ed uscendo dalla parte superiore centrale della sua testa, creando un’apertura nel cranio67. Gage, miracolosamente, sopravvisse, ma, se le conseguenze fisiche consistettero

“solo” nella perdita dell’occhio sinistro, non altrettanto limitate furono le conseguenze a livello caratteriale e comportamentale: da lavoratore operoso, rispettato, amato e responsabile, si era trasformato in un individuo dai tratti psicopatici, impulsivo, irresponsabile, sessualmente promiscuo ed alcolizzato. In tempi moderni, grazie ad un’analisi cerebrale compiuta con tecniche avanzate, si è giunti alla conclusione che il cervello di Phineas Gage presentava una lesione alla corteccia frontale, che oggi riconosciamo ricoprire un ruolo fondamentale nella modulazione degli aspetti sociali comportamentali68. In seguito, gli studi relativi a pazienti con alterazioni acquisite della personalità in senso aggressivo e violento si sono moltiplicati. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, diversi studiosi si sono concentrati, in particolare, sull’osservazione del cervello di soggetti colpevoli di omicidio durante lo svolgimento di compiti di attivazione frontale e sul confronto di questi con dei soggetti di controllo; ne è emersa una notevole differenza, in termini di attività metabolica nella corteccia prefrontale, tra questi ultimi e gli assassini. Alla luce di questi e di altri dati, molti ritengono che la base del comportamento criminale possa risiedere nella ridotta attività delle regioni frontali o nella disconnessione tra corteccia prefrontale e strutture implicate nella risposta a stimoli emotivi69. Ma questo non significa poter stabilire una linea causale necessaria che leghi le anomalie funzionali e strutturali all’agire criminale, né tantomeno che l’azione criminale sia, unicamente, il prodotto di una determinata condizione fisica o biologica appartenente al delinquente.

2.4.1.2. Cervello malato

Un altro caso esemplare che riguarda la connessione tra danno cerebrale e comportamento antisociale è quello di un signore americano, che verrà qui chiamato Signor X, il quale però, a

67 Per approfondimenti, vedi: PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 49-50; RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, cit., pp.

191-194; LAVAZZA A./SAMMICHELI L., Il delitto del cervello. La mente tra scienza e diritto, cit., p. XV.

68 PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, cit., pp. 49-50.

69 PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI, Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 54-57.

22 differenza del caso Phineas Gage, è giunto dinnanzi ad un tribunale, in seguito alla commissione di un reato70. Il Signor X era un tranquillo uomo americano di mezza età, con un lavoro, una moglie ed una figliastra di dodici anni, senza alcun precedente psichiatrico, né trascorsi di comportamenti deviati; ma all’età di 40 anni iniziò ad assumere atteggiamenti non appropriati nei confronti della figliastra e a collezionare materiale pedopornografico, fino ad arrivare a compiere veri e propri atti di violenza sessuale nei confronti della bambina. Accusato di violenza sessuale su minore, poté scegliere tra un programma di cura per pedofili e il carcere;

il Signor X scelse il programma di cura, ma non riuscì a portarlo a termine a causa della sua condotta: egli, infatti, continuò a chiedere favori sessuali a qualunque donna si trovasse all’interno della struttura di cura e, per questo motivo, fu cacciato e mandato in carcere. Poco prima di finire in carcere, l’uomo iniziò a lamentarsi a causa di un forte mal di testa e, in seguito ad una TAC eseguita da un famoso neurologo, si scoprì la presenza di un grosso tumore che comprimeva una parte della regione prefrontale del cervello; dopo un’operazione di asportazione del tumore, il Signor X cambiò completamente: la sua attività sessuale e le sue emozioni tornarono nella norma, smise di adottare comportamenti socialmente e moralmente inappropriati e riuscì a concludere positivamente il percorso di cura. Tuttavia, dopo diversi mesi, egli tornò a collezionare materiale pedopornografico e, da una nuova TAC cerebrale, emerse che il tumore stava ricrescendo. Asportato il tumore per la seconda volta, il Signor X guarì nuovamente e non mostrò più segnali di comportamento deviato.

Questo caso presenta dei dati fattuali che sembrano suggerire una stretta relazione tra tumore e comportamento deviato, soprattutto perché la correlazione si manifesta per ben due volte. Viene qui sollevato, necessariamente, un problema legale: il Signor X può essere ritenuto responsabile per i crimini commessi? Com’è possibile ritenerlo legalmente responsabile, in un caso in cui la condizione medica è lampante e non dipende dalla volontà dell’individuo? In che modo verrebbe trattato il caso di un soggetto che ha posto in atto la medesima condotta del Signor X, in assenza, però, di un tumore di tali dimensioni che comprimesse il cervello nella zona prefrontale? Se un altro criminale presentasse invece un danno non curabile, verrebbe considerato più responsabile, più meritevole di una punizione? La legge statunitense stabilisce la responsabilità legale sulla base della capacità di raziocinio: è necessario che il soggetto sappia ciò che sta facendo e che sia consapevole del fatto che ciò che sta facendo è sbagliato. È necessario, dunque, valutare se il Signor X soddisfi entrambi i requisiti. Per alcuni studiosi71 la risposta è negativa: essi ritengono che alcuni psicopatici gravi non siano in grado di

70 RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, cit., p. 441 ss.

71 MORSE S.J., Psychopathy and criminal responsibility, in Neuroethics, 1, 2008, pp. 205-212.

23 comprendere i concetti morali. Al momento, la legge lo ha ritenuto responsabile, ma in altri casi concettualmente simili, che si vedranno più avanti, l’imputato ha potuto ottenere una dichiarazione di seminfermità mentale, con conseguente diminuzione di pena, grazie anche alle evidenze fornite per mezzo di tecnologie neuroscientifiche72.