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PET, EEG, TAC, Brain Fingerprinting

2. Le neuroscienze

2.3. Metodi neuroscientifici. Brain imaging

2.3.1. PET, EEG, TAC, Brain Fingerprinting

Le moderne metodiche di esplorazione del cervello, che permettono di misurare i parametri di attività cerebrale dell’essere umano vivente in modo non invasivo e in differenti condizioni sperimentali, prendono le mosse da studi più remoti, condotti attraverso l’uso di tecnologie

38 Cfr. COCCARO E.F. et al., Amygdala and orbitofrontal reactivity to social threat in individuals with impulsive aggression, in Biol. Psychiatry, 2007, p. 168 ss.

39 MERZAGORA I./PIZZOLI S., Neuroscienze e rischio di criminalità violenta, cit., p. 319 ss.

12 arretrate, che gettano, però, le basi di una ricerca neuroscientifica ancora oggi in via di sviluppo.

A questo proposito, il primo studio di cui si ha conoscenza risale al 1881, quando il fisiologo italiano Angelo Mosso, durante l’osservazione di un paziente colpito da una lesione della teca cranica, notò delle pulsazioni, al di sotto delle meningi, dovute allo scorrere del sangue nei vasi cerebrali; riuscendo a misurare queste pulsazioni, il fisiologo riuscì a dimostrare che queste variavano a seconda di che cosa facesse il paziente. Di conseguenza, si poté constatare come l’attività mentale fosse legata a fenomeni fisici che avvengono nel cervello e che si possono addirittura misurare40. Partendo dai risultati ottenuti attraverso gli studi di Mosso, assistiamo oggi allo sviluppo di tecniche che consentono di misurare gli indici indiretti di attività neuronale-sinaptica, visualizzando, così, l’attività cerebrale pressoché in tempo reale41.

Una delle tecniche di neuroimaging è la Tomografia a Emissione di Positroni (PET): essa si occupa di produrre immagini del corpo, ottenute per mezzo di traccianti marcati con dei radiofarmaci iniettati nel paziente; in questo modo, è possibile registrare le radiazioni emesse dai positroni dei tessuti in analisi, arrivando ad ottenere informazioni di carattere quantitativo e qualitativo. Se si misura l’attività cerebrale di un soggetto con gli occhi chiusi, si può notare che il flusso ematico nella zona della corteccia visiva risulta minore rispetto alle altre regioni cerebrali, mentre se la stessa analisi viene compiuta quando il soggetto ha gli occhi aperti, la corteccia visiva presenta un’attività metabolica maggiore, dovuta al fatto che i neuroni lavorano di più per processare gli stimoli sensoriali che giungono attraverso la vista42. Grazie a queste tecniche è possibile anche esaminare meccanismi cerebrali più complessi, come quelli coinvolti in funzioni mentali ritenute difficilmente analizzabili scientificamente, quali, ad esempio, le emozioni e il rispetto di regole morali e sociali. Anche la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) riveste una fondamentale importanza in questo ambito, infatti si tratta di un’indagine morfo-funzionale radiologica di elevato potere risolutivo: le radiazioni, che vengono trasformate in impulsi elettrici, permettono di ottenere immagini di sottili strati del corpo indagato, consentendo un approfondito studio del sistema nervoso centrale e dell’encefalo.

Oltre a questo tipo di analisi, si sono sviluppate metodologie di ricerca che utilizzano misurazioni dell’attività elettrica cerebrale: posto che i neuroni dialogano tra loro attraverso

40 PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 45-46.

41 MERZAGORA BETSOS I., Colpevoli si nasce? Criminologia, determinismo, neuroscienze, Raffaello Cortina, Milano, 2012, pp. 79-80; PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, in Cassazione penale, fasc. 01, 2008, pp. 408-409; PIETRINI P./BAMBINI V., Homo ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 45-46.

42 PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, cit., p. 409.

13 delle microcorrenti elettriche che trasferiscono l’impulso nervoso da un neurone all’altro43, l’Elettroencefalografia (EEG) consente di misurare questi potenziali elettrici, in maniera non invasiva, attraverso l’applicazione di elettrodi allo scalpo dell’individuo sottoposto all’esame.

Mettendo a confronto le tecniche elettroencefalografiche e la Risonanza Magnetica Funzionale (di cui parlerò più avanti), si evince una minore capacità delle prime di riconoscere come distinti due eventi vicini nello spazio, ma una maggiore capacità a livello temporale – cioè di riconoscere come separati nel tempo due eventi vicini – perché queste misurano direttamente il fenomeno elettrico neuronale.

Appartenente allo stesso ordine di tecniche di indagine cerebrale è, inoltre, la Magneto-encefalografia (MEG), la quale misura il campo magnetico generato dall’attività elettrica dei neuroni: essa permette di creare una mappa dell’organizzazione funzionale del cervello, con una risoluzione spaziale inferiore al centimetro e una temporale dell’ordine del millisecondo.

Anche queste tecnica, così come l’EEG, misura direttamente l’attività elettrica cerebrale attraverso un approccio per nulla invasivo, ed il suo scopo principale è quello di identificare, nel tempo e nello spazio, la sede cerebrale di una determinata funzione nervosa44.

Una tecnica di neuroimaging che potrebbe rivelarsi particolarmente utile durante le indagini relative ad un determinato crimine è il Brain Fingerprinting, un metodo improntato sull’analisi dell’onda P300. Quest’onda assume rilievo in risposta a stimoli sensoriali e varia la sua ampiezza a seconda che risponda a stimoli familiari o non familiari: in questo modo, sarebbe possibile stabilire, ad esempio, se un soggetto mostri familiarità con un determinato oggetto presente sulla scena del crimine. Tuttavia, il metodo in questione è ancora lontano dall’ottenere un riconoscimento scientifico di carattere oggettivo, soprattutto per quanto riguarda la specificità della risposta. Un’onda P300 di ampiezza maggiore, infatti, significa solamente che il cervello ha recepito un’immagine come più familiare rispetto ad altre, ma, partendo da questo dato, risulta difficile stabilire un necessario legame causale con un determinato atto criminale;

senza tenere conto, poi, delle possibili interferenze legate a traumi, ricordi o ad associazioni mentali difficilmente spiegabili45.

43 PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, cit., p. 412.

44 PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, cit., pp. 412-413.

45 PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, cit., p. 413.

14 2.3.2. Lie detection

Riuscire a leggere nella mente delle persone e poter stabilire con certezza se queste stiano dicendo la verità è un argomento che ha affascinato gli studiosi fin dall’antichità. In tempi più recenti sono nati strumenti che si sono proposti come obiettivo quello di misurare dei parametri oggettivi, i quali possano indicare, con un certo grado di specificità, se in un determinato momento un individuo stia dicendo la verità o meno. Le prime tecniche sperimentate si basano sulla misurazione di indici periferici suscettibili di rapide variazioni relativamente allo stato emotivo del soggetto esaminato, tra cui la frequenza respiratoria, la frequenza cardiaca e la conduttanza palmare; il presupposto su cui si fonda l’analisi di questi parametri è che l’attività del mentire comporta, innanzitutto, l’inibizione della risposta ritenuta vera e, successivamente, la volontaria attivazione di una risposta sostitutiva riconosciuta come falsa46. La menzogna, intesa come atto innaturale e non spontaneo, dunque, indurrebbe la persona che mente in modo consapevole a compiere uno sforzo mentale maggiore, in quanto inibire la risposta veritiera e fabbricarne una falsa richiederebbe un processo mentale qualitativamente e/o quantitativamente diverso, rispetto a quello che richiederebbe dire la verità47.

Nel tentativo di sviluppare tecnologie accurate, gli studiosi hanno sperimentato diverse metodologie finalizzate a valutare la veridicità di una versione, che possono distinguersi in:

strumenti di lie detection, con l’obiettivo di valutare se la risposta di un soggetto sia veritiera o menzognera, e strumenti di memory detection, con l’obiettivo di identificare una traccia di memoria nel cervello del soggetto.

Tra i metodi di lie detection più studiati emerge la figura del Poligrafo con Control Question Test (CQT). Si tratta di uno strumento che rileva le reazioni neurovegetative, quali pressione arteriosa, frequenza cardiaca e sudorazione, a determinate domande relative al crimine su cui si sta indagando; confrontando queste reazioni con quelle a domande di cui si conosce la risposta, sarebbe possibile stabilire se il soggetto stia dicendo la verità oppure stia mentendo, a seconda che le reazioni esaminate risultino sovrapponibili tra loro o meno. Il poligrafo può essere applicato con l’utilizzo della metodologia CQT, per mezzo della quale si confrontano le reazioni fisiologiche delle risposte verbali a una domanda critica con quelle relative alle risposte a domande di controllo: le domande critiche sono riferite direttamente al crimine, quelle di controllo, invece, a comportamenti, avvenuti sicuramente, ai quali il soggetto deve rispondere.

Se la risposta alla domanda critica è veritiera, il profilo della risposta fisiologica dovrebbe

46 SARTORI G./AGOSTA A., Menzogna, cervello e lie detection, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, Milano, 2009, p. 165.

47 PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, cit., p. 407 ss.

15 essere simile a quello esaminato in seguito alla domanda di controllo48. Successivamente, partendo dal presupposto che un maggiore sforzo mentale, richiesto nel momento in cui un soggetto mente, comporti un diverso coinvolgimento di diverse aree cerebrali, è stato messo a punto un sistema di lie detection basato sulla Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI): con questo strumento è possibile da un lato, confrontare e misurare la variazione nell’attività cerebrale indotta dalla bugia con quella relativa alla risposta veritiera, dall’altro, localizzare con elevata precisione le aree cerebrali coinvolte nella produzione della bugia49. In particolare, è stato condotto un esperimento durante il quale i partecipanti dovevano mentire riguardo ad una carta da gioco pescata da un mazzo; sullo schermo di un computer appariva, di volta in volta, una carta e i partecipanti dovevano affermare di possederla o meno, mentre, come compito di controllo, essi dovevano semplicemente indicare se la carta apparsa sullo schermo fosse il cinque di cuori. Dal confronto tra i pattern50 di attività neuronale associati alle diverse condizioni, è emersa una maggiore attivazione di alcune aree della corteccia dei lobi frontali e del cingolo anteriore nel soggetto che mentiva volutamente; a tal proposito, risulta interessante osservare come la zona della corteccia del cingolo anteriore si attivi proprio durante l’esecuzione di compiti che prevedono l’inibizione della risposta automatica, quella più semplice, indice del fatto che l’atto di mentire richieda, come prima attività, quella di inibire la risposta veritiera51.

Tuttavia, molte sono le critiche mosse finora all’attendibilità e alla validità di tali strumenti, tali da poter giustificare un loro utilizzo sistematico. Innanzitutto, bisogna evidenziare che esistono delle contromisure sia fisiche che mentali (es. mordersi la lingua oppure contare all’indietro a partire da 100 sottraendo ogni volta il numero 7) suscettibili di alterare i risultati52; inoltre, i metodi di lie detection non misurano direttamente la menzogna, ma il modo in cui reagisce il sistema nervoso in seguito ad un evento stressante e, di conseguenza, una reazione di imbarazzo o di stress potrebbe essere facilmente confusa con una reazione originata da una bugia. Senza contare i casi relativi a persone capaci di mentire senza batter ciglio o a persone che, a causa di un disturbo psicopatologico, mentono senza sapere di mentire. In casi del genere, la cosiddetta

“macchina della verità” prenderebbe come buone affermazioni false, ma riportate in buona fede.

Infine, un altro importante limite all’affidabilità di questi strumenti consiste nel fatto che,

48 SARTORI G./AGOSTA S., Menzogna, cervello e lie detection, cit., pp. 168-170.

49 SARTORI G./AGOSTA S., Menzogna, cervello e lie detection, cit., p. 170.

50 Pattern: struttura ripetitiva, schema ricorrente.

51 LANGLEBEN D.D./SCHROEDER L./MALDJIAN J.A./GUR R.C./McDONALD S./RAGLAND J.D./O’BRIEN C.P./CHILDRESS A.R., Brain activity during simulated deception: an event-related functional magnetic resonance study, in Neuroimage, 2002, vol. XV, p. 727 ss.

52PIETRINI P., La macchina della verità alla luce delle recenti acquisizioni delle neuroscienze, cit., pp. 407-408.

16 durante gli esperimenti, i partecipanti, solitamente giovani e sani, sono istruiti ad eseguire compiti cognitivi ben definiti e a mentire ad una semplice e specifica questione. Di conseguenza, una ridotta collaborazione del soggetto nel corso dell’esperimento potrebbe portare a risultati difficilmente interpretabili. Per ovviare ad alcuni di questi problemi, sarebbe necessario creare un paradigma sperimentale ad hoc costruito in modo tale che le varie domande abbiano lo stesso peso, cosicché la rilevanza emotiva, la difficoltà di ricostruzione del fatto, il contenuto visivo immaginativo ecc. dovranno essere calibrate nelle diverse condizioni; se così non fosse, le differenze nel pattern di risposta cerebrale potrebbero essere connesse semplicemente al diverso carico cognitivo che comporta un differente grado di attivazione proprio delle stesse strutture dei lobi frontali53.