2. Le neuroscienze
2.4. L’anatomia della violenza
2.4.2. Genetica comportamentale
Un’altra indagine di fondamentale importanza per la ricerca circa le origini del comportamento è quella genetica: molti ricercatori stanno cercando di localizzare geni specifici associati a tratti comportamentali e di comprendere in che modo interagiscono tra loro i geni e l’ambiente in cui si cresce e si vive73. La genetica comportamentale, in particolare, si occupa di studiare determinati aspetti relativi alla personalità umana, tra cui, ad esempio, l’introversione e l’estroversione, l’intelligenza, il comportamento aggressivo e antisociale, alla ricerca di geni che possano risultare implicati nella determinazione di tali tratti. La complessità dell’argomento risiede nel fatto che, mentre da un lato risulta pacifico pensare che geni diversi determinino caratteristiche fisiche differenti, dall’altro, sembra più difficile accettare che questo valga anche per le caratteristiche non strettamente fisiche, quali la personalità ed il comportamento.
2.4.2.1. Geni e ambiente
Uno degli approcci più utilizzati dai ricercatori, per quanto riguarda l’indagine sul legame tra genetica e comportamento antisociale, consiste negli studi sui gemelli e sui fratelli adottivi; lo scopo è quello di stabilire quanto sia ereditabile un certo tratto comportamentale. Procedendo ad un confronto tra gemelli e fratelli comuni, sia biologici che adottivi, cresciuti nello stesso ambiente o in ambienti diversi, è possibile ricavare dei dati circa il contributo genetico e quello ambientale allo sviluppo del comportamento. Indubbiamente, gli effetti dei geni e dell’ambiente sono difficilmente valutabili separatamente, in quanto questi possono influenzarsi a vicenda, infatti, gli effetti sull’uomo derivati da condizioni ambientali sfavorevoli sono più significativi in presenza di una vulnerabilità genetica e, a sua volta, i geni possono influenzare il livello di ereditabilità di determinate situazioni; sostanzialmente, l’influenza genetica sull’ambiente è
72 RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, cit., p. 441 ss.
73 PELLEGRINI S., Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in BIANCHI A./GULOTTA G./SARTORI G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., p. 69.
24 dovuta al fatto che i geni, contribuendo a condizionare la personalità dell’individuo, finiscono per influenzare anche la sua capacità di reagire agli stimoli ed alle condizioni ambientali74 . Tornando agli studi gemellari, occorre prestare attenzione a diversi aspetti. Da alcuni studi75 è emerso che circa il 40-50% della variabilità tra individui, relativamente ai tratti aggressivi, viene spiegata dai geni, quindi la probabilità di ereditare un carattere violento va dallo 0,40%
allo 0,50%. Sono stati anche misurati i livelli di aggressione sia reattiva che proattiva76: il primo tipo di aggressività presenta un’ereditabilità del 38%, mentre la seconda del 50% e, in entrambi i casi, l’influenza ambientale è risultata minima. Se è vero, però, che gli studi gemellari hanno dimostrato un’influenza dei geni alla variabilità individuale rispetto al comportamento aggressivo del 40-50%, ciò significa che circa il 50% della variazione dei comportamenti antisociali può essere spiegato mediante i fattori ambientali; al contrario di quanto si possa pensare, relativamente al tipo di influenze ambientali che colpiscono l’individuo, è, inoltre, emerso dai risultati di numerose ricerche che le influenze familiari rappresentavano il 22% sulla variazione del comportamento antisociale, mentre quelle esterne alla famiglia il 33%, segno del fatto che, fin da bambini, l’influenza più consistente deriva dai propri pari e non dai genitori77. Bisogna tenere conto, quindi, non solo delle componenti genetiche di per sé, ma anche diversi fattori ambientali pre-natali, perinatali e post-natali, che spesso interagiscono con il substrato biologico. Di conseguenza, un soggetto predisposto geneticamente ad un comportamento aggressivo ed antisociale, che vive in un ambiente sano e protettivo, potrebbe non sviluppare mai atteggiamenti di tipo violento; viceversa, un individuo che vive in un ambiente disagiato ed anaffettivo, pur non mostrando particolari fattori di rischio genetici, potrebbe finire per adottare comportamenti violenti78.
74 PELLEGRINI S., Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., p.
72.
75 BAKER L.A./BARTON M./ RAINE A., The Southern California twin register at the University of Southern California, in Twin Research, 5, 2002, pp. 456-459.
76 Aggressione reattiva: si tratta di un’azione difensiva, di rappresaglia, ad esempio quando si viene colpiti e si restituisce il colpo; aggressione proattiva: è la più crudele, si tratta di un tipo di aggressione adoperata allo scopo di privare gli altri di qualcosa. Vedi RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, cit., pp.
41-46.
77 RAINE A., L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine, cit., pp. 41-46.
78 MERZAGORA BETSOS I./PIZZOLI S., Neuroscienze e rischio di criminalità violenta, in BERTOLINO/UBERTIS (a cura di), Prova scientifica, ragionamento probatorio e decisione giudiziale, cit., p. 325.
25 2.4.2.2. Il gene MAO-A
I risultati di recenti studi79 hanno dimostrato che la presenza di una mutazione di uno o di entrambi gli alleli80 per un determinato gene, soprattutto se implicato nel metabolismo di un neurotrasmettitore cerebrale, aumenta il rischio di sviluppare un carattere impulsivo e violento.
In medicina, quando si tratta di individuare le basi genetiche di una certa patologia, si distingue, solitamente, tra geni “causativi” e geni “di suscettibilità”: i primi, se presentano un’alterazione di uno o di entrambi gli alleli, conducono inevitabilmente allo sviluppo della patologia ad essi associata (es. Corea di Huntington); i secondi, invece, indicano solamente una probabilità maggiore di sviluppare la patologia in questione, legata ad altri fattori genetici o ambientali81. È interessante, a proposito, prendere in considerazione il gene che codifica l’enzima monoaminossidasi A (gene MAO-A): si tratta di un enzima che metabolizza molti neurotrasmettitori coinvolti nel controllo degli impulsi e di altre funzioni cognitive, tra i quali la serotonina, le dopamina e la norepinefrina82. L’inattività o la variante allelica di questo gene provoca un’alta concentrazione di questi neurotrasmettitori, la quale può causare, tra le altre cose, un’iperattività dell’amigdala e dell’ippocampo, aree cerebrali che, come abbiamo visto, sono implicate nel controllo delle reazioni emozionali e degli impulsi. Una famosa ricerca ha dimostrato, anche in questo caso, il ruolo decisivo dell’interazione tra predisposizione genetica ed ambiente in cui si cresce83. Gli studiosi dell’Università del Wisconsin condussero un esperimento su un campione di 442 uomini neozelandesi di trent’anni, seguendoli fin dalla nascita; l’8% di questi uomini, di simile condizione socio-economica, aveva subito gravi abusi durante l’infanzia, mentre il 28% maltrattamenti meno consistenti e molti di loro, entro i trent’anni, avevano manifestato comportamenti antisociali o commesso reati. Si decise, in seguito, di andare a controllare l’attività del gene MAO-A, dividendo i giovani in due gruppi:
quelli che presentavano un gene MAO-A ad alta attività enzimatica e quelli con gene MAO-A a bassa attività enzimatica. Dallo studio emerse che, in entrambi i gruppi risultò maggiore la percentuale di coloro che avevano mostrato condotte criminali, se cresciuti in un ambiente disagiato o senza cure genitoriali; ma si notò anche un picco dell’85% di condotte criminali nel
79 Vedi CASPI A. et al., Role of genotype in the cycle of violence in maltreated children, in Science, 297, 2002, pp 851-854; NILSSON K.W. et al., Role of monoamino oxidase A genotype and psychosocial factors in male adolescent criminal activity, in Biol. Psychiatry, 59, 2006, pp. 121-127.
80 Alleli: sequenze che occupano la stessa posizione su due cromosomi omologhi.
81 PELLEGRINI S., Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in BIANCHI/GULOTTA/SARTORI (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit. pp.
74-75.
82 BRUNNER H.G./NELEN M./BREKFIELD X.O./ROPERS H.H./VAN OOST B.A., Abnormal behavior associated with a point mutation in the structural gene for monoamine oxidase A, in Science, 262, 1993, pp. 578-580.
83 CASPI A. et al., Role of genotype in the cycle of violence in maltreated children, in Science, 297, 2002, pp 851-854.
26 gruppo a bassa attività enzimatica, sintomo del fatto che una componente genetica non sia di per sé causativa, ma rappresenti, comunque, un fattore di maggiore vulnerabilità a determinati avvenimenti negativi84.
Le implicazioni che queste conoscenze possono avere sul piano legale e su quello etico-morale sono tuttora da definire e si trovano al centro di un lungo dibattito che tocca molteplici discipline, che cercheremo di analizzare nei capitoli successivi. Ad ogni modo, il fine che la scienza, in particolare le moderne neuroscienze, intende perseguire consiste nel tentare di rendere il più oggettivo possibile il livello di osservazione, in modo tale da poter ridurre al minimo il livello di soggettività e di discrezionalità legate all’interpretazione.
84 LAVAZZA A./SAMMICHELI L., Il delitto del cervello. La mente tra scienza e diritto, cit., pp. 82-84.
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