3. Le neuroscienze in tribunale
3.4. La prova neuroscientifica nella capacità di intendere e di volere. Casi esemplari
La giurisprudenza italiana è stata teatro di alcune note vicende giudiziarie che hanno evidenziato un importante ruolo delle neuroscienze nella definizione della capacità di intendere e di volere dell’imputato; nonostante l’approccio giurisprudenziale alle neuroscienze sia ancora oggi piuttosto timido, due famose sentenze del 2009 avevano destato un notevole scalpore, al punto da essere considerate da molti rivoluzionarie: si tratta di due casi trattati a Trieste e a Como.
Il caso di Trieste150 riguarda uno sconto di pena concesso ad un imputato algerino, già condannato per omicidio in primo grado, sulla base del riconoscimento di una seminfermità mentale, ottenuto anche con l’aiuto delle nuove conoscenze neuroscientifiche. La vicenda vede come protagonista un uomo di origine algerina, residente da anni in Italia, che era stato bersaglio di insulti e di “accuse” di omosessualità dovute all’usanza di truccarsi il viso per motivi religiosi, da parte di un uomo di origine colombiana; per vendicarsi dell’affronto subito, il giovane algerino si era recato ad acquistare un coltello, per poi tornare sul luogo del litigio ed uccidere l’uomo che l’aveva offeso. Durante il processo di primo grado, le indagini circa
148 BERTOLINO M., Dall’organizzazione all’individuo: crimine economico e personalità, una relazione da scoprire, cit., p. 49.
149 BERTOLINO M., Dall’organizzazione all’individuo: crimine economico e personalità, una relazione da scoprire, cit., p. 53 ss.
150 Tribunale di Udine, Gup, 10.06.2008; Corte di Assise di Appello penale di Trieste, 01.10.09, pres. ed est.
Reinotti, in Rivista penale, 2010, 1, pp. 70-75.
46 l’imputabilità del soggetto, avevano portato a risultati contrastanti, infatti il perito del Gup e il consulente di parte erano giunti ad una dichiarazione di totale incapacità di intendere e di volere, mentre il perito dell’accusa aveva decretato una semimputabilità; in secondo grado furono eseguite perizie più approfondite che fecero emergere “una personalità di tipo dipendente-negativistico con importante disturbo ansioso-depressivo accompagnato da pensieri deliranti ed alterazione del pensiero associata a disturbi cognitivi nell’interpretare correttamente la realtà, anche se non così gravi da annullare del tutto la capacità di intendere e di volere”151. I periti utilizzarono anche tecniche di neuroimaging oltre ad un’analisi di carattere genetico, la quale portò alla scoperta della variante allelica MAO-A (cfr. par 4.2.2) nel corredo genetico dell’imputato. Si concluse, così, che la componente genetica e le condizioni ambientali e familiari sfavorevoli in cui era cresciuto l’algerino avevano influito sul suo comportamento violento, al punto da incidere, in modo parziale, sulla capacità di intendere e di volere; la pena fu così ridotta in seguito alla dichiarazione di seminfermità mentale. È importante sottolineare che la “prova” genetica non è stata, da sola, sufficiente a fondare una diagnosi di seminfermità mentale, ma ha contribuito ad avvalorare l’analisi clinica e psicopatologica effettuata dagli esperti; risulta, dunque, sbagliato affermare che la riduzione della pena sia stata formulata solo sulla base dell’analisi genetica, la quale ha permesso, invece, di rafforzare la tesi dell’esistenza di un vizio parziale di mente, alla cui formulazione si era già giunti grazie ai metodi di indagine tradizionali.
Il caso di Como152 si occupa, invece, di una giovane donna accusata di omicidio pluriaggravato della sorella e di tentato omicidio dei genitori, la quale viene condannata a venti anni di reclusione a seguito del riconoscimento di una seminfermità mentale. L’imputata Stefania Albertani aveva, infatti, ucciso la sorella facendole assumere prima un’ingente quantità di psicofarmaci, per poi bruciarne il cadavere; sospettata dai carabinieri e sottoposta ad intercettazioni ambientali, la giovane donna venne colta in flagranza dalle forze dell’ordine nel tentativo di strangolare e bruciare viva la madre. Il processo fu diretto, dunque, non tanto alla ricerca di un colpevole – le prove a carico dell’imputata erano, infatti, schiaccianti – quanto all’accertamento circa la capacità di intendere e di volere della donna. Una serie di perizie vennero, così, disposte dal giudice sulla base della considerazione, esplicitata in sentenza, che il comportamento dell’imputata “non è certo apparso sempre concentrato nell’esecuzione di azioni logiche ed adeguatamente finalizzate all’obiettivo avuto di mira”; essendo giunte le
151 COLLICA M.T., Gli sviluppi delle neuroscienze sul giudizio di imputabilità, cit., p. 16.
152 Sentenza Tribunale di Como, GIP Lo Gatto, 20.05.2011, n. 536, p. 27, consultabile online al seguente indirizzo:
https://www.penalecontemporaneo.it/upload/Gip%20Como%20neuroscienze.pdf; (consultata il 30.06.2018).
47 perizie, anche in questo caso, a conclusioni opposte tra loro, il Gip decise di seguire la tesi dei due nuovi consulenti tecnici della difesa, i quali introdussero nel processo le loro conoscenze legate alle neuroscienze cognitive ed alla genetica. Anche qui, la perizia psichiatrica effettuata in precedenza aveva già permesso di riscontare “un quadro psichiatrico caratterizzato dalla menzogna patologica e pseudologia fantastica in persona affetta da disturbo dissociativo di identità”153, ma la consulenza neuroscientifica, che fece uso di strumenti di brain imaging, quali il test IAT, la Voxel-Based-Morphometry154, l’EEG, la fMRI, e di genetica molecolare, si rivelò particolarmente utile: furono riscontrate nel cervello della donna alcune anomalie legate all’alterazione di densità della sostanza grigia in determinate aree. Si tratta delle aree deputate ad inibire i comportamenti automatici ed istintuali e a regolare l’aggressività. Per quanto riguarda la componente genetica, l’imputata risultò portatrice di tre alleli sfavorevoli (tra cui l’allele a bassa attività per MAO-A) legati ad un maggiore rischio di mettere in atto comportamenti aggressivi e violenti155. Nella sentenza viene esplicitato come la consulenza neuroscientifica sia stata, da un lato, “in grado di ridurre la variabilità diagnostica e di offrire risposte meno discrezionali rispetto a quelle ottenibili col solo metodo di indagine tradizionale clinico”156, dall’altro, utile a trarre “spunti ulteriori verso la conferma o la falsificazione di ciò che deve costituire oggetto di prova nel processo penale”157, senza, tuttavia, giungere a conclusioni automatiche sul giudizio di imputabilità. Il giudice ha voluto precisare come il suo convincimento nascesse non solo dalle perizie neuroscientifiche, ma anche da quelle cliniche, dalle risultanze processuali e dalla valutazione circa il comportamento dell’imputata durante e dopo l’arresto, suggerendo, inoltre, agli esperti di presentare non solo il proprio punto di vista, ma anche di fornire i criteri di scelta tra le molteplici tesi scientifiche esistenti, in modo tale da permettere all’organo giudicante di comprendere al meglio la vicenda sottoposta a processo158. Anche in tempi più recenti sono stati utilizzati in tribunale strumenti di indagine neuroscientifica in relazione alla valutazione della capacità di intendere e di volere, sempre successivamente al riconoscimento di disturbi psichici individuati tramite indagini tradizionali.
Così, nel 2014, presso il Tribunale di Milano159, ebbe luogo il processo a carico di un uomo di
153 Sentenza Tribunale di Como, 20.05.2011, n. 536, cit., p. 50.
154 Tecnica basata sull’analisi delle differenze focali nell’anatomia cerebrale e, in particolare, della concentrazione di materia grigia di diversi gruppi di soggetti mediante un approccio statistico noto come mappatura statistica parametrica.
155 MUSUMECI E., Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato, cit., p. 109 ss.
156 Sentenza Tribunale di Como, 20.05.2011, n. 536, cit., p. 39.
157 Sentenza Tribunale di Como, 20.05.2011, n. 536, cit., p. 43.
158 COLLICA M.T., Gli sviluppi delle neuroscienze sul giudizio di imputabilità, cit., p. 20.
159 Tribunale di Milano, Gip, 15.04.2014, n. 1243, inedita.
48 origine ghanese accusato di aver ucciso a colpi di piccone alcuni passanti incontrati casualmente per strada; in seguito alla diagnosi di schizofrenia paranoide, venne fatto ricorso alla tecnologia del brain imaging ed all’analisi genetica per superare le incertezze residue e venne adottato un approccio di carattere multidisciplinare spaziante dall’indagine criminologica e psicologica a quella clinico-nosografica. Allo stesso modo, il tribunale di Piacenza160 si occupò della vicenda relativa ad un uomo che aveva lasciato il proprio bambino di due anni in macchina, per diverse ore, fino al suo decesso; in un momento successivo alle tradizionali indagini cliniche, che permisero di effettuare una diagnosi di amnesia dissociativa, attraverso delle tecniche di indagine neurologica, emersero anomalie nelle prestazioni della memoria: il tutto condusse alla dichiarazione di incapacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto161.