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Capitolo IV L’acquisto, la perdita e la conservazione del possesso

2.2 La perdita del possesso ritenuto animo et corpore proprio 1 La perdita della possessio corpore

2.2.2 La cessazione dell’animus possidend

Ora, vediamo un’altra situazione–la cessazione dell’animus possidendi. L’animus

possidendi è uno dei due elementi costituitivi del possesso. Quindi, teoricamente,

quando si cessa, il possesso è perduto. Però, questa conclusione è molto teorica. In realtà, la manifestazione congrua di non voler possedere è l’abbandonare la cosa, vale

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Ferrini, C., Manuale di Pandette, Milano, 1908, p.380

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a dire perdere anche la possessio corpore. Quindi, di solito, la cessazione dell’animus

possidendi si accompagna la perdita della possessio corpore. Tuttavia, nel caso in cui

il possessore chi detiene la cosa non vuole più possedere, possiamo dire che sia perso il possesso? Nelle fonti possiamo trovare qualche testo che ci dà la risposta positiva.

D.41,2,3,6

Paulus 54 ad ed.

In amittenda quoque possessione affectio eius qui possidet intuenda est: itaque si in fundo sis et tamen nolis eum possidere, protinus amittes possessionem. igitur amitti et animo solo potest, quamvis adquiri non potest.

D.41,2,17,1

Ulpianus 76 ad ed.

Differentia inter dominium et possessionem haec est, quod dominium nihilo minus eius manet, qui dominus esse non vult, possessio autem recedit, ut quisque constituit nolle possidere. si quis igitur ea mente possessionem tradidit, ut postea ei restituatur, desinit possidere.

Per il primo frammento in cui si dichiara che il possesso cessa immediatamente per la cessazione dell’animus possidendi, il Beseler, il Kubler e sostanzialmente anche il Rotondi ritengono che esso sia interpolato dai compilatori ed il testo originario dovrebbe essere: In amittenda quoque possessione et corpus et affectio eius qui

possidet intuenda sunt: itaque si in fundo sis et tamen nolis eum possidere, non protinus amittes possessionem. Così il testo originario diceva semplicemente in

contrario. Il Bonfante non consente quest’opinione. Secondo esso, questo testo ricostruito ha poca autenticità."Prima di tutto, si comincia con attribuire al giureconsulto non il linguaggio dei compilatori, ma addirittura il linguaggio dei commentatori moderni. Corpus, come formula rituale per significare la possessio

corpore o possessio naturalis, cioè l’elemento materiale della possessio, è

l’espressione assolutamente estranea alle fonti romane, dove corpus significa la cosa stessa o il corpo umano. Inoltre, ridotto in forma negativa, non protimus, ecc., il testo

è la più scialba e vuota dichiarazione".137 Quindi, conclude il Bonfante che si può proporre una diversa restituzione, perché non è impossibile interpolare il testo in un senso ragionevole, supponendo che il possessore, sia pur rimanendo sul fondo, abbia inteso con manifestazioni abbastanza concrete di deporre l’animus possidendi. Anche non volendo ammettere il riconoscimento classico di costituto possessorio, certo il possesso è perduto se alcuno accetta di ricevere in conduzione od in comodato la cosa, che finora egli possedeva, e sia pure che altri non acquisti.

Per il secondo frammento che abbiamo citato, il Kniep ed il Beseler credono che non sia originario. Secondo il primo, il testo doveva in origine riferirsi alla trasmissione della proprietà ad tempus, la quale sarebbe affatto inefficace, rimando il diritto in testo al trasferente, mentre la possessio sarebbe perduto. Il Bonfante, invece, ritiene che secondo le regole civili, sia verissimo che la nuda volontà, sia pur accompagnata delle più chiare o congrue manifestazioni, non basta a fare perdere la proprietà ed il diritto in generale, ma è sufficiente a spogliare del possesso, sempre perché questo è una res facti. L’unico dubbio in proposito può essere se veramente alla recessio del possesso basti il constituere nolle possidere, come dice Ulpiano, od il

nolle possidere, come dice più semplicemente Paolo. Non è escluso che Ulpiano

pensasse al concetto proculeiano, per cui la derelictio non fa perdere la proprietà, finché altri non abbiano preso il possesso della cosa, ma ben fa perdere immediatamente il possesso.

A proposito della cessazione dell’animus possidendi, ci sono due questioni particolari da discutere, cioè il possesso si perde o no dalle parti del pazzo e pupillo. Per la prima questione, le fonti ci danno la risposta chiara.

D.41,2,27

Proculus 5 epist.

Si is, qui animo possessionem saltus retineret, furere coepisset, non potest, dum fureret, eius saltus possessionem amittere, quia furiosus non potest desinere animo possidere.

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D.41,3,4,3

Paulus 54 ad ed.

Furiosus quod ante furorem possidere coepit, usucapit. sed haec persona ita demum usucapere potest, si ex ea causa possideat, ex qua usucapio sequitur.

D.41,3,31,3

Paulus 32 ad sab.

Si servus meus vel filius peculiari vel etiam meo nomine quid tenet, ut ego per eum ignorans possideam vel etiam usucapiam: si is furere coeperit, donec in eadem causa res fuerit, intellegendum est et possessionem apud me remanere et usucapionem procedere, sicuti per dormientes quoque eos idem nobis contingeret. idemque in colono et inquilino, per quos possidemus, dicendum est.

D.41,3,44,6

Papinianus 23 quaest.

Eum, qui postea quam usucapere coepit in furorem incidit, utilitate suadente relictum est, ne languor animi damnum etiam in bonis adferat, ex omni causa implere usucapionem.

Da questi frammenti, si vede che le opinioni dei diversi giureconsulti su quest’argomento sono molto chiare e coerenti. Non solo il possessore chi diventa pazzo durante il periodo del possesso non lo perde e può continuare l’usucapione, ma anche quando lo schiavo o colono per cui possediamo ed usucapiamo diventa pazzo, il possesso e l’usucapione non cessano. Il motivo per questa opinione è semplice. Secondo l’Albertario, "il possesso è perduto per il solo animus semprechè il possessore voglia in un momento qualunque abbandonare il possesso, giacché in questo momento la riproduzione del volere primitivo è resa del tutto impossibile della opposta determinazione della volontà, e questa impossibilità è appunto ciò donde bisogna che risulti la perdita del possesso. Perciò, quando anche di poi il possessore precedente si risolva di nuovo a possedere, può di più aver luogo una nuova apprensione in virtù del cotesto cambiamento di volontà, giacché il possesso precedente ha completamente cessato di esistere con quel momento. Siccome, dunque, in questo caso la perdita del possesso fondasi, non sopra un nudo non volere, ma

sopra un nuovo volere opposto al primo, così è chiaro essere incapace di perdere il possesso colui che non può volere".138 Questa spiegazione corrisponde alla natura del possesso (si prospetta la stessa questione nel matrimonio) ed i pensieri dei Romani (quia furiosus non potest desinere animo possidere). Sebbene la pazzia del soggetto impedisce l’acquisto del nuovo possesso, però non impedisce il possesso che è già acquistato.

Per quanto riguarda la seconda questione, cioè il pupillo, la situazione è più complicata. Abbiamo discusso la capacità possessoria del pupillo nel capitolo precedente, e sappiamo che su quest’argomento esistevano le diverse opinioni. Infatti, l’opinione sulla capacità possessoria del pupillo decide l’opinione sulla perdita dell’animus del pupillo. Prima vediamo un frammento importante

D.41,2,29

Ulpianus 30 ad sab.

Possessionem pupillum sine tutoris auctoritate amittere posse constat, non ut animo, sed ut corpore desinat possidere: quod est enim facti, potest amittere. alia causa est, si forte animo possessionem velit amittere: hoc enim non potest.

In questo testo Ulpiano dice che il pupillo senza l’autorizzazione del tutore non può perdere il possesso con l’animo. Perché perdere il possesso con l’animo e con il corpo sono due cose diverse. Sulla genuinità del testo, i giuristi moderni si discutono. Secondo l’Albertario, questo testo è interpolato dai compilatori. Perché nel diritto classico, il possesso è una res facti, il pupillo, cioè l’impubere che ha superato l’età dell’infanzia, lo può acquistare e perdere anche senza l’auctoritas tutoris. Per perdere il possesso, basta che esso sia nell’impossibilità fisica di possedere o non voglia più possedere. L’autoritas tutoris non è necessaria né per una né per l’altra. Questo è un prodotto inevitabile scaturente dall’essenza dalla logica dell’istituto del possesso. Però i compilatori, evidentemente spinti dalle ragioni pratiche e dal principio che il pupillo può, senza l’autoritas tutoris, migliorare, non peggiorare la propria condizione, andarono contro quell’essenza e logica. Quello principio generale i giureconsulti

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applicavano solo ai diritti, non alla res facti, come il possesso. Però i compilatori l’applicavano anche al possesso, apparentemente non considerando più il possesso come una inviolabile res facti, lasciando scorgere che essi consideravano res facti la detenzione. Quindi il contenuto di questo testo è coerente con l’opinione dei compilatori, ma non dei classici. Così, secondo l’Albertario, il contenuto originario dovrebbe essere contrario: possessionem pupillum sine tutoris auctoritate amittere

posse constat, quod est enim facti, potest amittere. Però, secondo il Bonfante, chi

ritiene che nel diritto romano, salvo opinione isolata di Ofilo e Nerva, il pupillo non può acquistare il possesso senza l’auctoritas tutoris, il contenuto di questo testo non ha nulla di strano, perché è ben logico che l’animus possidendi di pupillo deve essere integrato da quello di tutore, sia nel caso dell’acquisto che nel caso della perdita.