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Parte seconda Il possesso nel diritto italiano moderno Permessa

Nella prima parte abbiamo presentato la teoria generale del possesso nel diritto romano—il suo origine, sviluppo storico, la sua natura ed i suoi effetti giuridici, ecc. Da questa presentazione sappiamo che il possesso, come un fatto di natura, è sempre indipendente dal diritto soggettivo, soprattutto la proprietà. Il possesso è una signoria di fatto degli uomini sulle cose, cioè l’uomo domina la cosa. Egli può utilizzarla e disporla seconda la sua volontà, escludendo gli interventi dei terzi. Mentre la proprietà è il diritto più pieno sulla cosa, la quale sottolinea l’appartenenza delle cose alle persone. Quindi, in tale ambito, si può dire che la proprietà ed il possesso costituirebbero due risvolti di una medesima fattispecie giuridica riguardata nel momento della titolarità del diritto ovvero della fattualità del potere esercitato. Questo è il punto di partenza del possesso nel diritto romano. Per ricordare bene, facciamo una breve rievocazione delle affermazioni dei giureconsulti romani su questo punto: "sul finire dell’epoca repubblicana, Aulo Ofilio ebbe occasione di enunciare incidentalmente una proposizione celebre (a noi riferita da Paolo): il fenomeno del possedere è res facti, non iuris. Paolo stesso, in immediata connessione, riporta una soluzione pratica, e dice che la maggioranza dei giuristi la motivavano con l’affermazione per cui la possessio in quanto res facti, non può venire meno solo per il suo contrasto con una norma del ius civile. Conformi formulazioni ritroviamo negli scritti di altri giuristi: Papiniano dichiara che la possessio plurimum facti hebet, ed è causa facti; Cervidio Scevola afferma che la possessio facti est et animi; Trifonino, riprendendo sostanzialmente il pensiero di quella maggioranza dei giuristi che vedemmo citati da Paolo, include la possessio tra le facti causae che non possono venir meno nulla constitutione, e cioè in forza di una qualsiasi regola giuridica; Ulpiano, infine, si riferisce alla possessio con l’espressione quod est facti"184.

Come tanti altri istituti romani, il possesso dura fino ad oggi. Nel diritto moderno, il possesso, come un fatto che produce gli effetti giuridici, esiste ancora ed i suoi

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contenuti non sono differenti tanto da quelli del possesso nel diritto romano. La maggiore ragione di tale fenomeno è che il diritto moderno deriva dal diritto romano, e gli istituti, le dottrine ed i metodi di ricerca giurisprudenziali romani hanno prodotto enormi influenze sui diritti moderni. Infatti, questo è il motivo più importante per cui studiamo il diritto romano anche oggi, non solo per sapere i diritti storici, ma anche per studiare meglio il diritto di oggi. Però, sebbene il diritto romano è una fonte storica molto importante del diritto moderno, esso non è la fonte unica. Infatti, anche le altre fonti, ad es. il diritto germanico e la dottrina canonica, hanno prodotto le influenze profonde sul diritto moderno. Per quanto riguarda il possesso, alcuni aspetti (ad es. il possesso indiretto, l’acquisizione della proprietà dei beni mobili del possessore di buona fede, la tutela possessoria, ecc) sono influiti ovviamente dal diritto germanico e canonico.

Altri contributi alla formazione del moderno istituto del possesso

a)Nel diritto germanico, l’istituto corrispondente al possesso è la Gewere, la

quale è rimasta ancora oggi un istituto di cui sono incerte le origini e la vera struttura giuridica. Si crede generalmente che il termine Gewere ha la relazione con la"investire", perché allora l’atto di vestire la mano con il guanto indicava il sorgere della potestà sulla cosa detenuta nella mano, ma tale concetto si riferiva anche ai beni immobili. Come il possesso romano, anche la Gewere significa un potere di fatto sulle cose, però, come un istituto germanico, essa ha le sue proprie caratteristiche:

Primo, la Gewere è stata variamente raffigurata nella storia del diritto. Una nebulosità concettuale in cui domina la fusione della potestà esteriore sulla cosa col diritto reale su essa, assorbito in certo modo da quella. Certo è che questa forma di signoria dovette subire, nel corso del tempo, non poche trasformazioni.

Secondo, l’opinione prevalente ritiene oggi che la Gewere non fosse un diritto. E infatti nella primitiva terminologia germanica mancava la parola che designasse il diritto di proprietà.

Terzo, probabilmente, a questo possesso germanico non fosse riconosciuta una funzione temporanea e provvisoria, ma costituisce l’apparenza del diritto reale nella sua espressione normale, quasi la sua veste. Quindi la ragione della tutela della

Gewere si annida nella probabilità che esistesse il corrispondente diritto reale e le

conseguenze giuridiche riconosciute alla Gewere sono determinate non dal fatto del possesso ma da una concessione dell’ordine giuridico nella quiescenza del relativo diritto reale. Si ammette che alla Gewere fosse pure connesse una presunzione di esistenza del corrispondente diritto reale: non si trattava dunque di una probabilità che si limitasse a rimanere nello sfondo dell’istituto come una sua ragione giustificatrice, ma di una esplicita conseguenza giuridica riconosciuta alla Gewere. Perciò questa sarebbe stata tutelata sinché il dubbio circa la sussistenza del diritto fosse risolto sfavorevolmente al possessore. La Gewere insomma era in questo senso come esercizio del relativo diritto, finché di questo non fosse stata provata l’inesistenza185.

Abbiamo trattato brevemente l’istituto germanico–la Gewere. Sappiamo che essa significa una signoria di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio di un diritto reale, ed è molto simile al possesso romano. Però non possiamo dimenticare che il diritto germanico ed il diritto romano sono nati nei diversi popoli, in diverse età e con diversi sfondi culturali. Tali elementi determinano che ci sono le differenze ovvie tra la

possessio e la Gewere.

In diritto romano la possessio era tutelata a prescindere del diritto. I Romani arrivano facilmente a questa separazione, che è l’astrazione del possesso, perché sanno cogliere e isolare il fatto del puro godimento di una cosa a prescindere la causa che l’originò. I Germani, invece, non se ne contentano, ma risalano all’origine del godimento, cioè alla sua investitura. Così mentre i Romani, più praticamente, si contentano di una ragione di fatto, i Germani vogliono anche la ragione giuridica di godimento di una cosa.

I Romani danno alla tutela processuale del possesso un carattere proprio distinto da quello del diritto corrispondente. Essi considerano il possesso come un istituto giuridico, come uno stato di fatto per sé creatore di effetti giuridici. I Germani, invece, non capiscono come si potesse proteggere il fatto senza il corrispondente diritto; anche se prescindono dalla effettiva esistenza del diritto, non dissociano mai la tutela

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del godimento della cosa dall’idea del corrispondente diritto. Insomma la Gerwere è come il possesso giuridico. Così si spiega come i Romani tutelano il possesso del ladro, quando è entro certi limiti; i Germani a questo non pervennero mai.

Nel diritto germanico, la Gewere compendiava in sé il più forte interesse del proprietario (nel linguaggio germanico mancava una parola che esprime l’astratto di proprietà), e costituiva il principale interesse del proprietario. La Gewere era la veste del diritto reale, ma una veste che poteva da sé solo bastare. Invece nel diritto romano, sebbene la possessio è tutelata, ma soprattutto come mezzo per arrivare con l’usucapione alla tutela del diritto di proprietà. Il possesso era tutelato per sé, ma non come istituto definitivo. Dal punto di vista latino, non si limita ad essere solo possessore come meta ultima della forma giuridica di godimento della cosa. Tant’è vero che si spera (almeno nella maggiore parte delle situazioni) di diventare il proprietario dopo un certo tempo con l’usucapione.

b)Salvo il diritto germanico, nell’età medievale anche il diritto canonico ha

prodotto grande influenza sul possesso. Esso ampliò notevolmente la difesa del possesso, estendendo l’actio spolii a tutelare, da un lato la detenzione, d’altro il possesso dei diritti, anche personale e perfino di famiglia. Una siffatta rielaborazione del concetto del possesso trova la sua spiegazione nella peculiare situazione di epoca: nella quale—sotto l’impulso della Chiesa e nella deficiente autorità dello Stato—erasi venuta costituendo una quantità di diritti collegati con possesso e con il godimento del fondo, con cui l’individuo, non sufficientemente garantito dallo Stato, cercava di difendersi mettendosi sotto la protezione della Chiesa.

Il concetto del possesso si dilatò anche all’esercizio della potestà vescovile, il quale era collegato il godimento dei beni assegnati al vescovo sotto l’autorità della Chiesa; e così un vescovo, cacciato con la forza del suo vescovato, quindi dal godimento dei beni, subiva nel medesimo tempo uno spoglio del suo ufficio, ma insieme anche del possesso dei beni. Il vassallo che, con cedere i beni suoi al monastero o al signore, entrava in un rapporto di vassallaggio per propria difesa, cacciato con la violenza da questo rapporto, lo era anche dal possesso dei beni.

naturale idea di estendere quanto più possibili i limiti della tutela possessoria contro la violenza. Tale estensione non fa però opera dello Sato, ma della Chiesa, la quale si sostituì ad esso maternamente—nell’interesse del possessore spogliato—colmando la lacuna e creando una tutela possessoria robusta, che grazie ai giuristi della seconda metà del secolo XII, si fuse con quella di origine romana e di origine germanica, e finì per rinnovare e per riempire di sé tutta la materia possessoria.

L’evoluzione fu naturalmente graduale: in un primo momento—sin dal sec. XI—si operò con l’exceptio spolii, concessa a chi era stato ingiustamente spogliato delle cose sue e comunque accusato dall’autore dello spoglio o da altri: egli non poteva essere sottoposto a giudizio se prima non fosse stato integralmente reintegrato nel suo possesso.

In un secondo tempo si passò all’actio spolii, che può dirsi segnare il passaggio da una forma di tutela contro lo spoglio—che non era in realtà un rimedio—ad un vero e proprio istituto di tutela processuale del possesso. Tale transizione era agevolata da un lato dalla fusione del diritto ecclesiastico con il diritto civile; e d’altro lato dalla stessa trasformazione graduale dell’exceptio spolii, la quale si andò inserendo nel possesso, assumendo struttura processuale.

Il risultato di tale rivoluzione (alla quale contribuì anche il diritto germanico) fu che dell'excepstio spolii nella sua forma primitiva rimasero deboli tracce e che lo spogliato ebbe d’ora in poi a sua disposizione un’autentica eccezione processuale se inserita nel caso di un altro processo, e una azione possessoria indipendente se non pendeva altro processo ed egli intendeva agire contro lo spoglio in modo autonomo. Inoltre, nello stesso tempo, il concetto del possesso fu esteso ai diritti di famiglia, ai rapporti personali, ad ogni diritto incorporale ed alla detenzione, come è affermato nei canoni 1694 e 1699, cod.iur.canon.186187

Nelle parti precedenti, abbiamo trattato la teoria possessoria romana e le

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Montel, A., Il possesso, Torino, 1962, p.12

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Can.1694, “non solum possessio, sed etiam simplex detentio praestat, ad normam canonum

qui sequuntur actiones vel exceptionem possessioriam”, Can.1699, “spoliatus adversus spoliantem exlipiens et probans spolium non tenetur respondere, nisi prius fuerit in suam possessionem restitutus”.

influenze del diritto germanico e canonico. Tale istituto si conserva fino ad oggi. Sebbene il possesso moderno non è esattamente come quelli storici, il nucleo di esso è rimasto lo stesso. Cioè il possesso è l’espressione di un avere del soggetto, che rileva di per sé, indipendentemente dalla pertinenza oppure no del bene"avuto"al soggetto stesso. Questo bene si trova comunque di fatto nella disponibilità di un soggetto, nel senso che colui ne gode e lo utilizza per i suoi fini. E nello stesso tempo, questa situazione viene considerata dalla legge come il presupposto di una serie di conseguenze a favore del soggetto che in essa si trova, senza riguardo al fatto che egli abbia oppure no il titolo di trovarsi. Nell’intero istituto giuridico, questa situazione sembra anomala, sia perché secondo essa il non ius (senza titolo) può vincere sullo ius (con titolo), che perché quel non ius può essere trattato, nel corso del tempo, in termini di ius.188 Questa particolarità esiste sia nel diritto antico che nel diritto moderno. Le ragioni, per cui si giustifica tale situazione speciale non sono espresse dalla legge, ma dalle dottrine.

La prima teoria è basata sull’opinione che la tutela del possesso dimostra la tutela della proprietà, la libertà e la volontà del proprietario. Quest’opinione è influenzata ovviamente dal pensiero hegeliano, secondo cui il possesso rappresenta il primo gradino della libertà, in quanto ponte di passaggio verso la proprietà: in questa, infatti, il volere del soggetto diventa oggettivo e davvero reale, affermando se stesso sul mondo esteriore e determinando così la sfera della propria libertà. Il Savigny è il sostenitore maggiore di questa teoria, secondo esso"il fondamento della protezione del possesso si trova nel rapporto esistente tra il fatto stesso del possesso e la persona di possessore. La inviolabilità di questa protegge il possesso contro ogni turbativa, che colpirebbe, in pari tempo, la persona. È la persona come tale, che deve essere protetta contro ogni violenza, imperciocchè la violenza verso essa è sempre contraria al diritto". Aderiscono anche il Gans e Windscheid, secondo il primo"avere una cosa per la sola volontà individuale è possederla; averla, con l’assenso di tutti, è esserne proprietario: la volontà individuale è protetta anche quando non è conforme al diritto,

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perchè costituisce, da sola, un elemento sostanziale, che merita protezione"; mentre il secondo ritiene che "siccome nello Stato ogni volontà vale quanto un’altra, così qualunque volontà, che si manifesta di fatto con possedere, ha, come tale, un valore eguale a quella di un’altra individuale volontà che intendesse trarre a sé la cosa; anche, se un’altra volontà individuale intenda operarle contro, debba far ricorso ai ministri dello Stato".

La seconda teoria si basa sul fatto che il possesso sia una presunzione della proprietà. Il possessore è presunto come proprietario, o più genericamente, titolare del diritto che egli esercita concretamente."Se il possesso non è sempre, né necessariamente esercizio del diritto dalla parte del titolare, esso può anche essere tale, in quanto, di regola, il diritto soggettivo è esercitato soltanto da chi ne è titolare. Ora poiché non sarebbe possibile discernere prima facie se chi esercita un diritto ne sia, o non sia, il titolare e poiché, nel dubbio, sarebbe socialmente dannoso e improvvido lasciare senza difesa chi esercita un diritto, solo perchè questo esercizio può provenire dal non titolare, l’ordinamento giuridico riconosce e protegge il possesso come tale: anche, quindi, nell’ipotesi che il possesso ponga in essere l’esercizio di un diritto, da parte di chi titolare di siffatto diritto, e che, a questo modo, sia tutelato, anzichè un diritto soggettivo, il fatto compiuto"189 .

La terza teoria ritiene che il possesso sia un diritto relativo al quale è concessa una protezione pari relativa valida soltanto contro gli attachi arbitrari o fondati sui diritti meno forti190 . Come ha detto il Bruns"la tutela del possesso è conseguenza della considerazione, che l’uomo con la sua libertà domina le cose, e la volontà di dominare può creare un diritto relativo (possesso), od uno assoluto (proprietà). Il possesso è un fatto che dà al possessore una prelazione".

La quarta e ultima teoria importante è che la tutela del possesso è decisa dall’esigenza di ordine pubblico relativa al mantenimento della pace sociale. È necessario che la pacifica convivenza non sia commuque turbata, che cives non

189

Id., p.8

190

Capone, G., “Saggio di ricerche sulle vicende della proprietà e sulla origine storica del possesso in Roma”, in Bull.L, p.13

veniant ad arma, e che nessun si faccia la giustizia da sé. Il che comporta, ovviamente,

che la posizione del possessore debba esere conservata, e perciò adeguatamente tutelata sino a quando non sarà dimostrato, in apposito giudizio, che a lui non spetta il diritto apparentemente esercitato. Questo è importante e basilare per una società stabile e pacifica. Se il possessore non può essere tutelato se non dimostra la prova del suo diritto, la sua posizione non può essere stabile e tutti possono agire contro di lui. In tale caso, la società soffre.

Tale teoria ha acquistato la posizione prevalente. Si ritiene che sia più fondata e ragionevole rispetto alle altre teorie. In essa, si vede che sebbene la natura e la posizione del possesso nell’istituto sembrano particolari, in realtà le ragioni non sono difficili da trovare. Sicuramente la ragione per cui il possesso sia tutelato dal diritto positivo non è unica, però l’esigenza dell’ordine pubblico è indubbiamente una di quelle più importanti e fondamentali."Se il possessore lotta contro il proprietario è certo, che deve soccombere, perchè il proprietario ha, esclusivamente, il ius

possidendi; ma se lotta contro un terzo, che non posside e non è proprietario, egli deve,

al contrario, trionfare, perchè il fatto del possesso è eminentemente rispettabile, e l’ordine pubblico esige, che i magistrati prendono la sua difesa"191.

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