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Capitolo IV L’acquisto, la perdita e la conservazione del possesso

3.1 La conservazione del possesso per mezzo dei terz

Nel diritto romano, anche nell’epoca antica, è ammessa la possibilità di possedere tramite i terzi i quali tengono la cosa alieno nomine. In base a questa costruzione la disponibilità materiale e la consapevolezza fanno capo al terzo in

possessione, mentre gli effetti della situazione possessoria ricadono sul possessore

mediato.140 In realtà, le situazioni della conservazione del possesso per mezzo dei terzi sono molto varie. Ma considerando gli istituti economici e la struttura famigliare nella società romana, includono sopratutto il possesso tenuto tramite i potestati

subiecti, cioè lo schiavo e filiusfamilias. Il servo nel diritto romano è considerato

come la persona senza capacità giuridica, come organo dell’avente potestà, quindi qualunque cosa che esso detiene od è posseduta dal padrone (peculio) o non è posseduta dal padrone (la cosa acquistata extra peculio nell’ignoranza del padrone). Per questo motivo, nel nostro caso, la sua intenzione non ha nessun rilevanza. Anche se il servo vuole tenere la cosa per sé o persino caccia via il padrone da un bene immobile, però finché la cosa resta nella disponibilità di esso, le conseguenze del potere di fatto da lui esercitato sul bene continuano a fare capo al padrone, perché i soggetti a potestà conservano ovunque il possesso al loro avente potestà. Tale conclusione è molto naturale considerando la posizione giuridica del servo ed è testimoniata da tanti testi nelle fonti:

140

Lambrini, P., L’elemento soggettivo nelle situazioni possessorie del diritto romano classico, Padova, 1998, p.77

D.41,2,15

Gaius 26 ad ed. provinc.

Rem, quae nobis subrepta est, perinde intellegimur desinere possidere atque eam, quae vi nobis erepta est. sed si is, qui in potestate nostra est, subripuerit, quamdiu apud ipsum sit res, tamdiu non amittimus possessionem, quia per huiusmodi personas adquiritur nobis possessio. et haec ratio est, quare videamur fugitivum possidere, quod is, quemadmodum aliarum rerum possessionem intervertere non potest, ita ne suam quidem potest.

D.41,2,40pr.

Africanus 7 quaest.

Si de eo fundo, quem, cum possiderem, pignori tibi dedi, servus tuus te deiciat, adhuc te possidere ait, quoniam nihilo minus per ipsum servum possessionem retineas.

D.47,2,57,3

Iulianus 22 D.

Cum autem servus rem suam peculiarem furandi consilio amovet, quamdiu eam retinet, condicio eius non mutatur ( nihil enim domino abest): sed si alii tradiderit, furtum faciet.

Similmente, siccome non ha la capacità giuridica neanche il filiusfamilias, quindi teoricamente anche le cose tenute da esso si possedono dal paterfamilias. Però, diverso dal servo, nel diritto romano, si riconosce via via l’autonomia economica del

filiusfamilias, ad es., già nell’epoca classica il filiusfamilias può possedere peculium castrense, nell’età posteriore la sfera del peculium che il filiusfamilias può possedere

si amplifica sempre. Quindi per il filiusfamilias, solo le cose extra peculium tenute da esso sono possedute dal paterfamilias. Fin’ora abbiamo analizzato le prime situazioni, cioè la conservazione del possesso tramite i soggetti a potestà. Però, questi casi non sono tipici. Perché nel diritto romano, queste persone sono considerate come gli organi del paterfamilias, non hanno la posizione giuridica indipendente. Quindi non c’è tanta differenza tra che il paterfamilias possiede da solo e possiede tramite loro. Anche le opinioni dei giureconsulti su questo punto sono molto coerenti.

Il caso più tipico e più importante in questo tema è la conservazione del possesso tramite il rappresentante. La rappresentanza diretta appariva nel diritto romano in un periodo molto tardo. In origine essa fu esclusa nel modo più assoluto nel sistema del diritto quiritario, che rispecchia le condizioni primitive del piccolo popolo di agricoltori. E tale regola è tramandata in formule precise e categoriche: per extraneam

personam non adquiritur.

Le ragioni per l’esclusione sono varie. Prima, nel tempo primitivo, non si è sviluppata la forza di astrazione necessaria per riconoscere la rappresentanza, in cui tutte le manifestazioni del diritto hanno rilievo, in quanto siano percepite dai sensi nelle cause e negli effetti. Quindi in quel tempo non è immaginabile che uno acquista un diritto o fatto, ma deve passare gli effetti giuridici ad un’altro. Secondo, nell’economia limitata di una popolazione agricola e nell’organizzazione famigliare nella società romana primitiva, i servi e i figli che sono considerati come organi del

paterfamilias potevano sufficientemente adempiere quella funzione che in

un’economia più progredita ed in un diritto più sviluppato si richiede dalla rappresentanza diretta.

Con lo sviluppo dell’economia e giurisprudenza, la rappresentanza iniziava ad essere applicata nell’età classica. La ragione maggiore è il cambiamento profondo nella struttura economica della società romana. In quello periodo, mentre diminuiva il ceto degli agricoltori e diminuivano le forme dell’economia patriarcale, si veniva con il ritmo accelerato una nuova economia capitalistica, a base industriale e commerciale con un grande sviluppo di diritto bancario.141 In queste condizioni, l’introduzione della rappresentanza è inevitabile. Però, il principio negativo antico non è abolito, al meno nel campo del ius civile. Quindi, nel diritto classico esistono due sistemi contraddittori nel campo della rappresentanza: da una parte l’esclusione assoluta secondo il ius civile, e dall’altra parte provvedimenti vari, escogitati dal pretore, dalla giurisprudenza e dall’Imperatore. I mezzi per cui si riconoscono gli effetti giuridici della rappresentanza sono vari, per esempio, il pretore può creare le nuove azioni

141

(actio exercitoria) o estender le azioni esistenti in via utile.

Nel diritto giustinianeo, questa regola antica ancora esiste teoricamente. Ma il riferimento della regola non può significare l’esclusione della rappresentanza né in modo assoluto, né in modo relativo. La regola è solo una sopravvivenza storica nella codificazione del secolo VI. La persista di essa è dovuta alla forma dell’opera legislativa, la quale compiuta con materiali antichi, per quanto rimodernati, assunse largamente elementi tralasciatici del diritto arcaico. Nella sostanza, la codificazione riconosce la rappresentanza in tutte le forme come nel diritto moderno, dacché tutti i mezzi indiretti e le applicazioni singole del diritto classico, organizzati ormai e fusi col ius civile, rovesciarono l’antico principio negativo. Pertanto, se nella complicazione di Giustiniano appare ancora in contrasto fra i due sistemi, esso si manifesta in maniera più aspra ed intollerabile, perché nel diritto classico la differenza era visibile e riconoscibile dagli elementi tecnici (formulae, iurisdictio), nel diritto nuovo quei segni non sempre furono mantenuti, anzi spesso furono eliminati.142

Abbiamo discusso nei titoli precedenti l’acquisto e la perdita del possesso tramite i terzi. Naturalmente, se si può acquistare e perdere il possesso per mezzo del rappresentante, si può anche conservare per esso. Questo si riconosce nelle fonti.

D.41,2,9

Gaius 25 ad ed. provinc.

Generaliter quisquis omnino nostro nomine sit in possessione, veluti procurator hospes amicus, nos possidere videmur.

D.43,19,1,7 Ulpianus 70 ad ed.

Is, cuius colonus aut hospes aut quis alius iter ad fundum fecit, usus videtur itinere vel actu vel via, et idcirco interdictum habebit: et haec ita pedius scribit et adicit etiamsi ignoravit, cuius fundus esset, per quem iret, retinere eum servitutem.

D.43,19,1,8

142

Ulpianus 70 ad ed.

Si quis autem, cum putaret fundum ad se pertinere, suo nomine iter fecerit amicus meus, utique sibi, non mihi interdictum adquisisse intellegitur.

Nella conservazione del possesso per mezzo del rappresentante, è il criterio sociale che si fa valere. Le ragioni e gli usi dell’economia e della vita sociale fanno sì che il proprietario non sia sempre presente nel fondo, ma lo detenga per mezzo di altri in economia propria od altrui, mediante corrispettivo, od anche ne gratifichi ad altri il godimento ed i frutti, senza rinunciare al rapporto di dominazione. Pertanto il detentore in nome altrui può essere così un locatore di opera in funzione di guardiano (custos) o di operaio (mercennarius), od un depositario, come un conduttore di fondi rustici (colonus) o di fondi urbani (inquilinus). 143

Nel caso della conservazione del possesso per mezzo del rappresentante, le condizioni della conservazione del possesso incentrano al rappresentante, e conviene guardare esclusivamente ad esso per stabilire la perdita. Per esempio, se il depositario inizia a possedere la cosa per sé o abbandona la cosa, il possessore perde il suo possesso, anche se non lo sappia. Una eccezione è nella conservazione del fondo, in cui i romani intendono che quando i terzi entrano nel fondo o il rappresentante lo priva, il possessore non perde il suo possesso finché non sappia questo fatto, e facendo le prove di rientrare, sia respinto o rinunci per tema di ogni tentativo di rientrare. Quando muore il rappresentante, come abbiamo detto nel titolo precedente, il possesso continua. Questo è, infatti, un’altra eccezione.