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Capitolo III Il soggetto e l’oggetto del possesso

2.1 Le richieste generali per l’oggetto del possesso

Come non tutte le persone possono possedere, non tutte le cose sono qualificate di essere possedute. Affinché possa concepirsi un vero possesso, non basta che alcuno ritenga una cosa con l’animo di possederla, è necessario che la cosa sia oggetto

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capace di essere posseduto.103 Infatti nel diritto romano, l’oggetto del possesso deve aver tutti quegli stessi requisiti che le permettono di essere oggetto della proprietà.

Prima di tutto, l’oggetto del possesso deve essere la cosa corporale. Il possesso delle cose incorporali è inimmaginabile per i Romani classici. Questo punto è chiaro e definito nelle fonti. È molto facile trovare i frammenti in cui si esprime questa richiesta: Paolo nella D.41, 2, 3pr dice possideri autem possunt, quae sunt corporalia; nella D.41, 3, 4, 27 lo stesso Paolo dice nec possideri intelligitur ius incorporale. E nella L.32§1.de serv. praed urb. esprime Giuliano che natura servitutum ea est, ut

possideri non possint. Questa è la prima richiesta per l’oggetto del possesso e anche il

punto in cui il diritto postclassico diverge da quello classico.

Salvo essere la cosa corporale, l’oggetto del possesso neanche non deve essere la cosa extra commercium. Nel diritto romano ci sono alcuni generi delle cose, i quali, a causa dei loro speciali scopi economici o religiosi, non possono essere gli oggetti della proprietà e del possesso. Queste cose includono:

a, res divini iuris, le cose tolte al commercio perché destinate ad uno scopo divino, e cioè, le cose consacrate al culto (res sacrae); i sepolcri e gli oggetti consepolti (res religiosae) e le mura e le porte della città (res sanctae).

b, res humani iuris, vale a dire le cose non possono essere l’oggetto di appropriazione individuale o di gestione economica, come l’aria, l’acqua corrente, il mare, il lido del mare (res communes omnium), ovvero le cose che, pur essendo suscettibili di gestione economica, l’ordinamento vuol conservare in usu populi, come le strade pubbliche, le rive dei fiumi, i porti etc. (res publicae), nonché le cose destinate ad essere usate da tutti gli abitanti di una comunità, come le strade della

civitas, gli edifici pubblici, i circhi etc. (res unversitatis).104

Secondo l’opinione prevalente, se, pertanto, mentre possediamo, l’oggetto diviene res extra commercium, ne perdiamo il possesso. Di conseguenza, se una persona esercita la possessio corpore su di un oggetto extra commercium, tale rapporto costituisce una mera detenzione; onde non viene in alcun modo protetto

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Alibrandi, I., Teoria del possesso secondo il diritto romano, Roma, 1871, p.97

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dall’ordinamento giuridico.105 Però il Savigny fa di parere che come una persona può possedere di buona fede un uomo libero come uno schiavo, essa può anche possedere le cose sacre o religiose quando crede che siano profane.

La terza richiesta per l’oggetto del possesso è che esso deve essere in maniera autonoma, cioè avente individualità propria. Questo significa che le parti che costituiscono la cosa composta non sono possedute dal possessore dell’ultima, perché esse non esistono in maniera autonoma. Ad esempio, il possessore di un edificio non possiede singolarmente i diversi elementi di cui esso è costituito, ma soltanto l’edificio. Tale distinzione ha grande rilevanza giuridica, soprattutto in ordine all’usucapione. Perciò, se una persona costituisce una casa con i materiali che in buona fede ritiene suoi, mentre invece appartengono ad altri, egli non potrà mai usucapirli, ancorché possieda edificio per lunghissimo tempo, in quanto il possesso non fu esercitato su di essi; il vero proprietario, quindi, può sempre reclamarli quando siano distaccati dell’edificio. L’usucapione è però possibile quando la casa venga demolita ed il proprietario ne conservi i materiali riesumati.106

Questo è il principio e corrisponde alle opinioni espresse nelle fonti (D.43, 24, 8; D.41, 3, 23, 2). Però nelle fonti c’è anche frammento importante che è apparentemente in conflitto con questo principio.

D.41,3,30,1

Pomponius 30 ad sab.

Labeo libris epistularum ait, si is, cui ad tegularum vel columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedificium eas coniecisset, nihilo minus eum usucapturum, si aedificium possedisset. quid ergo in his, quae non quidem implicantur rebus soli, sed mobilia permanent, ut in anulo gemma? in quo verum est et aurum et gemmam possideri et usucapi, cum utrumque maneat integrum.

Nella prima parte di questo frammento, Papiniano ha citato il parere di Labeone che nel caso che mancassero dieci giorni al complimenti delle usucapioni di tegole o

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Id., p.89

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colonne congiunte all’edificio, è ammissibile che continuare il possesso di loro dopo la congiunzione.

Questo parere non corrisponde al principio generale ed i giuristi moderni dibattono tanto sul suo significato quanto sulla sua genuinità. Il Savigny ritiene che le tegole e le colonne, invece di essere nel nostro caso materiali di costituzione solidamente incorporati nell’edificio, fossero materiali aggiuntivi esternamente, debolmente, per ornamento. Lo Schirmer afferma che coniecere in aedificium non vuol dire incorporare nell’edificio, ma unire esteriormente anzi transitoriamente. Il Ruggieri ritiene che fossero possibili possesso ed usucapione delle parti di un edificio, purché non fossero le parti essenziali. Il Palpaloni, invece, crede che in questo testo l’usucapione continua solo per eccezione, utilitatis causa. Il Perozzi, che ha fatto con squisita finezza la critica di tutte le precedenti dottrine, è d’avviso che qui non ci sia possesso ad usucapione dei materiali, come tali, ma che se ne acquisti la proprietà mercé l’usucapione dell’edificio. Mentre il Ferrini ha indicato che l’opinione del Perozzi non è conciliabile né con la dicitura del testo, né con i principi generali.107

L’opinione del Riccobono è più particolare. Esso ritiene che Labeone permetteva l’usucapione degli oggetti di funzione puramente ornamentale (tegola e colonna) anche dopo la congiunzione. Però questa fu l’opinione dei giureconsulti proculeiani, la quale non riuscì a prevalere. In ordine a questo punto, ci fu contrasto tra i sabiniani e proculeiani, i quali ultimi tendevano a distinguere le cose che per effetto della congiunzione"integra non manent"da quelle che conservano le loro integrità. Per le ultime, il possesso e l’usucapione possono continuare. E la soluzione dei sabiniani corrisponde alla teoria tradizionale, cioè le cose congiunte ad altro cessano di essere oggetti autonomi del possesso.

L’Albertario e la Bozza non sono d’accordo con nessun parere precedente. Secondo essi, questo testo ha subito l’interpolazione dei compilatori. Perché la soluzione data è perfettamente conforme allo spirito giustinianeo, che guarda più ad evitare le conseguenze inique derivanti dalla rigida applicazione della norma che alla

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logica giuridica. L’opinione espressa in questo testo è del tutto contraria a quella dei classici. La soluzione originaria del giureconsulto sarebbe stata puramente logica e negativa. Ritengono che il testo originario sarebbe:

Labeo libris epistularum ait, si is, cui ad tegularum vel columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedificium eas coniecisset, eum non usucapturum.Quid ergo in his, quae non quidem implicantur rebus soli, sed mobilia permanent, ut in anulo gemme? Verum est gemma non usucapi.

Un’altra richiesta per l’oggetto del possesso è che esso non deve rerum

universitas (o, secondo la terminologia delle fonti, corpora ex distantibus). Queste

cose sono costituite da un insieme degli oggetti che, pur essendo materialmente disgiunti tra loro, si sogliano tuttavia considerare come un oggetto unitario, in quanto essi sono della stessa specie e hanno una medesima destinazione. L’esempio tipico ed il gregge, e poi una biblioteca, una pinacoteca, e così via.108 Nel D.41, 3, 30, 2, Papiniano ha affermato che il gregge, inteso come rerum universitas, non può essere oggetto né di possesso né di usucapione; l’uno e l’altro, invece, sono possibili rispetto ai singoli elementi di cui esso consta. Nonostante alcuni giuristi hanno posto i dubbi su questo frammento, la maggiore parte dei giuristi moderni (Bonfante, Riccobono, Bozza, etc.) credono che esso abbia rappresentato l’opinione prevalente della giurisprudenza classica.

Inoltre, l’oggetto del possesso deve essere certo. Questa regola riguarda specialmente il possesso di una parte della cosa. Se io do a Tizio il possesso della parte che io ho di un fondo, senza dirlo che questa è la metà, un terzo, etc. Tizio non può acquistare il possesso: nam (dice Pomponio ne D.41, 2, 26) qui ignorat, nec

tradere nec accipere id, quod incertum est, potest. Nel D.41, 3, 32, 2, sotto lo stesso

nome del Pomponio si legge: incertam parte possidere nemo potest. Però la necessità che una parte per essere posseduta deve essere certa, non porta per conseguenza che debba essere stata fatta la materiale divisione, e ciascuno separatamente possegga la

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sua parte. Si può possedere una parte pro diviso, e si può possedere pro indiviso innanzi che si faccia la partizione.109

Nel diritto romano, gli schiavi sono considerati come res in commercio, quindi sono gli oggetti del possesso. Invece, gli uomini chi godono status libertatis non possono essere oggetti del possesso. Però, in alcuni casi, per eccezione, anche le persone libere possono essere possedute. La ragione è che in realtà è difficile stabilire il vero stato di un uomo in ogni caso. Quindi, per utilitatis causa, quando una persona crede che un uomo libero sia schiavo per errore e lo possiede, questo possesso sta in piedi. Così, in diritto romano, l’uomo libero può essere posseduto in buona fede. Nelle fonti non è difficile trovare i testi in cui si conferma questo regola: D.41, 1, 23pr; D.18, 1, 4; D.18, 1, 5; D.18, 1, 6.