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Capitolo V La tutela interdittale del possesso

2.2 I vari interdett

2.2.1 interdictum uti possidetis

L’interdetto uti possidetis è uno degli interdetti possessori più antichi nel diritto

romano, secondo il quale il possessore del fondo nec vi nec clam nec precario ab

altero chi ha subito o temuto di subire la molestia dell’altro può chiedere il pretore ad

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Albertario, E., Il possesso romano, Padova, 1932, p.44

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eliminare tale molestia e condannare l’altra parte a compensare i danni che ha subito durante il periodo della molestia e il processo. Il contenuto di tale interdetto si trova in diverse fonti. Nel Digesto si trova nel D.43.17.1pr:

D.43,17,1pr.

Ulpianus 69 ad ed.

Ait praetor: " uti eas aedes, quibus de agitur, nec vi nec clam nec precario alter ab altero possidetis, quo minus ita possideatis, vim fieri veto. de cloacis hoc interdictum non dabo. neque pluris, quam quanti res erit: intra annum, quo primum experiundi potestas fuerit, agere permittam".

La formula ricordata dagli imperatori Diocleziano e Massimiano è:

L.I C. Uti poss.8, 6 Uti possidetis fundum de quo agitur, cum alter ab altero nec

vi nec clam nec precario possidetis, rector provinciae vim prohibebit.

La relazione più antica, forse pregiulianea, ci è conservato in Festo alla voce

possessio, ed. Teobner p.260:

Uti nunc possidetis, eum fundum quo de agitur, quod nec vi nec clam nec precario alter ab altero possidetis, ita possideatis, adversus ea vim fieri veto.

La parte essenziale di Gaio (2, 160) è la più succinta, omettendo l’eccezione di possesso viziose: Uti nunc possidetis, quo munus ita possideatis, vim fiero veto.

Comparando queste diverse redazioni dell’interdetto uti possidetis, ci ne siamo accorti che il nunc di Gaio e di Festo è stato eliminato dai compilatori. Esso si ritrova nelle Pandette stesse alla D.43, 17, 3, 6, quando si riferisce le parole iniziale dell’interdetto. La ragione di tale fenomeno è senza dubbio l’assimilazione intervenuta dell’interdetto utrubi con i’interdetto uti possidetis, che rendeva inutile il rilievo di questo momento che ormai non era più un momento specifico dell’interdetto

uti possidetis. Inoltre, la formula Ulpiana o giustinianea pone aedes invece di fundus,

malgrado il fundus è in tutti gli interdetti lo speccimen costante nel diritto delle pandette stesse, e anche in ordine all’interdetto uti possidetis, tanto nelle Istituzioni di Gaio e di Giustiniano, quanto nel Codice. L’aver assunto nello specimen le aedes invece del fundus può dunque sorprendere, ma non ha tanta importanza. Piuttosto la cosa può indurre a pensare che la formula dell’interdetto contenesse menzione anche

locus, cioè della partio fundi, dell’appezzamento di terreno che non ha l’autonomia di

un fondo, e che vi fossero tre formule corrispondenti per il fundus, per le aedes e per il locus.158 Una testimonianza chiara di tale deduzione è un frammento di Ulpiano nel Digesto, cioè il D.50.16.60.

Essenziale nell’interdetto è il divieto della turbativa. Nell’interdetto si usa la parole vis, però qui vis ha un significato molto ampio, includendo qualunque atto che contro il divieto interdittale non rispetti lo stato attuale del possesso. Insomma, i requisiti generali dell’interdetto sono:

a) un pericolo oggettivamente riconoscibile di turbativa; b)la relazione di tale turbativa con il possesso come tale; c) turbativa temuta per avvenire, non compiutasi nel passato.

Da tali requisiti si vede che non occorre che il possesso sia già stato turbato: se lo fa, cioè avrà importanza solo in quanto comprova il pericolo che lo possa essere nuovamente in futuro, e questa è la ragione per cui di regola non si ricorre all’interdetto, se non in base a turbative già verificate, ma che le turbative siano procedute, non è in tesi assoluta necessario e tanto meno è necessario che in quelle avvenute si riscontri dolo o colpa o intenzione di turbare il possesso. Il pericolo di tali turbative vi ha certo, quando l’altra parte afferma di aver essa il possesso, di potere o volere fare certi atti che sarebbero in pregiudizio dell’attuale possesso, ecc. Inoltre, la turbativa deve essere rivolta contro il possesso, non contro la persona, come tale, del possessore, ecc.159

Per quanto riguarda la natura e lo scopo di tale interdetto, il Savigny ritiene che essa è un’azione ex maleficio, presupponendo come condizione dell’interdetto un delitto. Però, secondo il Bonfante, questa opinione non è esatta, perché non si confà né con l’interdetto il quale ci è presentato nelle Pandette, né con la procedura antica la quale è stata meglio rivelata dall’ultima lettura di Gaio. Per dare il fondamento dell’interdetto non si richiede una lesione compiuta, contro la quale provvedono per avventura dell’azioni di carattere personale. Basta una lesione futura, una turbativa

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Bonfante, P., Corso di diritto romano, vol. III, Milano, 1972, p.430

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che si abbia ragione di temere. Lo scopo essenziale dell’interdetto è mantenere lo stato del possesso come è attualmente costituito, impedire la turbativa futura, impetrandone anzi dal pretore il divieto, il vim fieri veto.160

Tale carattere è infatti normale nell’istituto interdittale nel diritto romano. Nella

cautio damni infecti o nella operis novi nautiatio o nell’interdictum quod vi aut clam,

la lesione può essere anche semplicemente temuta, l’agire del vicino soltanto deve dare veramente motivo di temerla. Quindi, la lesione reale non è un presupposto necessario per l’interdetto, basta una lesione ragionevolmente temuta.

Per dimostrare la funzione dell’interdetto, prima di tutto ci giova richiamare l’analogia con le azioni dei prepriotarii: infatti gli interdetti retinendae corrisponde all’azione negatoria o proibitoria; invece l’interdetto recurerandae corrisponde alla rei

vindicatio. La maggiore differenza è che l’azione negatoria è un rimedio petitorio e

definitivo, l’interdetto un rimedio provvisorio, in quanto è aperta sempre la questione del diritto.161 Un’altra differenza è che sebbene nella tutela della proprietà la parte essenziale è la rei vindicatio, il fulcro della tutela possessoria è l’interdetto uti

possidetis, non l’interdetto undi vi, il quale corrisponde a rei vindicatio. La ragione

non è complicata. Uti possidetis, pur essendo un rimedio provvisorio, ha una sfera più larga dell’interdetto unde vi; perché il recupero del possesso è garantito solo quanto vi è stato spoglio violento, mentre contro la turbativa la tutela è incondizionata, vale a dire, se occorre che non si abbia un possesso vizioso di fronte all’avversario, non occorre però che la turbativa abbia un carattere delittuoso. Il motivo di tale differenza è che l’essenza della tutela possessoria è di mantenere lo stato fatto, come in genere la tutela interdittale ha per lo scopo il mantenimento dello stato quo, mentre la garanzia del recupero è già una concessione ispirata in parte da altri motivi.162

Ora passiamo alla procedura dell’interdetti uti possidetis. Anche se ci sono

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Bonfante, P., Corso di diritto romano, vol. III, Milano, 1972, p.431

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Anche il Riccobono ha detto così nella sua opera, “nell’interdetto, il pretore, infatti, non interviene, come nel processo ordinario, quale organo della giurisdizione, limitandosi a curare la preparazione del giudizio, sebbene in forza del suo imperium e con funzione della polizia, emettendo dietro ricorso della parte lesa, un interdetto vale a dire un comando ipotetico,

subordinato della verità dei fatti allegati”; cfr. Riccobono, S., Corso di diritto romano: il possesso, Roma, 1935, p.275

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ancora tante lacune dei dettagli, però, soprattutto grazie alle Istituzioni di Gaio, ci riusciamo a sapere le cose generali. Nel diritto romano, secondo che ciascuna parte funga unicamente o da attore o da convenuto, ovvero sia attore e convenuto al tempo stesso, gli interdetti si dividono in due tipi: semplici e duplici. Uti possidetis appartiene agli interdetti duplici, perché in esso nessuno dei litiganti appare o come attore o come convenuto soltanto, ma assume e l’una e l’altra posizione processuale. In tale interdetto il pretore rivolge ad ambedue le parti le stesse parole:

Gai id.156, 157 Tertia divisio interdictorum in hoc est, quod aut simplicia sunt

aut duplicia. Simplicia sunt veluti in quibus, alter reus est, qualia sunt omnia restitutoria aut exhibitoria;

Namque actor est, qui desiderat aut exhibieri aut restitui, reus is est a quo desideratur, ut exhibeat aut restituat.

Gai id.160 Duplicia sunt veluti uti possidetis interdictum et utrubi. Ideo autem

duplicia vocantur, quod par utriusque ligatoris in his condicio est, nec quisquam praecipue reus vel actor intellegitur, sed unusquisque tam rei quam actori pars sustinet; quippe praetor pari sermone cum utroque loquitur.

In tale interdetto, quando interviene una turbativa, un atto di violenza, cioè quando il divieto emesso dal pretore è stato violato, il possessore può rivolgersi al pretore. Si discute molto in dottrina che nel tempo presto per iniziare la procedura l’atto di violenza debba essere necessariamente reale o basta essere ragionevolmente temuto. Però fuori di dubbio è che in epoca tarda sia lecito ricorrere ad una “vis ex

conventu”, quando si voglia provocare il giudizio.163 Quando la procedura è iniziata, il pretore deve regolare il processo interinale. Questo processo è attribuito alla parte chi offre per la restituzione eventuale dei frutti al vincitore la maggiore somma, quindi tale parte della procedura si chiamava fructus licitatio. Il vincitore nella fructus

licitatio si obbliga mediante una nuova stipulazione, la stipulatio fructuaria, a pagare

la somma offerta, qualora fosse giudicato contro di lui. Poi il pretore faceva le due parti sfidarsi reciprocamente mediante una sponsio, per cui tutte e due parti si

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obbligano di rimando a pagare una somma, quando fosse giudicato che l’uno o l’altra avesse contravvenuto all’ordine del pretore e turbato il vero possesso. Siccome il giudizio era duplice e le parti assumevano la posizione di attore e di convenuto nello stesso tempo, Gaio dice che ci vogliono una sponsione e una restipulazione. Però, secondo il Bonfante, ci sono due sponsioni e due restipulazioni.

Ora, è finita così la fase del processo in iure. Poi, il giudice, avanti cui si andrà, dovrà decidere sulle sponsioni e restipulazioni. A tal’uopo esso dovrà esaminare precisamente chi dei due, al momento dell’emissione dell’interdetto, possedeva nec vi

nec clam nec precario di fronte all’avversario, e condannare il perdente nella somma

della sua sponsio o restipulatio. Se il vincitore già si trova nel possesso (perché vinse la fructus licitatio), la lite è terminata a questo punto. Se, invece, il soccombente è la stessa parte a cui viene attribuito il possesso interinale, la procedura deve andare davanti ancora. In tale caso, ha luogo il cosiddetto iudicium secutorium sive

Cascellianum, probabilmente introdotto dal giurista Aulo Cascellio durante la sua

pretura, per un congruo indennizzo all’avversario."Quindi, la complicazione del giudizio era diversa, secondo che avesse vinto la parte che aveva già vinto nella

fructus licitatio, cioè il possessore interinale o l’altra parte: il possessore interinale

perdente non solo pagava la somma della sponsio e della restipulatio, ma pagava anche la somma della fructus licitatio, ed inoltre doveva restituire il possesso con i frutti percepiti nel frattempo, poiché è detto espressamente in Gaio che la somma della fructus licitatio si pagava a titolo di pena per aver mal ritenuto il possesso altrui e tentato privarne l’avversario, ma non si computava come un vero indennizzo, invece l’altra parte, soccombendo, era semplicemente condannata a pagare la somma della

sponsio e della restipulatio".164

Salvo l’iudicium secutorium sive Cascellianum, colui che in iure aveva ceduto all’avversario nella fructus licitatio poteva intentare un altro iudicium secutorium per i frutti, il quale si chiama iudicium frutuarium. Assai discussa è la ragione di questo

iudicium ed i vantaggi che potevano farlo preferire al iudicium sulla fructuaria

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stipulatio. L’ipotesi più pratica è quella del Lenel, che colui chi aveva ceduto il

possesso interinale potesse con questo giudizio ottenere un risarcimento più equo che non quello stabilito dalla fructus licitatio in caso di vittoria; infatti il danno da lui subito per essere stato privo del possesso nel frattempo poteva superiore alla somma raggiunta nell’incanto.

Per fare operare bene la procedura, ci vuole un’attività continua e voluta dalle tutte e due parti. Però, a qualche volta può accadere che dopo la lesa dell’interdetto l’una delle parti rifiutasse a compiere i singoli atti necessari a provocare il giudizio, i

cetera ex indìterdictio, per esempio, poteva rifiutare di fare le sponsioni e le

restipulazioni, di procedere alla fructus licitatio, o di prestare la sadistatio o stipulatio

frutuaria, dopo aver vinto nella fructus licitatio. In tale caso, tutto ulteriore

procedimento rimane fermato. Si credeva che rifiutare di fare questi atti necessari per far luogo al giudizio è anche un atto di violenza e si discute sulla natura di quest’atto di violenza. Secondo il Bonfante qui si tratta di una finzione di violenza. Per infrangere gli ostacoli recati da una parte e fare andare avanti la procedura, era disposto contro colui chi rifiutasse di procedere ai cetera ex interdicto un interdictum

secundarium, con il quale l’avversario volonteroso otteneva contro il contumace piena

soddisfazione, cioè od il divieto di un’ulteriore turbativa, se esso era stato aggiudicato il possesso interinale, o la restituzione del possesso, se il contumace ha vinto nella

fructus licitatio. Però, in base a quali condizioni tale interdetto venga emanato e se

l’avversario deve almeno provare che egli stesso possiede nec vi nec clam nec

precario ad altero quando si emana l’interdetto sono le questioni controverse in

dottrina.

Nell’interdetto uti possidetis, come in alcuni altri interdetti, esiste una condizione importante, cioè la parte che vuole essere tutelata dall’interdetto deve provare che il suo possesso sia nec vi nec clam nec precario ab altero. Questa clausola vuol dire che solo la possessio iusta può essere tutelata dall’interdetto uti possidetis. Però, circa la sua funzione ci sono le discussioni nella teoria. Alcuni autori, ad es. lo Schmidt, ritengono che essa abbia una mera funzione negativa, cioè chi non prova il possesso non vizioso di fronte all’avversario è respinto e non deve assumere nessun altra

responsabilità; invece, gli altri, ad es. il Savigny ed il Bonfante sono di parere che essa abbia una funzione recuperatoria, vale a dire che se uno possiede, ma il suo possesso è vizioso di fronte all’avversario, egli deve restituirlo all’avversario alla fine. Considerando la funzione generale dell’istituto interdittale nel diritto romano e le esigenze pratiche, anche noi siamo di opinione della funzione ricuperatoria. Perché da una parte ci sono i testi che sembrano dire chiaramente che l’interdetto può in talune ipotesi condurre al ricupero della cosa.165 D’altra parte il carattere dell’interdetto duplice porta necessariamente a questo risultato. Se il giudice respinge la pretesa dell’uno in qualità di attore, deve condannarlo come convenuto, e non può in tale ipotesi condannarlo se non alla restituzione del possesso. Se la clausola nec vi nec

clam nec precario ha un significato serio, esso non può aver che questo: che il

possesso venga restituito dal possessore vizioso al possessore leso. Anche dal punto di vista pratico, se il pretore non condanna il possessore vizioso di restituire il possesso, questo vuol dire la discordia è lasciata stare. Il possessore vizioso continua a possedere, ed il possessore leso è ancora privato del possesso. Tale non è un risultato soddisfacente e giusto.

Abbiamo dimostrato prima che l’interdetto uti possidetis appartiene agli interdetti retinendae possessionis. Però, con la sua funzione ricuperatoria, in qualche volta, il possessore non solo non può mantenere il possesso, ma anche deve restituirlo all’avversario. Infatti, questo è uno dei motivi per il parere della funzione negativa. Però, in realtà, la situazione non è così. Da un canto la designazione di retinendae

possessionis è desunta dalla funzione essenziale e probabilmente unica in origine,

perché la clausola nec vi nec clam nec precario pare aggiunta in seguito. Da l’altro canto, nell’interdetto utrubi, è molto ovvio che egli può accorda la victoria al non possessore, però nessuno nega che egli è uno degli interdetti retinendae possessionia.