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Capitolo IV L’acquisto, la perdita e la conservazione del possesso

3.2 ritenere animo possessionem

Ora, passiamo all’argomento più controverso e più importante nel campo della conservazione del possesso, cioè il possesso che si conserva con solo animo. Abbiamo saputo che il possesso è una signoria di fatto dagli uomini sulle cose che produce gli effetti giuridici. Da questa definizione possiamo condurre che la dominazione materiale sulla cosa è l’elemento più essenziale del possesso. Però le esperienze della

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vita sociale ci dicono che anche quando il padrone va via per alcuni giorni, lasciando la casa libera, od il servo lascia la casa per gli affari del padrone, non si considera che il possesso della casa o del servo sia già perduto. Come dice il Savigny"il possesso di un fondo continua, finché non cessa la possibilità di agire a volontà sopra di esso, e non è punto necessaria una presenza continua del possessore, la quale anzi nella più parte dei casi sarebbe totalmente impossibile. È importante considerare questa proposizione nel punto di vista, sotto del quale è stata qui posta, cioè una mera conseguenza della regola data circa la durata e continuazione del possesso, e niente affatto come una eccezione di questa regola". Qui il Savigny non si è limitato nel senso letterale della"signoria materiale", ma considera le situazioni reali della vita sociale, e ha posto una spiegazione pratica, flessibile e ragionevole della regola romana.

Infatti, neanche i Romani non si sono limitati nella definizione stretta del possesso. Nelle fonti possiamo trovare tante testimonianze che ci mostrano che la concezione strettamente materiale nella pratica è ben presto superata e si riconoscono gli effetti tipici del possesso anche nelle situazioni in cui non si ha più la disponibilità effettiva della casa. Per le cose mobili, il criterio è la custodia, cioè la disponibilità potenziale, consistente nella possibilità attuale di riacquistare la materiale detenzione. Quindi, per conservare il possesso, non si deve detenere la disponibilità materiale della cosa, ma solo quella potenziale.

Per i beni immobili, si adotta un criterio ancora più largo, nel senso che se ne conserva il possesso, anche se ci si allontana per un certo tempo. La tendenza è quella di considerare esistente il possesso, con i suoi vantaggi, fino al limite massimo possibile, per cui si ammette la continuazione del possesso anche a favore di chi non esercita, né personalmente né tramite altri, la signoria sul fondo, senza, però, che esso lo lasci in stato di abbandono.

"Ammessa questa costruzione, l’elemento corporale ai fini della conservazione del possesso non si può più intendere come costante insistenza materiale sulla res; per la sua esistenza è ormai sufficiente la possibilità di disporre liberamente della cosa in qualunque momento. Il possesso esiste, dunque, finché perdura l’apparenza di non

libertà della cosa e questa l’ultima va interpretata caso per caso secondo la destinazione economica della cosa e gli usi sociali"144. In tale senso si trova per la prima volta, e poi più di frequente, il termine animo ritenere possessionem.

Il caso originario di questa regola è il possesso del saltus. Il saltus, nelle fonti romane, significa i fondi a coltura boschiva od al pascolo, per la loro stessa essenza, non possono essere coltivati; questa particolarità ha influito sul regime possessorio, perché in tali casi manca la possibilità di verificare il loro uso costante durante una momentanea assenza del possessore. Quindi, per rispondere le esigenze pratiche, si ritiene che anche nel periodo in cui il possessore sia assente, il possesso del saltus si conserva per animo. Questa soluzione è decisa dalla natura economica del saltus, nella stagione improduttiva non bisogna restare il possessore, il quale lascia con l’intenzione di ritornare nella prossima stagione produttiva. Questo caso, in origine, è l’unico per cui si applica la regola di animo ritenere possessionem. Perché data la realtà sociale ed economica dell’epoca classica, era difficile immaginare che un altro genere dei terreni venisse lasciato incustodito per lunghi periodi senza che si ritenesse abbandonato. Nel tempo posteriore, quando sorgono nella realtà i casi con le stesse modalità di utilizzazione del saltus, la giurisprudenza estende l’applicazione di tale regola senza esitazione.

Nelle fonti si trovano i testi in cui si trattava quest’argomento: D.41.2.27

Proculus 5 epist.

Si is, qui animo possessionem saltus retineret, furere coepisset, non potest, dum fureret, eius saltus possessionem amittere, quia furiosus non potest desinere animo possidere.

Si crede che questo è il testo più antico in cui si riferisce alla cosiddetto animo

ritenere possessionem, che fa presumibilmente introdotto proprio da Proculo. In

questo testo, infatti, non sono citati gli altri giureconsulti che avessero affrontato la questione ed in particolare non è richiamato Labeone, predecessore di Proculo ed

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Lambrini, P., L’elemento soggettivo nelle situazioni possessorie del diritto romano classico, Padova, 1998, p.100

attento studioso, a quanto sembra, di problematiche possessorie. Il più risalente riferimento ad un uso del termine animus nell’ambito possessorio fa capo proprio a Labeone, relativamente però all’acquisto del possesso; se il capo dei Proculiani avesse manifestato il suo pensiero anche in tema di conservazione del possesso, difficilmente Proculo ne avrebbe omesso la citazione. L’idea che Proculo sia il primo giureconsulto a parlare di una conservazione del possesso attuata animo è suggerita anche da D.43.16.1.25, in cui Ulpiano afferma di aver appreso questa regola, che è ormai entrata nel dire comune, proprio da Proculo.

D.41,2,44,2

Papinianus 23 quaest.

Quibus explicitis, cum de amittenda possessione quaeratur, multum interesse dicam, per nosmet ipsos an per alios possideremus: nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus, possessionem amitti vel animo vel etiam corpore, si modo eo animo inde digressi fuissemus, ne possideremus: eius vero, quod servi vel etiam coloni corpore possidetur, non aliter amitti possessionem, quam eam alius ingressus fuisset, eamque amitti nobis quoque ignorantibus. illa quoque possessionis amittendae separatio est. nam saltus hibernos et aestivos, quorum possessio retinetur animo,

D.41,2,46

Papinianus 23 quaest.

Quamvis saltus proposito possidendi fuerit alius ingressus, tamdiu priorem possidere dictum est, quamdiu possessionem ab alio occupatam ignoraret. ut enim eodem modo vinculum obligationum solvitur, quo quaeri adsolet, ita non debet ignoranti tolli possessio quae solo animo tenetur.

D.41,2,3,11

Paulus 54 ad ed.

Saltus hibernos aestivosque animo possidemus, quamvis certis temporibus eos relinquamus.

Anche in questi frammenti la conservazione del possesso del saltus con solo animo è citato come assolutamente indiscusso. Quindi, concludendo, già all’inizio

dell’epoca classica, più precisamente con Proculo, la regola di possedere con solo animo è indiscutibilmente accolta, almeno per un particolare tipo dei fondi–saltus.

Nel tempo posteriore, con lo sviluppo dell’economia nella società romana e della giurisprudenza, tale regola si applica ad una sfera sempre più ampia. E Giustiniano ha esteso a tutti i fondi la teoria, che se ne mantiene il possesso, quando si lasciano per tornarvi.145 Ora consideriamo alcuni casi tipici per conoscere meglio le regola di conservazione del possesso con solo animo.

Nel caso dell’occupazione clandestina dei fondi, abbiamo saputo la regola, cioè il possesso non si perde se non quando il possessore sia venuto a conoscenza dell’occupazione e tenti invano il ricupero o vi si rassegni. Però, secondo il Rotondi, questa regola non può essere originaria, ma il risultato della nuova dottrina. Seconda la teoria antica, il possesso si impenia sulla signoria di fatto o quanto meno sulla possibilità–sia pure valutata con larghezza di criteri–di esercitare quando si voglia tale signoria sulla cosa; per conseguenza, quando questa disponibilità è venuta meno, il possesso non dovrebbe poter sopravvivere.146 Che il precedente possessore sappia della avvenuta occupazione od invece la ignori non può aver importanza dal momento che la signoria è ormai di fatto esercitata da un altro. La stessa espressione “clandestina possessio”, “clan possidere”, largamente usata nelle fonti, è di per sé la miglior prova di questa deduzione.

La spiegazione data da Paolo per questo cambiamento è il conservare il possesso solo animo. In tali casi, la signoria di fatto è cessata, e l’animus non è più la conoscenza di aver la cosa in disposizione, ma le semplice credenza di averla tuttora o di poterla quando si voglia riacquistare. Si osserva che qui l’animus è separato dal

corpus ed al primo è attribuita una esistenza ed un’efficacia autonoma. Le situazioni

di questi casi non sono dissimili da quella del caso di saltus, dove si usa la formula dell’animus possidendi per giustificare i risultati. Dal punto di vista pratico, lo stato di fatto durante il periodo tra l’inizio dell’occupazione clandestina e la venuta della conoscenza al possessore precedente ha un carattere instabile ed equivoco, in quanto i

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Alibrandi, I., Teoria del possesso secondo il diritto romano, Roma, 1871, p.90

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terzi non sanno come si comporterà il titolare quando ne venga a conoscenza e sempre pensano che esso, appena conosciuto l’occupazione, vuole riprendere la signoria di fatto subito. Quindi, qui, come in tante altre situazioni, la valutazione sociale ha sempre un ruolo decisivo.

Ora, vediamo un’altro caso importante, cioè il possesso del servo fuggitivo. Infatti, su questo argomento, le teorie classiche non sono unite. I giureconsulti hanno posto le diverse opinioni su questa tema, per esempio, alcuni (Giuliano) riconosce la continuazione del possesso del servo fuggitivo solo per gli effetti dell’usucapione (D.41.2.1.15), mentre altri (Ulpiano) lo riconosce anche per la tutela interdittale (D.44, 3, 8). In genere, i Proculiani negano l’acquisto del possesso per servo fuggitivo, invece i Sabiniani l’ammette.

L’ubi consistam fu finalmente raggiunto da Paolo. Egli afferma senza esitazione la continuazione del possesso del servo fuggitivo, perché con la fuga del servo non ne perdiamo la disponibilità in modo assoluto, ma con questa disponibilità ve perduto solo uno degli elementi del possesso, la possessio corpore, l’altro, l’animus

possidendi, sopravvive. Questa è una nuova strada, la quale nessun giureconsulto

precedente ha scoperto. Con tale spiegazione, Paolo ha cambiato fondamentalmente il significato e la funzione dell’animus nel possesso. Qui, l’animus non è, infatti, l’elemento integratore della signoria del fatto realmente esistente, ossia la volontà cosciente di esercitare tale signoria; e non è neppure la credenza di aver ancora la disponibilità della cosa e di poterla quando si voglia esercitare, bensì è la volontà di conservare il possesso e di far di tutto per ricuperarlo: una volontà pura e semplice, disgiunta sia dalla possibilità attuale di realizzarla, giacché il servo è già fuggito; sia dall’ignoranza del sopraggiunto impedimento.147 Dal punto di vista logico, questa opinione non ha nessun ragione. Quando il servo è fuggito e totalmente fuori dalla sfera d’azione del suo padrone, solo l’animus, o la voglia, di quest’ultimo non può cambiare questo fatto reale. Però, siccome tale spiegazione corrisponde alle esigenze pratiche, ha finalmente acquistato il trionfo nella codificazione giustinianea. Infatti, i

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compilatori l’hanno abusata e portata ad applicazioni pratiche più larghe e ancora più anormali. Per questo motivo, nelle fonti giustinianee, possiamo trovare le sue applicazioni anche in tanti altri casi (ad es. il possesso dell’assente; il possesso del prigioniero della guerra; il possesso per mezzo di rappresentante, ecc.).

Fin’ora, abbiamo analizzato la nascita e lo sviluppo della regola retinere animo

possessionem nel diritto romano, e sappiamo che tale regola, anche se contro la teoria

classica, diventa sempre più diffusa nel diritto postclassica. La ragione per questa fenomeno è che essa corrisponde alle esigenze pratiche. Dunque, qual è lo scopo a cui serve tale regola in realtà? Da una parte, la formula del retinere animo possessionem permette di estendere la protezione interdittale a favore del possessore che venga a conoscenza dell’avvenuta occupazione. Egli, infatti, non ha perduto il possesso, in quanto l’ha conservato con animo, potrà perciò esercitare vittoriosamente contro l’invasore l’interdetto retinendae possessionis causa, cioè l’uti possidetis, nel caso in cui il possessore tenti di rientrare nel fondo e non vi sia ammesso, egli sarà legittimato all’esercizio dell’interdetto reintegratorio??? unde vi.

Dall’altra parte, tale formula anche ha la funzione pratica per quanto riguarda l’aspetto dell’usucapione. Sarebbe, quindi, possibile l’usucapione della cosa immobile occupata clam—se non a favore dell’occupante clandestino, al quale mancherebbero comunque la buona fede e titolo—per meno a favore di un eventuale terzo che entri in buona fede nella disponibilità del bene. Quindi, sebbene la formula retinere animo

possessionem non corrisponde perfettamente alla teoria classica, però porta i risultati