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Capitolo III Il soggetto e l’oggetto del possesso

2.2 Il possesso dei diritti — quasi possesso

Nelle fonti classiche si ribadiva tante volte il principio dell’impossibilità di possedere le cose incorporali, ad esempio D.41, 2, 3pr (Paolo) possideri autem

possunt quae sunt corporalia. D.41, 3, 24, 26 (Paolo) nec possederi intellegitur ius incorporale. D.8, 2, 32, 1 (Giuliano) natura enim servitutum ea est ut possideri non possint. Fr. Vat.91 qui uti frui prohibitus est proprie deictus dici non potest.

Però nelle stesse fonti possiamo anche trovare le espressioni possessio iuris,

quasi possessio, cioè il possesso dei diritti. Se consideriamo lo sviluppo

economico–sociale della società romana, non troviamo grande difficoltà per capire questo fenomeno."Perché l’impossibilità del possesso dei diritti è solo un punto di partenza, ed è ancora una conseguenza del parallelismo con la proprietà, la quale non fu ammessa dai Romani che sulle cose corporali. E questo punto di partenza fu superato con lo sviluppo della vita e delle dottrine giuridiche. Infatti in Roma vi sono due organi attivissimi che attendono al progresso del diritto ed insieme delle dottrine: il pretore e la giurisprudenza. E tutti i principi e le norme del diritto sempre che necessità d’ordine sociale lo richiedono, si sono trasformati, ampliati, mutati. Il diritto

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romano non è un ordinamento rigido nella sua struttura, ma costituisce un organismo che si evolve e si trasforma, adattandosi ognora alle mutevoli esigenze della società, dalla quella, appunto, esso trae la sua ragione d’essere. Quindi, le fonti ci rivelano che anche la norma per cui il possesso viene limitato alle res corporales fu derogata dai Romani, i quali non tardavano a riconoscere il possesso di taluni diritti, cioè di res

incorporales".110

Sebbene non c’è il dubbio che nella tarda fase del diritto romano sorgeva la

possessio iuris, ma sull’epoca precisa in cui si iniziava a riconoscerla ci sono le

opinioni diverse tra i giuristi moderni. Secondo il Riccobono, nell’età classica i Romani hanno già riconosciuto all’esercizio di alcuni diritti, in primo luogo della servitù, effetti analoghi a quelli di cui è produttivo il possesso (tutela interdittale) di cose corporali. Anche se molti testi in cui si trattava la possessio iuris sono interpolati dai compilatori, ma l’esistenza delle interpolazioni non è di per sé stessa sufficiente a distruggere la classicità di una dottrina, finché serie ragioni storiche ed esegetiche non ha condannino. Pertanto, se l’esame complessivo dei testi ci rivela che ancorché alcuni di essi risultino alterati, la dottrina che vi si tratta risponde ad un nuovo orientamento giurisprudenziale, noi possiamo ben affermarne la classicità. E in materia del possesso questa rispondenza esisteva. Nel diritto classico, per acquistare la servitù si esigeva la forma della mancipatio o della in iure cessio. Una servitù che è consegnata all’acquirente per la tradizione non ha nessun effetto nel campo del ius

civile, perché questa servitù non è costituita con legittimo modo. In questi casi, la

servitù non poteva essere garantita dall’ius civile perché non è corrispondente alle esigenze formali. Per evitare questa conseguenza iniqua, si creava la dottrina della

possessio iuris al fine di accordare al titolare di quel rapporto la tutela interdittale.

Quindi si può dire che la possessio iuris è una costituzione che la giurisprudenza romana ha escogitato al fine di tutelare mediante gli interdetti possessorii alcuni rapporti, che, per difetto di qualche condizione imposta da ius civile, non possono essere protetti come gli altri diritti. Anche questa costituzione, naturalmente, si è

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formata attraverso un graduale sviluppo che, iniziatosi forse con Giuliano, si svolge successivamente con Gaio, Ulpiano e Paolo. Ed è ovvio che il riconoscimento della

quasi possessio nei rapporti suddetti sia sorto da esigenze d’ordine pratico, data

l’importante funzione che frequente le servitù assumono nel campo economico ed agricolo, e ben logico, infatti, che in una società così complessa, come quella romana nel tempo dell’impero, si rendesse necessario proteggere anche quei rapporti tendenti alla costituzione di servitù, che, viceversa, non eransi costituite perché in difetto rispetto all’ius civile.

Tale protezione venne accordata in base all’analogia tra possessio rei e possessio

servitutis. Quest’analogia può riscontrarsi anche in ordine agli elementi costituitivi

della possessio rei, dacché alla possessio corpore ed all’animus possidendi; nella

possessio servitutis corrispondono, rispettivamente usus, l’esercizio di fatto della

servitù e l’intenzione dalla parte del proprietario del fondo dominante di esercitarla, come se essa fosse stata debitamente costituita.111

La teoria del Riccobono è molto influente. Però ci sono anche i giuristi chi non aderiscono alla sua opinione, ad es. l’Albertario e la Bozza. Secondo l’Albertario, per studiare la dottrina romana del possesso è importante distinguere fra epoca classica ed epoca bizantina, cioè fra il diritto romano classico ed il diritto romano giustinianeo. Perché gli ambienti economico–sociali dello Stato romano–ellenico e dell’impero d’Oriente sono profondamente diversi dall’ambiente classico, e hanno influito ovviamente l’istituto del possesso come hanno influito infiniti altri istituti romani.

Nell’epoca classica del diritto romano, l’oggetto del possesso è limitato solo alla cosa corporale. Solo nell’epoca postclassica, comincia a spuntare l’idea che non solo la cosa, la res, sia l’oggetto del possesso, ma anche il diritto, soprattutto il ius in re. Il possesso dei diritti sorge così accanto al possesso delle cose. Il sorgere di questo nuovo concetto, applicato ad una serie di istituti, soprattutto all’intera serie dei diritti reali, è un fenomeno tanto importante e tanto vasto che non poteva permettere a Giustiniano di formare nella sua complicazione quella dottrina del possesso che a lui

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era stata trasmessa dai giureconsulti classici, ma doveva costringerlo, per dare al possesso delle cose e al nuovo possesso dei diritti una base unica, a modificare profondamente ed, anzi, a sovvertire quella classica dottrina.112 Gli studi degli alcuni altri giuristi (Perozzi, Pacchioni, ecc) hanno anche testimoniato questo punto. Se il concetto del quasi possesso sorgeva solo nell’età postclassica, come mai anche nelle fonti classiche si sono già menzionate le terminologie possessio iuris, quasi possessio? Per questa domanda, la spiegazione dell’Albertario è che tutti i testi in cui si affermava che il titolari dei diritti reali sono i possessori sono interpolati. I compilatori, per fondare una base unica sia per il possesso delle cose sia per il possesso dei diritti, sono costretti a cambiare i testi dei giuristi classici. Le testimonianze per questa affermazione, secondo l’Albertario, sono tante. Per esempio, nel diritto classico l’usufruttuario poteva ricorrere all’utile interdetto unde vi quando era prohibitus. Nelle fonti non interpolate, si usava prohibitus per l’usufruttuario chi era tolto il godimento della cosa, e deiectus per il possessore. Si può vedere questa differenza dell’uso delle terminologie nei frammenti D.43, 16, 3, 14; D.7.1.6pr; D.43, 16, 9, etc. Il diritto classico non vedeva nell’usufruttuario un deiectus, perché esso non possedeva: della classica terminologia sono rimaste chiare vestigia nelle fonti. Inoltre, nel diritto classico la tradizione presuppone il possesso: non può essere capace di tradizione ciò che non è capace del possesso. E per acquistare la servitù, ci vuole la forma della mancipatio o della in iure cessio; per l’usufrutto, una res nec mancipi, si esige in iure cessio, come dice Gaio usus fructus in iure cessionem tantum recipit (Gaio 2, 30). Quindi a nessuno di questi due diritti reali più importanti nell’età classica si può applicare la tradizione.

L’opinione del Bonfante è intermedia tra quelle due precedenti. Esso ritiene che già nell’epoca classica nei riguardi dell’usufruttuario ed usuario, si sia parlato di quasi

possessio, ma non per indicare la possessio iuris, come conosciuta nell’epoca

giustinianea, bensì per esprimere un rapporto con la cosa non parallello, ma analogo alla possessio, come la locuzione non molto differente da esse in possessione, cioè

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una specie di detenzione qualificata della cosa. E con questa intelligenza essa ben poteva essere riferita all’usufruttuario e costituire la base dell’applicazione utile degli interdetti possessori. I testi, perciò, che parlano di quasi possessio dell’usufruttuario o dell’usuario non sarebbero interpolati. Ed il Giustiniano intese veramente di estendere il possesso e la difesa possessoria oltre i cancelli dell’antico possesso romano, ma egli non estendeva il carattere del possesso all’esercizio di fatto di qualunque diritto reale, né estendeva la tutela possessoria a tutti i casi di detenzione della cosa, bensì estendeva la tutela possessoria ad ogni esercizio di diritti reali, cui fosse inerente la detenzione ed il godimento vero della cosa; e, poiché ha riconosciuto per la prima volta il carattere di diritto reale dell’enfiteusi e della superficie, ha esteso anche a queste nuove figure di diritti reali la tutela possessoria. Giustiniano non ha inteso di modificare la classica nozione del possesso, ma in una forma oscura egli si propone di riconoscere ugualmente la possessio ed accordare la tutela possessoria, anche ad una serie di figure nettamente delimitate dal iue in re.

Abbiamo citato tre opinioni principali su questo tema. Il Riccobono ritiene che la

possessio iuris sorgeva nell’epoca classica. A mio avviso, questo affermazione non

corrisponde alla realtà. È molto strano che da una parte i giuristi classici ribadivano che le cose incorporali non possono essere possedute, dall’altra parte essi ammettevano il possesso dei diritti. I pretori hanno accordato ad alcuni titolari dei diritti reali la tutela interdittale, però non in via diretta, ma in via utile. Questo ha testimoniato che essi non sono i possessori, altrimenti gli possono accordare la tutela interdittale direttamente, non bisogna rivolgersi alla via utile. L’Albertario, invece, ritiene che la quasi possessio sorgeva solo nell’età postclassica, e tutti i testi che parlano la quasi possessio sono interpolati. Questo affermazione, a mio parere, è troppo assoluta. Nelle fonti classiche i testi di questo genere non sono pochi. La possibilità che tutti questi testi sono delle mani dei compilatori non è grande. L’opinione intermedia del Bonfante sembra più ragionevole. Nell’epoca classica la tutela interdittale si accordava all’usufruttuario ed usuario solo per corrispondere le esigenze pratiche, non perché si ammetteva che essi sono possessori. Solo nell’età postclassica Giustiniano ha cambiato la classica teoria possessoria, introducendo la

possessio iuris, cioè il possesso di iure in re.

Questo cambiamento ha influito profondamente la teoria possessoria, "il possesso non è più nel mondo romano–ellenico, soprattutto nel mondo giustinianeo, quell’istituto che, di solito, nel mondo romano aveva un’esistenza giuridica propria, non confondibile con la proprietà o con qualsiasi altro diritto reale. Questa normale individualità giuridica del possesso romano è ora scomparsa. Il possesso ora rappresenta l’esercizio del diritto della proprietà o di qualsiasi altro diritto reale: è una stato di fatto che normalmente si associa ad uno stato di diritto".113 Così, i titolari dei cosiddetti diritti frazionari della proprietà sono possessores iures o quasi possessores; il titolare del diritto della proprietà è possessor: gli uni possiedono un diritto, l’altro possiede la cosa. In questo età la possessio ed actio in rem si possono indifferentemente scambiare, perché la possessio è fondato sull’actio in rem.

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