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meno genericamente a sacrifici umani, pur senza escludere a priori un‟eventuale pertinenza delle seconde alle prime, come talvolta si rivela essere il caso.

Naturalmente i tofet ospitavano un‟attività cerimoniale e rituale molto complessa, che non è del tutto lecito ridurre ai soli sacrifici cruenti. Da questo punto di vista, le testimonianze letterarie greche e latine hanno forti limiti. Eppure, gli aspetti del culto concernenti i problemi della fertilità, fecondità e discendenza percepibili a tutti i livelli, e anche gli autori classici - certo più colpiti dai tratti cruenti del rituale - lasciano comunque trasparire questa dimensione.

La presente e breve rassegna qui presentata ha l'obiettivo di fornire un panorama documentario che costituisca almeno un parziale approfondimento dell‟indagine storico-archeologica, che è fulcro tematico e lavorativo della presente ricerca. L'uso quanto più organico possibile di tutte le fonti disponibili è comunque elemento imprescindibile per una conoscenza più strutturata e completa dei problematici contesti tofet, la cui lettura e comprensione sembra ancora lontana da risoluzioni esaustive e definitive.

3.4.2 Stele e iscrizioni

In questo paragrafo, come nel seguente, ci si limiterà solo ad un rapido cenno rispettivamente dei monumenti lapidei iscritti, che caratterizzano i santuari-

tofet, e delle divinità il cui culto risulta documentato in queste installazioni sacre.

Entrambi questi aspetti della documentazione, infatti, risultano da molto tempo al centro dell‟attenzione degli specialisti che, anche di recente, hanno fornito attendibili messe a punto, per cui converrà limitarsi ad un breve riepilogo dello stato attuale delle conoscenze. Per quanto riguarda il materiale epigrafico, esso è stato oggetto di ripetuti e approfonditi studi ai quali si farà qui puntuale riferimento.

La prima domanda che ci si deve porre, a proposito del materiale epigrafico venuto alla luce nell‟ambito dei vari tofet, concerne la tipologia e la natura/funzione delle iscrizioni: è possibile trovare in questa documentazione un aspetto unificante? La risposta è positiva, poiché il materiale epigrafico, al di là delle formule dedicatorie, che variano nello spazio e nel tempo, con una minima oscillazione nell‟identità dei destinatari (comunque, sostanzialmente sempre Baal Hammon: cf.

infra) presenta una struttura e una funzione unitaria.

Come hanno dimostrato in particolare gli studi condotti a più riprese da M.G. Amadasi Guzzo169, le iscrizioni dei tofet rientrano pienamente nel tipo

(identificabile in un ambito culturale molto vasto, che abbraccia anche i repertori epigrafici semitico-occidentali dell‟Oriente) delle epigrafi definite “di dono”. Nonostante il fatto che i tofet siano caratterizzati da deposizioni di incinerati e quindi – in forme da approfondire – investano indubbiamente anche l‟ideologia funeraria, le iscrizioni rinvenute non sono mai di carattere funerario, bensì di carattere votivo: si tratta ovunque di dediche alla divinità, che commemorano un‟offerta effettuata. Dai testi si evince chiaramente che il motivo del dono è una richiesta esaudita, una grazia ricevuta; per lo più i verbi sono al passato, quindi si riferiscono a richieste già esaudite, in taluni casi può anche trattarsi di una richiesta esaudita, ma accompagnata da una richiesta ulteriore; in altri termini, il dono può anche essere effettuato per ottenere un futuro beneficio, cioè in ottenimento di una grazia.

Quanto alle formule, non sarà qui il caso di addentrarsi in approfondimenti troppo tecnici. Limitandoci alla struttura generale, normalmente troviamo nei periodi più antichi la seguente sequenza:

oggetto offerto / allusione al rito / pronome relativo / verbo che esprime l’offerta / nome dell’offerente (singolo o plurimo) / dio destinatario / motivo dell’offerta / espressione di rendimento di grazie.

Naturalmente non sempre questi elementi sono tutti presenti nelle iscrizioni. In epoca arcaica, i verbi usati sono vari (ndr, “offrire in voto”, ma anche “dare”, ytn, e altri meno frequenti).

Con il passare del tempo (più o meno dagli inizi del VI secolo a.C. in poi), in Occidente il nome del dio passa primo nella dedica, prendendo cioè il posto precedentemente occupato dall‟oggetto, con la seguente tendenziale sequenza:

nome del dio / oggetto offerto / pronome relativo /

verbo di offerta / nome dell‟offerente (singolo o plurimo) / formula finale di ringraziamento.

Il verbo di offerta è ormai quasi universalmente ndr.

Questi mutamenti nei formulari sono sicuramente indicativi di nuovi orientamenti devozionali, ovvero di evoluzioni nelle concezioni religiose che possiamo però solo appena percepire. Si può solo osservare al proposito che i destinatari divini vengono progressivamente posti su un piano più alto, se ne enfatizzano la presenza e i diritti, la distanza tra livello divino e offerenti/postulanti umani. Questo potrebbe essere anche lo sfondo che vede, a Cartagine, Tinnit passare al primo posto nelle dediche. Si tratta di un fenomeno che, per chi scrive, non sembra doversi leggere necessariamente nei termini di un sovvertimento di posizioni, con la dea al primo posto nel pantheon (o nella “religione del santuario”), bensì come la tendenza di Baal Hammon alla cosmicizzazione e la conseguente necessità di intermediari, di mediatori, sentiti più vicini all‟uomo.

L‟oggetto della dedica è rappresentato o simboleggiato dal monumento, commemorativo di un sacrificio effettuato, che può essere esplicitamente definito come mlk seguito eventualmente da varie specificazioni.

Quanto alle formule finali di ringraziamento e richiesta di benedizione, anche qui si registrano col tempo dei lievi mutamenti, ma in sostanza il fedele ricorda quasi sempre di avere effettuato l‟offerta al dio perché quest‟ultimo “ha ascoltato la sua voce” e “l‟ha benedetto”.

Infine, circa gli offerenti, la grande maggioranza dei casi vede implicati dei singoli, per lo più di sesso maschile, ma con una presenza non del tutto trascurabile di donne (come per esempio a Cartagine nel III secolo a.C.)170.

3.4.3 Le divinità

A partire all‟incirca dalla metà del VII secolo a.C., cippi e stele rinvenuti nei

tofet d‟Africa, di Sardegna e di Sicilia, testimoniano, nei testi su di essi iscritti,

dediche rivolte a Baal Hammon e, a partire dal V secolo ed essenzialmente a Cartagine e nelle aree soggette all‟influenza di quest‟ultima, a Tinnit seguita però sempre da Baal Hammon.

Nelle iscrizioni più antiche, provenienti o meno dalla metropoli africana, il dio è infatti unico destinatario delle dediche (e, presumibilmente, massimo titolare del relativo santuario); successivamente, in alcuni luoghi, esso è affiancato dalla dea Tinnit, sua paredra e figura materna, che passa infine a precederlo nelle dediche cartaginesi a partire più o meno dal V secolo a.C.

Come già accennato, dal punto di vista storico-religioso, il fenomeno può spiegarsi convincentemente come una particolare strategia devozionale tipica dei

Cartaginesi171. Dal momento che ignoriamo quasi del tutto la realtà storico-sociale

di Cartagine in questo periodo, non è possibile oltrepassare lo stadio delle ipotesi, tra le quali quella di una sorta di “riflessione” ideologica che porta a una revisione nella struttura del pantheon deve però necessariamente essere formulata. Tuttavia la dea Tinnit172, anche quando è invocata al primo posto, porta l‟epiteto p‟n b„l, letteralmente: “volto di Baal”, fatto che, per quanto criptico, se lo si volesse approfondire, indica manifestamente un rapporto di dipendenza nei confronti del suo divino sposo. Su base comparativa, appare davvero poco credibile che una divinità femminile arrivasse a detenere il potere assoluto nell‟universo religioso punico. E‟ molto più probabile, invece, che, in seguito a processi di natura mitologica e teologica che non conosciamo, si arrivasse a concepire Tinnit come decisivo elemento intermedio per presentare in forma più efficace e rispettosa le richieste di aiuto a Baal Hammon173.

Dopo aver ribadito che si tratta comunque di un fenomeno che investe quasi esclusivamente Cartagine, si dovrà pur con prudenza concludere che non v‟è dubbio, stando alle iscrizioni del tofet, che sia stato (in epoca arcaica) e continui ad essere (anche in seguito) Baal Hammon la divinità più autorevole, il carismatico depositario di poteri decisionali, mentre il ruolo della dea si può appunto interpretare come quello di una pietosa (e influente) mediatrice che intercede a favore dei fedeli presso il suo sposo, il cui “volto” si mostra appunto solo a lei.

Per quanto Baal Hammon e Tinnit siano “le” divinità del tofet, gli storici delle religioni hanno fondatamente ipotizzato che l‟attività cultuale in questo tipo di santuari prevedesse anche riti rivolti ad altre figure sovrumane o, se vogliamo, a manifestazioni particolari delle divinità tradizionali. Per non ricordare che un caso esemplificativo, quello di Mozia, Baal Hammon è la sola divinità menzionata dalle