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214 LILLIU 1944 b, coll 380 e ss.

CAP 7 LO SCAVO 1998: I MATERIALI ARCHEOLOGICI I ANALISI DESCRITTIVA

7.2. Il concetto di “Unità di Deposizione”:

ipotesi di lavoro per un’analisi di tipo contestuale

Dopo la panoramica appena delineata sulle attestazioni archeologiche e sulle attività pratiche svolte nel corso dei tre anni del Corso, vanno sicuramente rimarcati gli aspetti salienti messi a fuoco per ciascun ambito dell‟indagine, tenendo presente che ciascuno di essi ha presentato progressivamente problematiche analitiche “a imbuto”, che si è cercato di esaminare secondo una lettura a più livelli, mirata però soprattutto alla ricostruzione unificata di tutte le varianti documentarie. Ci si è dunque trovati davanti a vari interrogativi, soprattutto inerenti al chiarimento di quale fosse il metodo migliore per descrivere, classificare ed analizzare i vari “gruppi di materiali” contemplati dall‟indagine. Ma ancor prima di entrare nel merito di possibili criteri concreti ritenuti significativi per l‟esame di ciascun “gruppo”, è sembrata utile una riflessione teorica più generale. Ci si è chiesti, cioè, quali possano essere i presupposti analitici iniziali, sulla base dei quali poter impostare una corretta valutazione degli aspetti salienti generali.

Una buona risposta è sembrata quella della prospettiva contestuale, che è stata focalizzata meglio sulla situazione specifica qui analizzata, seguendo le direttive teoriche elaborate, in sede metodologica, dalla cosiddetta scuola post- processuale249. In tale ambito, già da tempo è stato riconosciuto al “contesto” un

doveroso rilievo sostanziale, in quanto concetto puntuale ed efficace, ossia “cellula- base” analitica dell‟indagine archeologica, a qualsiasi livello sia essa condotta. Il suo potenziale informativo è, certo, estremamente complesso ma anche in grado, se correttamente decodificato, di portare ad una buona ricostruibilità della documentazione archeologica; primaria, in questo, la sua capacità di veicolare significati culturali (elementari o complessi) percepibili soprattutto in base ai nessi

di relazione tra i diversi materiali (componenti e in associazione), piuttosto che sulla base dell‟esclusiva analisi in profondità di ciascuno di essi250. In “The Explanation

of Culture Change” (edito nel 1973), Case si espresse fin dalle prime fasi della riflessione metodologica in questa direzione a netto favore di un‟archeologia del tutto contestuale “ … la quale sola merita di essere considerata una nuova archeologia” e che, secondo lo studioso, richiedeva una più stretta connessione tra teorie generali e dati disponibili251. In questa direzione, lo sguardo deve essere

necessariamente flessibile e pronto a cogliere connessioni diverse a seconda dei casi, senza paradigmi precostituiti che indirizzino (e quindi standardizzino) le domande di partenza e le possibili risposte. Ciononostante, è anche vero che una certa flessibilità applicata all‟analisi di intrecci di relazioni e di connessioni (pratiche o simboliche) tra i diversi gruppi di materiali non va disgiunta da una certa categoricità di fondo, mirata ad individuare linee-guida portanti e punti di riferimento.

Nel caso specifico di cui ci stiamo occupando, ci siamo chiesti quali siano gli elementi più connotativi e discriminanti di un contesto tofet e in che misura, dosando tra il rigore delle categorie analitiche di riferimento e l‟elasticità dell‟approccio, vada impostato l‟esame delle diverse fonti archeologiche disponibili. La componente più ricorrente e identificativa sembrerebbe essere l‟ “urna”, quale elemento-guida che più di altri è idoneo ad individuare il livello analitico contestuale di base; tuttavia, secondo l‟uso che ne viene comunemente fatto, il termine ci è sembrato troppo generalizzato e, al contempo, generico. Mi sembra che esista una certa ambiguità terminologica che andrebbe forse superata, in vista di un tentativo di precisazione - terminologica e contenutistica - su alcuni aspetti: primo tra tutti quale sia l‟oggetto di analisi prioritario e l‟ottica da privilegiare. Si parla spesso, infatti, di urne come sinonimo di recipienti cinerari specifici

250 HODDER 1990.

(soprattutto pentole, di forma globulare, piriforme etc.) o in senso lato, soprassedendo in modo forse troppo sbrigativo al fatto che il termine “urna” è un concetto esclusivamente funzionale e non morfologico. Sembrerebbe più opportuno parlare di forme specifiche (pentole, olle, ma anche brocche, anfore etc.) usate “in funzione di” urna, ossia in qualità di contenitori cinerari. Ci si è allora chiesti quale debba essere considerata l‟unità contestuale basilare, primaria e quindi probante.

La risposta sta forse in un concetto nuovo e finora inedito, quello di “Unità di Deposizione” (abbreviato in seguito come UD), elaborato nell‟ambito di questo lavoro proprio in base a riflessioni di metodo che potessero essere finalizzate a soluzioni - terminologiche e concettuali - accettabili. Con l‟espressione di “Unità di Deposizione” s‟intenderà in questa sede l‟unità di contesto-base, costituita da più elementi componenti e dalle relative associazioni possibili: l‟urna (ossia il cinerario strettamente detto) + il suo contenuto primario (resti osteologici, umani e/o animali) + eventuali elementi altri, contenuti al suo interno (“associazioni interne”, interpretabili nella maggior parte dei casi come oggetti relativi al corredo di accompagnamento), oppure in associazione esterna al cinerario.

Evidentemente la ricostruzione dei contesti-base è da inserire in un approccio basato sul principio di “sistema”, da vedere su micro-scala e su macro- scala: su micro-scala potremmo considerare il contesto stesso un sistema, che va innanzitutto isolato e analizzato sulla base delle modalità di selezione dei diversi materiali e del loro abbinamento. Su macro-scala occorre seguire una progressione per grado allargato e considerare l‟unità di deposizione nel suo complesso, come elemento costitutivo-base di reti di relazioni maggiormente complesse: per esempio uno spazio topografico circoscritto, omogeneo e definibile, in cui siano ravvicinate sul terreno più unità di deposizione differenziate; oppure una fase cronologica specifica, in cui l‟unità di deposizione funzioni all‟interno di una morfo-tipologia e, più ampiamente, di un repertorio ceramico chiaramente rappresentativo di un

orizzonte socio-etnico ben identificabile; un sistema religioso-cultuale e, a più ampia scala, un sistema culturale in senso lato.

Le motivazioni che, nel caso dei tofet, sovrintendono a tutto questo devono essere collegate a “fenomeni culturali” che abbiano una chiave di lettura essenzialmente di tipo cultuale. C‟è da chiedersi ulteriormente se in tali sistemi il comportamento antropico, in quanto rituale (oppure ritualizzato?), sia codificato e da analizzare in termini di paradigmaticità, relativa o assoluta, oppure se occorra mettere in conto un ordine di variabilità interna non prevedibile a priori. In pratica, ciò presuppone il tentativo di verificare se esista o non esista regolarità nelle relazioni intra-sistemiche, vale a dire se sia possibile analizzare i comportamenti in termini di regolarità, generalizzazione e, in qualche misura, standardizzazione (effettiva o solo in fieri), ovvero se la variabilità sia la sola caratteristica ricorrente dell‟allestimento deposizionale. Si può immaginare che l‟ottica sistemica proceda attraverso una serie di stati di sistema, l‟uno successivo all‟altro, la cui progressione determina la cosiddetta traiettoria del sistema. È anche vero, tuttavia, che è centrale nell‟analisi capire quanto questa traiettoria sia presente - o riconoscibile, almeno in potenza - in un contesto tofet appena avviato e in corso forse di definizione.

Nel nostro caso, il concetto processuale del system thinking va pertanto molto sfumato: può essere considerato valido come tappa iniziale dell‟analisi, ossia come un riferimento pratico, utile all‟articolazione delle varie componenti del contesto252, nella quale lo sguardo analitico ruoti intorno e compenetri i diversi

elementi componenti del contesto di riferimento (UD); tuttavia, essa da sola non basta. Si ritengono sicuramente validi i limiti che in ambito post-processuale furono riconosciuti all‟impostazione sistemica, in quanto metodo conoscitivo di tipo scientistico, meccanicistico e troppo descrittivo, piuttosto che esplicativo ed interpretativo.