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152 LEGLAY 1966; XELLA 1991.

3.4 Fonti per un inquadramento rituale e una classificazione tipologica

3.4.1 Le fonti letterarie160

3.4.1.I Antico Testamento

Si presentano qui di seguito alcuni cenni sulle testimonianze bibliche dalle quali, come è noto, si è desunto il termine stesso tofet, che pure è di incerta etimologia e significato nella stessa lingua ebraica.

I passi in questione sono stati numerose volte raccolti ed esaminati dalla critica testuale, spesso (come è accaduto per gli autori greci e latini) non senza pregiudizi volti, a seconda dei casi, a negare o ad affermare a priori sia l‟esistenza di riti cruenti, che il loro possibile nesso con le modalità rituali di tradizione fenicio- punica.

Per quel che concerne la presente ricerca, sarà sufficiente rinviare agli studi più recenti e ai risultati conseguiti161, ricapitolandone i punti sui quali regna il

maggiore accordo.

Sul senso sacrificale del termine ebraico molek (moloch)162, non vi è ormai

quasi più dubbio, così come sul fatto che deve trattarsi della stessa parola che, nelle iscrizioni puniche, figura a volte nelle dediche del tofet. Quest‟ultimo, nell‟Antico Testamento, designa un luogo alle porte di Gerusalemme, senza poter affermare con sicurezza se sia o meno un nome proprio: la sua localizzazione nella

160 A riguardo della presente parte desidero specificare che le osservazioni e i commenti di seguito riportati sono frutto di consultazioni molto fruttuose in questi anni con alcuni dei principali studiosi della materia. Ringrazio, in particolare, Paolo Xella e Sergio Ribichini per i suggerimenti e gli approfondimenti che hanno contribuito ad apportare al mio lavoro.

161 I passi: Levitico 18,21; 20,2,3,4,5; 1 Re 11,7-; 2 Re 23,10; Geremia 32,35. Esso significa probabilmente “ciò che è inviato”, “ciò che è fatto andare”, come dono, in direzione dei destinatari divini.

162 Vedi tra gli altri: GARBINI 1980; GARBINI 1981; GROTTANELLI 1988a; RÖMER 1999; LIPINSKI 2002; STAVRAKOPOULOU 2004.

valle di Ben Hinnom lascerebbe, però, propendere per la seconda ipotesi senza che sia tuttavia chiaro, come detto, il suo significato preciso.

Riguardo ai sacrifici umani testimoniati nella Bibbia ebraica, vanno considerati a parte i tre casi di Abramo e Isacco (Genesi 22,1-19), della figlia di Jefte (Giudici 11,29-40) e del re di Moab, Mesha (2 Re 3,26-27). Essi testimoniano la diffusione dell‟idea che un dio possa richiedere e/o gradire vittime umane, specie quelle alle quali il fedele è legato da stretti vincoli di parentela, come voto, ricambiando il sacrificio con benefici di varia natura. Questo può avvenire in casi critici, di pericolo o di micidiali calamità, a livello individuale come collettivo.

Quanto a ciò che avveniva nel tofet, che esso venga o no menzionato esplicitamente, sono testimoniati olocausti (il celebre “far passare per il fuoco a

molek”) praticati dagli Israeliti che avevano come vittime i loro figli e le loro figlie.

Le norme sul sacrificio dei primogeniti, contenute soprattutto nell‟Esodo e nel Levitico, non sembrano avere direttamente a che fare con questa realtà, presentata come estranea al culto di Yahvè dalla Bibbia, ma certo erano in origine orientate da una simile visione teologica. La pratica cruenta doveva essere comunque largamente diffusa, al punto da suscitare una generale reazione d'indignazione e di repressione da parte dei posteriori redattori biblici. Basti pensare che tali riti avvenivano nello stesso tempio del dio d‟Israele (Levitico 20,1- 5). Sarebbe stato il pio Giosia, con la sua riforma religiosa, a distruggere anche il

tofet, almeno secondo quanto riportato in 2 Re 23,10.

Quanto al destinatario di questi riti cruenti, non pochi autori sono convinti che lo stesso culto yahvista ammettesse, almeno fino ad una certa epoca, tali pratiche, oggetto poi di condanna a seguito di revisione ideologica a posteriori. Qualche indizio nella documentazione mostra sporadicamente la presenza del “cananeo” (cioè, fenicio) Baal come destinatario dei sacrifici, senza tuttavia che tale dato sia estendibile con certezza a tutti i casi.

In conclusione, si può affermare che il termine molek è attestato in entrambe le tradizioni, quella ebraica e quella fenicio-punica (qui, molk), con analoga valenza di significato. Postulare una trasmissione della pratica cruenta in una direzione o nell‟altra (dal mondo cananeo, cioè fenicio, a quello ebraico, o viceversa) è però una circostanza che non è possibile almeno al momento dimostrare.

3.4.1.II Gli autori di lingua greca e latina

Nel quadro del problema generale dei sacrifici presso le genti fenicie e puniche e, in particolare, dei riti che avevano luogo nell‟ambito del tofet, grande importanza presentano qulle notizie che, in varie forme e a diversi livelli, ci sono offerti in proposito da autori greci e latini, che scrivono in un arco cronologico molto ampio, compreso tra Eschilo (VI-V secolo a.C.) e l‟epoca tarda, in questo caso segnatamente i padri della chiesa, i lessicografi e gli scoliasti, fino a giungere al IX- X secolo d.C.

Accanto ai dati archeologici ed epigrafici, infatti, che costituiscono le fonti dirette disponibili, le informazioni desunte dalle fonti classiche (e, come si è appena visto, dalla Bibbia ebraica) rappresentano una documentazione indiretta ma ineludibile, certamente problematica163, ma altamente significativa, con la quale è

necessario confrontarsi, anche se in questa sede non vi si potrà fare che un rapido cenno.

Si deve in ogni caso ricordare che, prima che le ricerche archeologiche portassero alla luce i vari contesti tofet mediterranei e le numerose testimonianze epigrafiche e di cultura materiale in essi rinvenute, per lungo tempo, nella storia

163 Cf. da ultimo SZNYCER 2005. I dati pertinenti erano stati già sostanzialmente quasi tutti raccolti da M. Meyer nel Lexikon del Roscher, coll. 1501 ss., poi più di recente sono stati ripresentati da LEGLAY 1966, pp. 315 e ss.

degli studi, le fonti classiche sono state le sole testimonianze disponibili per l‟interpretazione dei riti fenici e/o punici.

Va segnalato, inoltre che, su questa base, non si era in precedenza mai messo in discussione il carattere cruento dei sacrifici nel mondo fenicio e punico, così come testimoniato da autori greci e latini. La tendenza interpretativa che propone di vedere nei tofet - almeno in parte - delle singolari necropoli infantili, riservate a prematuri morti in età perinatale164, si data all‟incirca all‟ultimo ventennio e non

trae spunto da alcun nuovo testo classico, rinvenuto di recente; sono infatti le stesse testimonianze scritte note da secoli a costituire, a tutt'oggi, lo stesso panorama documentario letterario di riferimento.

Molte nuove acquisizioni ci vengono, invece, dalla documentazione diretta e, come è stato da più parti giustamente osservato, le fonti classiche devono essere riconsiderate, rivalutate e, forse, re-interpretate, solo dopo un loro più opportuno inserimento nel dossier documentario, all'interno del quale esse stesse costituiscono una parte significativa, ancorché impegnativa e “spigolosa”, delle testimonianze. Una valutazione comparativa, secondo un metodo rigoroso, di questo materiale, è imprescindibile: la pluralità delle fonti non può che costituire l'ampio “ventaglio” di conoscenze da cui, per molti versi, partire, utilissimo ad una migliore impostazione delle problematiche e ad un ulteriore arricchimento di ogni tipo di ricerca in corso.

Altro fattore che occorre tenere in debito conto è la particolare ottica, spesso non scevra di pregiudizi di vario tipo, che presentano queste testimonianze.

Se è vero che i Fenici appaiono come “barbari” agli occhi della cultura ellenica e latina ufficiale, in base ad una visione che da essa ci giunge, secondo i “canali” formali e potremmo dire “autorizzati” della trasmissione scritta che in seno

164 Selezionando la vasta bibliografia e limitandosi ai contributi più estesi e significativi, cf. MARTELLI 1981; SIMONETTI 1983; MOSCATI 1987 e 1991; RIBICHINI 1987 e 1990; GRAS – ROUILLARD – TEIXIDOR 1989; MOSCATI - RIBICHINI 1991; BENICHOU SAFAR 2004a, che sono i principali esponenti, in misura e con posizioni diverse, di questa tendenza interpretativa. Cf. infra, “La problematica del sacrificio cruento”.

ad essa si sviluppò, va anche detto che questo non deve indurre a dismettere completamente le testimonianze note e i giudizi tramandati, giudicandoli inattendibili; piuttosto, occorre invece provare a capirne la logica sottesa ai ragionamenti e alle conclusioni che alcuni autori traggono.

La grande maggioranza degli autori parla, ad esempio, di Cartagine quando questa non aveva più alcun potere o era stata addirittura già neutralizzata dai Romani; i padri della chiesa dovevano considerare molto più pericoloso il paganesimo classico, che ancora contrastava la religione di Cristo, piuttosto che quelli che potremmo definire “residui rituali” di una tradizione fenicia praticata in sedi periferiche o, comunque, nascoste. Quando si parla allora di “pregiudizio” anti- punico ci si deve riferire piuttosto alla mancanza di parola tradizionalmente ascritta a queste genti, piuttosto che a costumi barbari e feroci; questi ultimi sono invece ascritti in modo generico a molti popoli del Mediterraneo antico, ma i riti cruenti aventi come protagonisti piccoli infanti immolati come vittime sono additati come tipici della sola cultura fenicio-punica.

In questa sede, non è ovviamente possibile tentare un'organica analisi del fenomeno, e probabilmente non è perseguibile neanche una completa messa a punto degli aspetti più salienti e delle problematiche; per scrupolo di completezza, pertanto, mi limiterò a ricordare in breve i corpora di notizie fornite da autori greci e latini, seguendone a grandi linee la tematica.

I nomi degli autori che qui interessa citare sono tra i più celebri e importanti conosciuti nel mondo classico antico, anche se, evidentemente, non tutti gli autori sono rappresentati in questo elenco. In lingua greca, ricordiamo i tragici Eschilo, Sofocle, Euripide; inoltre Clitarco165, lo pseudo Platone, Teofrasto, Timeo, Dionigi di

Alicarnasso, Diodoro Siculo, Plutarco, Filone di Biblo, lo pseudo Luciano, Zenobio, Eliano, Sesto Empirico, Porfirio, Eusebio di Cesarea, Cirillo, Esichio, Fozio e i tardi

165 Clitarco, fr. 9 Jacoby, FrGrHist II B, n. 137, p. 745: un “filone” a parte è quello del cosiddetto riso sardonico, cf. RIBICHINI 2000.

scoliasti e commentatori (tra cui Suda e Eustazio). In lingua latina, vanno menzionati Ennio, Varrone, Cicerone, Plinio, Quinto Curzio, Silio Italico, Valerio Massimo, Minucio Felice, Tertulliano, Giustino, Origene, Lattanzio, Atanasio, Firmico Materno, Girolamo, Agostino, Draconzio, Orosio, Prudenzio, Isidoro di Siviglia e altri minori.

Se si guarda al tipo d'informazione desumibile da questo vasto e complesso panorama di fonti - quasi un centinaio di passi possono almeno teoricamente essere presi in considerazione - appaiono alcuni temi ricorrenti che possono essere isolati e, al tempo stesso, alcuni dati ricorrenti confermati dalla grande maggioranza degli autori.

Innanzitutto, per quanto riguarda eventuali allusioni ai riti del tofet, occorre naturalmente non prendere in considerazione le notizie che concernono le uccisioni di adulti, tra cui prigionieri di guerra o persone anziane, così come occorre analizzare con prudenza i casi che vengono presentati come uccisioni singole o di massa, sporadiche o del tutto eccezionali.

Per quanto riguarda i bambini, quali vittime di eventuali sacrifici cruenti, in tenera età o comunque piccoli, la pratica è considerata una realtà dagli autori classici, passata o contemporanea, nella religione fenicia e soprattutto punica e c‟è da tenere conto che alcuni di loro scrivono prima della caduta di Cartagine (nel 146 a.C.).

Quasi tutte le nostre fonti, tranne rarissime eccezioni, indicano il destinatario del rito che, nella stragrande maggioranza dei casi è designato con

Kronos, in greco, o con Saturnus, in latino. Il riferimento al dio El nelle tradizioni

facenti capo a Sanchuniaton/Filone di Biblo e concernenti la Fenicia, in realtà, è sicuramente omologabile al caso di Kronos. Non esistono dubbi, infatti, che si tratti del dio Baal Hammon, chiamato anche direttamente Kronos o Saturno dai fedeli nei documenti non redatti in punico (per esempio, le iscrizioni votive redatte in greco provenienti dal tofet di El-Hofra/Costantina, nell‟Algeria attuale). Si tratta di una

divinità (cf. infra) le cui caratteristiche di “padre” in senso ancestrale e di protettore della famiglia, della fecondità umana, animale e vegetale, sono state ben evidenziate in vari studi, monografici e non166.

Quanto ai dettagli del rituale, le notizie non sono precise e talora, anzi, sono discordanti: qualcuno parla di annualità, altri offrono spiegazioni diverse; c‟è chi parla di sacrifici notturni, o accompagnati da musica, altri ancora danno dettagli diversi. Lo stesso avviene, ma solo apparentemente, per le motivazioni del sacrificio. Infatti, a ben vedere, al di là della casistica spicciola, il motivo dominante – che percorre trasversalmente la grande maggioranza delle fonti - è l‟intenzione di scongiurare gravi pericoli a livello tanto sociale che individuale.

Le crisi più gravi (assedi, carestie, epidemie, ecc.) di cui parlano ad esempio Filone di Biblo e Clitarco possono riflettere insieme l‟aspetto civico e quello personale; anche la celebrazione annuale potrebbe integrarsi nel quadro, segnando ad esempio un momento critico nell‟anno, eventualmente celebrato con speciali riti, di cui è sottolineata la riservatezza, se non addirittura la segretezza.

Sembrano comunque attestati nelle fonti classiche sia il livello comunitario che quello più strettamente familiare/individuale di partecipazione. E‟ lecito immaginare che i riti in queste due situazioni differenti avessero delle procedure diverse, con rilevanza e spettacolarità forse maggiori nel caso di pericoli incombenti sull‟intera collettività.

Vi è, in ogni caso, un aspetto fondamentale che occorre sottolineare. Si insiste moltissimo sul carattere votivo del sacrificio, che viene celebrato quando qualcuno tende al raggiungimento di un obiettivo importante: si giura di compierlo una volta ricevuta la grazia. Opportunamente, a questo proposito, va forse ricordato il carattere delle iscrizioni rinvenute nei tofet, tutte di tipo votivo e caratterizzate da un formulario che ricalca gli schemi delle cosiddette “epigrafi di dono” 167.

166 XELLA 1990; su Saturno, fondamentale resta LEGLAY 1966. 167 AMADASI GUZZO 1989-90. Su questo, cf. infra.

Quanto alla tipologia delle vittime, secondo queste testimonianze si tratta in genere di bambini, per lo più piccolissimi, e talvolta le fonti specificano che essi appartengono a famiglie aristocratiche e ai ceti più elevati; non abbiamo specificazione del sesso: non emerge, infatti, alcun elemento collegabile all'ipotesi dei primogeniti (e neppure che fossero solo maschi).

Gli autori classici ci consentono anche di delineare una sorta di rudimentale cronologia di sviluppo nella storia della pratica sacrificale: alcuni di essi (ad esempio Filone di Biblo, ma anche altri) affermano l‟esistenza del rito nella madrepatria fenicia, dandone anche il racconto mitico delle origini: il fondatore sarebbe stato lo stesso dio supremo Kronos-El, ma esso sarebbe stato abbandonato già all‟epoca dell‟assedio di Tiro. Sarebbe stata poi trasmessa a Cartagine come “costume ancestrale” dai padri fondatori (alcuni chiamano in causa la vicenda di Elissa-Didone, ma in realtà in questo caso si tratta di un‟autoimmolazione) e da qui esportato; i sacrifici sarebbero durati fino alla fine di Cartagine, ma poi sarebbero stati ancora praticati in segreto, almeno fino al II-III secolo d.C. nelle campagne del Nord-Africa168.

Senza volere e potere entrare in questa sede troppo nel merito delle questioni, a causa di una sostanziale impreparazione scientifica della scrivente riguardo alle tematiche di approfondimento, andrà non di meno specificato che occorre certo evitare di accomunare indiscriminatamente tutte le informazioni, isolando per esempio quelle fornite in contesti storici o presentati come tali.

Quel che sembra necessario è un'applicazione rigorosa e una distinzione accurata delle informazioni, in base a precisi criteri che vanno più chiaramente meditati e applicati. Si è detto in precedenza, ad esempio, che vanno trattate separatamente quelle testimonianze che chiamano esplicitamente in causa bambini o adolescenti come vittime del rito, distinguendole da quelle che alludono più o