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178 BARTOLONI GARBINI 1999.

4.2 L’insediamento coloniale arcaico

4.2.1 Le diverse componenti “urbane” a confronto: abitato, necropoli e tofet

L‟insediamento di Sulci rappresenta uno di quei casi in cui la non esaustività della documentazione urbanistica induce a considerazioni piuttosto frammentarie e parziali, riguardo al rapporto topografico che le diverse “entità urbane” possano avere tra loro intrattenuto.

Dagli scavi e dalle esplorazioni succedutisi nel centro sulcitano, durante un ampio arco cronologico di rinvenimenti, è stato possibile localizzare l‟abitato arcaico, corrispondente all‟area del cosiddetto Cronicario, posta a nord nella cittadina odierna, in direzione del tofet, ma non si è finora pervenuti ad una precisa individuazione della necropoli corrispondente183.

Per quanto, invece, attiene alla fase punica, la situazione archeologica presenta uno stadio delle risultanze diametralmente opposto: fin dalle prime fasi esplorative del sito, infatti, è nota l‟esatta individuazione territoriale dell‟ampia

183 BARTOLONI 1989 b, pp. 30-31; dell‟impianto cimiteriale fenicio, risalente alla fase arcaica comprendente i secoli VIII-VI a.C., sono note soltanto alcune tombe a fossa, casualmente rinvenute durante lavori di ristrutturazione abitativa e stradale all‟interno dell‟attuale centro di S. Antioco. Si veda anche BARTOLONI 1981 b, pp. 13-29. Su nuove testimonianze dalla necropoli fenicia, cf. BARTOLONI 2004.

necropoli ipogeica ad inumazione184, ma non è stato possibile procedere a nessuna

individuazione certa dell‟abitato coevo.

È, pertanto, poco agevole una riflessione generale sui possibili significati topografici delle componenti urbanistiche dell‟antica Sulci, se non per via esclusivamente suppositiva riguardo alla collocazione di quelle che risultano, tuttora, mancanti.

Le riflessioni che si tenterà di fare saranno, pertanto, non complete e non esaustive, in quanto basate su ipotesi altamente indiziarie che renderanno assai limitata l‟attendibilità di qualsiasi commento; ciò almeno fino a quando non sarà possibile disporre di risultanze archeologiche più aggiornate, che restituiscano un panorama diacronico maggiormente completo ed esauriente.

Se si ritiene che gli insediamenti costieri di età fenicia ricorressero frequentemente alla collocazione dei propri impianti necropolari in prossimità del mare, anche per la Sulci di età arcaica è stato possibile ipotizzare un‟ubicazione della necropoli fenicia in vicinanza dell‟antica linea di costa. Se così fosse, l‟impianto cimiteriale sarebbe situato a sud dell‟abitato arcaico e sarebbe, oggi, in gran parte sottoposto a quello che è l‟agglomerato cittadino moderno185.

Per quanto concerne la necropoli punica, attestata nel tipico impianto ipogeico a dromos ed articolata in diversi settori, la scelta topografica ha, invece, preferito le alture collinari dell‟entroterra contermine186. L‟area in questione non è

184 SPANO 1857; TARAMELLI 1908, pag. 147; PUGLISI 1942, pp. 106 e ss.

185 BARTOLONI 1989 b, pp. 30-33. L‟ubicazione della necropoli arcaica in prossimità del mare è stata suggerita dalla scoperta di una tomba a fossa in via Peret, strada nelle vicinanze di piazza Italia che dalla piazza prosegue verso est fino al mare. La tomba dista dall‟antica linea di costa poco più di cento metri e con ogni probabilità non doveva essere isolata.

186 Si tratta dell‟area delle pendici del Monte de Cresia, in prossimità del fortino sabaudo che sorge sulla sua sommità, cf. BARTOLONI 1989 b, pp. 41-49. Per considerazioni d‟inquadramento generale, cf. BERNARDINI 1990 b, IDEM 1999, IDEM 2003. Su singoli contesti tombali cf. BARTOLONI 1987 b; TRONCHETTI 1997; BERNARDINI 2005 b; MELCHIORRI 2007. Su alcune considerazioni produttive, MELCHIORRI 2006 ed EADEM c.d.s. c.

stata utilizzata in precedenza con l‟obiettivo di un‟analoga funzione funeraria187. Si

potrebbero da ciò inferire alcune osservazioni di vario tipo. In primo luogo, questo elemento potrebbe rappresentare una conferma, seppur indiretta, all‟ipotesi di un‟ubicazione della necropoli fenicia nell‟area costiera, che, attualmente, è occupata dall‟abitato moderno: la necropoli punica, databile tra la fine del VI e il IV secolo a.C., si sarebbe in questo caso impostata e sviluppata occupando lo spazio dell‟entroterra contiguo, in ravvicinate prossimità di quello pianeggiante già occupato dalle sepolture di età precedente.

In secondo luogo, se così fosse, è evidente che non si sarebbe voluto sottoporre l‟impianto cimiteriale arcaico a reimpieghi di alcun tipo, che risultano invece evidenti nel caso delle tombe ipogeiche del periodo punico, su cui sono state sovrapposte unità tombali di età romana e posteriore. Nella fase di passaggio tra l‟età propriamente fenicia (VIII-VII secolo a.C.) e quella di piena influenza cartaginese, che inizia sullo scorcio del VI sec., potrebbe esserci stata, ai fini dell‟utilizzazione funeraria del territorio, la volontà di assumere uno spazio nuovo, che per morfologia del suolo presentasse caratteri di idoneità diversi188.

Oltre alla necropoli di età punica, un secondo complesso appartenente al territorio della Sulci fenicio-punica è stato chiaramente individuato e sottoposto ad indagini di scavo durante decenni ed è quello, appunto, costituito dal tofet cittadino, ubicato in località «Guardia de is Pingiadas» e per il quale è comunemente accettata una datazione compresa tra la metà dell‟VIII e il II secolo a.C. (forse con

187 Nell‟area non è stata rintracciata alcuna preesistenza fenicia. Sulla sommità del colle attualmente occupato dal Fortino sabaudo e alle sue pendici, nell‟area cioè successivamente interessata dalla necropoli punica, sono molto scarse ma non completamente assenti le tracce di una presenza indigena poco consistente; cf. BERNARDINI 1995, p. 194.

188 Sembra più probabile che la tipologia tombale influenzi la scelta topografica dell‟area destinata all‟accoglienza delle strutture tombali, piuttosto che il caso contrario, ossia che la morfologia del territorio disponibile imponga una tipologia congrua alle predisposizioni costruttive del suolo. Come sarà analizzato in seguito, infatti, le necropoli ad inumazione di impianto ipogeico sono uno degli elementi che più fortemente caratterizzano e accompagnano l‟affermazione politica di Cartagine nei territori occupati.

possibili attardamenti nel secolo seguente)189. Si tratta di un‟area sulla cui

connotazione (solo funeraria? Funeraria e santuariale? Solo santuariale?) si è lungamente discusso. L‟elemento rituale doveva certamente avere una valenza predominante all‟interno dell‟area sacra del tofet e trovava realizzazione in atti sacrificali e operazioni cerimoniali variamente attestate. Attualmente, risulta ancora aperto il dibattito sulla fisionomia del complesso, spesso definito come possibile (ed esclusiva) necropoli infantile. I termini della questione tuttavia sono molto più ampi e coinvolgono altri siti e, direi, in modo più esteso un‟interpretazione plausibile - e coerentemente comprovabile - della natura del contesto, che ha visto di recente nuove e più approfondite messe a punto190.

Da un punto di vista topografico, questa struttura è l‟unica che risulti distaccata dall‟agglomerato urbano in modo rilevante e perspicuo, più di quanto avvenga, probabilmente, per ogni altro complesso cimiteriale coevo o posteriore, sia chiaramente localizzato (come la necropoli punica), che semplicemente supposto (come nel caso della necropoli fenicia). È probabile, pertanto, che si volesse ben distinguere il santuario dalle altre entità urbanistiche - comprese quelle di marca più specificamente ed esclusivamente funeraria - assegnandogli ed assicurandogli un raggio di frequentazione autonoma. Il santuario sembra rientrare all‟interno di una sorta di fascia di rispetto adeguata che lo separa fisicamente, territorialmente, idealmente dagli spazi “altri” del centro di riferimento, civilmente attivo, in cui avevano luogo cioè le basilari attività dell‟economia cittadina e del vivere comune191.

Questo “distaccamento” intenzionale della collocazione topografica, rispetto al resto delle sotto-parti del centro civilmente attive, può essere ricondotto alla deferenza devozionale che la popolazione riconosceva a questo luogo, in senso lato,

189 BARTOLONI 1989 b, pag. 51-59. In TRONCHETTI 1989 b, pag. 47, la datazione del tofet è compresa tra VII e I secolo a.C.

190 XELLA c.d.s. Su necropoli infantili nel mondo fenicio e punico di Occidente, si veda la recente pubblicazione di M. Botto, sul complesso di Monte Sirai, cf. BOTTO-SALVADEI 2005.

191 Sugli aspetti storici e documentari degli spazi sacri fuori e dentro la città, cf. BONNET- GARBATI c.d.s.

in quanto area a cui riservare l‟omaggio della visita e della frequentazione della preghiera e dell‟offerta votiva; oppure, potrebbe anche essere imputato ad un tentativo di natura diversa, mirato a delineare una separazione territoriale che fosse ammantata di significati simbolici chiaramente percepibili: da una parte, topograficamente ravvicinate tra loro, area dell‟abitato e aree delle necropoli “ordinarie” ad essa afferenti, nelle quali trovavano collocazione, in vita e in morte, gli individui che avessero già ricevuto un‟investitura di tipo civile, vale a dire il

placet della comunità ad un‟iniziazione sociale, verso il consesso cittadino e la

partecipazione attiva alla vita pubblica della città; dall‟altra, invece, il tofet, come spazio riservato a quanti fossero deceduti prima di ricevere il riconoscimento di tali attributi192.

4.2.2 Le evidenze archeologiche del primo abitato

Come visto sopra, la colonia fenicia di Sulci, fondata approssimativamente alla metà dell‟VIII secolo a.C., presenta per l‟età arcaica due grandi complessi archeologici che permettono d‟inquadrare la prima fisionomia del centro: il tofet, per l‟appunto, e l‟abitato fenicio, che sorge nella zona oggi detta del “Cronicario” (o “area dell‟Ospizio”)193. Risulta, dunque, opportuno tracciare in breve i tratti più salienti

della documentazione offerta da quest‟ultimo, dal momento che all‟analisi specifica del tofet saranno, invece, dedicati alcuni dei capitoli che seguono.

192 In età fenicia e punica le strategie di occupazione del territorio e di applicazione di forme devozionali tra spazi interni ovvero esterni alle città sono un versante di studi complesso, nel quale ora non ci si addentrerà. Per alcune considerazioni di sintesi, l‟articolo dei due autori sopra citati offre ottimi spunti di analisi: cf. ibidem, con bibliografia di riferimento.

193 L‟area archeologica si estende a ridosso delle strutture dell‟Ospizio cittadino, tra le vie Gialeto e D‟Azeglio.

In questi anni sono stati soprattutto gli studi svolti da P. Bernardini a ricostruire l‟aspetto storico più antico del centro, riassumendo e approfondendo anche i risultati dei vecchi scavi svolti nell‟area durante l‟ultimo ventennio circa194.

Le indagini svolte a partire dal 1983, al di sotto della fase di urbanizzazione romana databile al I-II secolo d.C., hanno messo in luce un “quartiere” di impianto regolare, sistemato ai lati di due strade tra loro perpendicolari e costituito da ambienti di pianta rettangolare, provvisti a volte di cortili, pozzi e cisterne per l‟approvvigionamento delle acque.

I dati archeologici più organici provengono dal “settore III”, nel quale sono stati messi in luce numerosi ambienti, perimetrati da murature con zoccolo in pietra e alzato in mattoni crudi; i piani pavimentali (o meglio “di calpestio”) erano realizzati in terra pressata mista ad argilla e scaglie di tufo195.

Nei “settori I e II” dell‟area indagata la fase romana si presentava ben preservata, in uno stato consolidato tale che non ha permesso di svolgere indagini stratigrafiche approfondite. Sembra evidente, tuttavia, che il tracciato viario di età romana avesse ricalcato fedelmente quello di età fenicia (la cosiddetta strada A) e che fossero presenti, ai lati di tale strada, ambienti civili di età fenicia.

Molto più ricco di informazioni per l‟età arcaica è stato, invece, lo scavo del “settore III”, all‟interno del quale fu rinvenuto un ambiente, detto “vano a”, interessante e degno di nota sia per le sistemazioni strutturali idenitificatevi sia per la sequenza di materiali archeologici in esso rinvenuti. Si tratta di un cortile scoperto, dentro al quale era collocato un silo destinato allo stivaggio di derrate alimentari, affiancato da una larga cisterna di forma quadrata. In questo settore sono stati identificati i resti più organici dell‟insediamento fenicio arcaico. Per

194 Si vedano in particolare BERNARDINI 2000, pp. 37-55; IDEM 2001; IDEM 2006, pp. 112- 120; IDEM 2008 e IDEM c.d.s. Inoltre BARTOLONI 1989 b; IDEM 2003 Per le ricerche degli ultimi decenni cf. anche BARTOLONI-BERNARDINI-TRONCHETTI 1988. Sulle indagini più recenti eseguite in una parte dell‟insediamento di età imperiale, cf. CAMPANELLA 2005.

questa sotto-area dell‟abitato sono note presentazioni d‟insieme praticamente complete sulle principali tipologie ceramiche fenicie documentate, nonché sulle importazioni di ceramica greca ritrovate in associazione196. La stratigrafia del vano,

anch‟essa largamente edita, è databile tra il 750 e il 650 a.C. ed è relativa alla messa in opera e uso dell‟ambiente (mediante un battuto di argilla e la collocazione del silo per stivaggio) e al suo rialzamento successivo con la realizzazione di un battuto superiore che occlude il silo.

I materiali archeologici, soprattutto ceramici, che provengono da tale sequenza stratigrafica sono stati abbondanti e di grande rilievo, in quanto documentano un orizzonte produttivo fenicio molto arcaico ed omogeneo; inoltre, emergono con forza molti elementi “spia” di contatti (evidentemente commerciali) con elementi allogeni, come quello greco. Tra i materiali fenici sono da menzionare abbondanti attestazioni di anfore, integre o frammentarie, che riportano alla seriazione arcaica mediterranea individuata da J. Ramón Torres (“serie 3” e, in misura minoritaria, “serie 10”)197. Quasi altrettanto numerose le pentole e

marmitte, sia prodotte a mano che, in percentuale minoritaria, al tornio198. Inoltre

forme tipiche dell‟orizzonte arcaico: la brocca lobata, l‟attingitoio, la situla, le

oinochoai di vario tipo come la brocca con ansa sormontante e orlo ribattuto, la

brocca con orlo circolare espanso e la brocca con imboccatura bilobata; i bacili e le spiane. Tra le forme aperte copiosa è la documentazione dei piatti arcaici, con seriazione tipologica affidabilissima, e le coppe carenate fenicie. Sono poi presenti coppe greche d‟importazione199 e recipienti d‟imitazione greca, che ripetono moduli

morfologici e decorativi della fase media e tardo-geometrica continentale,

196 Un quadro dettagliato delle tipologie ceramiche fenicie e dei riferimenti bibliografici puntuali per ciascuna di esse in BERNARDINI 2006, p. 116.

197 Si veda anche i tipi Bartoloni A1/A2, B1/B2 in BARTOLONI 1988 a, pp. 27 e ss.; pp. 32-33; IDEM 1992a, pp. 198-199.

198 BERNARDINI 2000, pp. 53 e ss. BARTOLONI 1990, pp. 42-43, pp. 70-72; IDEM 1992 a, pp. 193-194.

199 Per esempio la coppa “à chèvrons” di probabile fattura euboica, ritrovata in associazione alle coppe fenicie di imitazione greca, cf. BERNARDINI 2006, p. 116.

ricollegabile ai repertori formali euboici (soprattutto pithecusani). Tutta la ceramica finora pubblicata, pertanto, è riconducibile a forme di repertori tipicamente fenici (orientali o occidentali), di fattura fenicia ma d‟imitazione greca, oppure a evidenti importazioni greche (di marco soprattutto pithecusano).

La ricchissima documentazione di vasellame greco importato fa intuire per la Sulci di VIII e VII secolo una circolazione di prodotti alieni e di pregio, dietro alla quale è ipotizzabile un traffico di commerci e persone molto attivo e vitale200.

Come dato assolutamente singolare, va segnalata l‟assenza totale nei livelli arcaici dell‟insediamento del Cronicario di ceramica nuragica. Come sarà meglio analizzato nei Capitoli 7 e 8 che seguono, quest‟ultima risulta, invece, largamente documentata nel tofet, almeno come tradizione artigianale riconoscibile, in modo più o meno lampante secondo i casi, in molti dei contenitori usati come cinerari. Il fatto meriterà considerazioni aggiuntive, che saranno eseguite in riferimento ad un confronto più diretto e circostanziato con la documentazione materiale del santuario, più avanti presa in esame.

200 Per altri esempi di ceramica greca importata, rinvenuti nella porzione occidentale del “settore II”che fu, tuttavia, fortemente sconvolto dalle operazioni di risistemazione urbana di età romana, si vedano anche le kotylai con decorazione a uccelli, le lekythoi, le coppe Aetòs 666, quelle del Protocorinzio antico e gli aryballoi globulari decorati a fasce riportati in BERNARDINI 2006, p. 120.