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di ogni sito; si vedano in proposito soprattutto BEN YOUNÈS-KRANDEL 2002 e il lavoro inedito d

CAP 3 ASPETTI STORICO-RELIGIOS

3.1. Dato archeologico e storia delle religioni: problemi di metodologia

Tanto il taglio quanto l‟argomento della presente ricerca suggeriscono, in questa sede, una riflessione di tipo metodologico sul raggio d‟azione e i metodi che l‟approccio archeologico e quello storico-religioso debbano provare a perseguire. Senza pretese di esaustività o sistematicità, si presenteranno qui di seguito alcune considerazioni che mirano ad evidenziare sia l‟indispensabile sinergia tra le discipline, sia gli approfondimenti e gli arricchimenti di cui beneficia l‟indagine archeologica, se si apre all‟apporto della storia delle religioni.

L‟archeologia e la storia delle religioni146 sono, evidentemente, entrambe

discipline a vocazione storica, ma con percorsi differenziati, se non addirittura inversi nella loro direzione. La prima, l‟archeologia, parte dal dato archeologico per tentare di arrivare, dopo una serie di passaggi complessi, all‟interpretazione storica; la seconda, la storia delle religioni, privilegia tradizionalmente il documento scritto, ma deve avvalersi - per arrivare alla stessa interpretazione storica - dei dati archeologici, così come di tutti gli apporti che le possono venire da altre discipline vicine. In un certo senso si può dire che i due percorsi s‟incontrino a metà cammino.

All‟archeologo spetta il compito di “far rivivere” il dato, ricontestualizzarlo da ogni punto di vista e interpretarlo nel modo più esauriente, in teoria, anche per

146 Le considerazioni qui presentate si basano fondamentalmente sui più recenti risultati delle ricerche in questa direzione, culminate, almeno per quanto riguarda l‟Italia, in due convegni tenutisi entrambi a Roma negli ultimi anni. Si tratta da un lato di “Archeologia e religione” (C.N.R., 15 dicembre 2003), i cui atti sono stati pubblicati in ROCCHI - XELLA 2003; e “Storia delle religioni e archeologia”, tenutosi all‟Università di Roma “La Sapienza” nei gg. 3-5/6/2008, e i cui atti sono in corso di stampa a cura di I. Baglioni. In queste opere si troverà una bibliografia specifica e dettagliata.

quanto riguarda le sue valenze religiose. Lo storico delle religioni, da parte sua, esamina la documentazione da una sua peculiare prospettiva che lo guida nel tentare di individuarvi quelle valenze che - sulla base di un prototipo di religione costruito su elementi minimali (cioè, ad esempio: la tendenza umana a cercare e presupporre un fondamento extra-umano agli aspetti della realtà che appaiono più importanti) - risultano parte di un “sistema” ideologico e comportamentale, diverso da cultura a cultura.

Se l‟archeologo possiede una sensibilità e una preparazione storico-religiosa adeguate, potrà anch‟egli inoltrarsi su questo cammino, proponendo interpretazioni orientate in tal senso. Come esempio si può addurre l‟individuazione della funzionalità cultuale di determinati edifici o ambienti o spazi che, per esclusione o in base a una serie di indizi, non appaiono adibiti a scopo abitativo, funerario, commerciale o di deposito e immagazzinamento, oppure altro ancora. Si propone di conseguenza che si abbia a che fare con un tempio o un santuario.

Innanzitutto, occorre accordarsi in partenza e convenzionalmente su un‟accezione minima da conferire al termine “tempio”. Dal momento che ancora non si sa cosa possa significare “religione”, “religioso”, “culto”, nell‟ambito delle cultura di cui ci si occupa, ci si limiterà a stabilire qui che con “tempio” si intende designare un edificio (in tutto o parzialmente costruito) documentabile archeologicamente, che risulta non essere semplicemente adibito ad uso abitativo, ma che rivela una funzionalità e un‟articolazione diverse da quella puramente domestica, di magazzino o funeraria. Si escluderanno pertanto le abitazioni, i locali di immagazzinamento, le tombe e/o i mausolei, le postazioni militari e di osservazione, gli ambienti a uso o valenza commerciale e via dicendo.

In tal modo, prendendo a caso una qualunque area culturale, avremo a che fare con resti archeologici consistenti in uno o più ambienti, che possono in parte,

ma non in tutto e non esclusivamente, essere stati usati per funzioni quali quelle sopra accennate.

Il primo passo da compiere consiste nella descrizione del complesso, più dettagliata e accurata possibile, ma alla quale non manchi anche il “respiro” di una prospettiva d‟insieme. Su tale base, occorrerà decidere se ciò che ci sta davanti rientra o meno nella definizione generale di “tempio” sulla quale ci siamo preliminarmente accordati. Se tale impianto non risulta essere stato adibito a esclusivo uso abitativo, economico, militare o funerario, ma rivela anche funzioni diverse, allora esso sarà per noi un “tempio”.

L‟archeologo che effettua la ricognizione preliminare dirà, a questo punto, che vi sono uno o più ambienti destinati a ospitare “qualcuno”, giacché si individuano, sempre a titolo di esempio, impianti idraulici o loggette per l‟illuminazione o appositi spazi per contenere derrate alimentari e per la preparazione di sostanze commestibili. Che questo “qualcuno” non sia uno (o più) essere/i umano/i lo può dimostrare, ad esempio, la presenza di simulacri (statue o simili, in stato di conservazione vario) raffiguranti personaggi extra- o sovra-umani (possono essere “divinità”, “eroi”, antenati ...: in questo momento, tuttavia, ci si asterrà dall‟usare termini troppo specifici). Vi si possono trovare locali adibiti allo stoccaggio di beni, all‟alloggiamento di vario personale, vi può essere un‟area a cielo aperto e territorio agricolo all‟intorno, ovvero possiamo avere di fronte un unico ambiente.

Una volta descritto l‟impianto, analiticamente e strutturalmente, e individuatane la funzione (operazione non sempre così scontata), ci si dovrà porre la seguente domanda: chi e come può studiare scientificamente e al meglio tali evidenze?

Dobbiamo anzitutto tenere conto che, per la conoscenza del “tempio” in questione, possiamo disporre potenzialmente di fonti di vario tipo. In primo luogo, come si è detto, di fonti archeologiche dirette trovate in loco (resti di strutture,

oggetti, etc.); in secondo luogo, di fonti - sempre dirette - ma di carattere scritto: ad es., testi o archivi di testi rinvenuti nell‟area templare; in terzo luogo, di fonti indirette, iconografiche o scritte, che possono essere più o meno esplicitamente rapportate al nostro tempio: sia altri testi/documenti che vi alludono direttamente senza essere stati trovati in situ, sia altri testi/documenti che ci forniscono informazioni generiche sui “templi” in riferimento ad una determinata cultura. Ecco dunque che le nostre “semplici” strutture archeologiche sono diventate la punta di un iceberg conoscitivo che coinvolge (e trascina) tutte le fonti possibili e tutti gli aspetti di quella cultura.

Il primo approccio viene compiuto, come si è visto, dall‟archeologo, a cui si deve l‟individuazione o la scoperta del luogo, l‟averlo portato alla luce e l‟aver interpretato dal suo punto di vista le strutture costitutive. Il tutto può naturalmente essere sottoposto ad uno studio architettonico più ampio, mirato ad esempio a coglierne senso spaziale (planimetrico e volumetrico), stato di conservazione delle strutture documentate, ubicazione e funzionalità di tale complesso nel quadro urbano e extra-urbano del sito/centro antico di riferimento; ci si può anche rivolgere ad una riflessione sulla tipologia e sulla possibile origine del tipo in un più ampio quadro di generalità tecniche costruttive (costanti e variabili), non tralasciando nessuna delle sue peculiarità proprie e studiando (o almeno provando a studiare) in quali elementi esso si differenzi eventualmente da altre costruzioni, e via dicendo.

Un altro approccio può essere di tipo specificamente economico, vòlto per esempio a mettere in luce il ruolo del tempio come centro di produzione e/o di materiali (alimentari o no), di conservazione e di accumulazione (di cibo, di materie prime, di beni preziosi), o come fonte di sussitenza per gruppi più o meno eterogenei e più o meno numerosi di persone, sempre in un quadro integrato del sistema economico di una cultura specifica. E‟ anche possibile che il tempio sorga isolatamente rispetto a eventuali centri abitativi, e andranno in questo caso studiati

i rapporti con la città/villaggio, le vie di accesso e di comunicazione, la presenza continua, temporanea o sporadica di persone. Andrà ancora verificato se tali persone siano direttamente produttive - ad es. allevino bestiame o coltivino campi - ovvero vivano “parassitariamente” dei proventi/prodotti del tempio.

Ancora un altro approccio potrebbe definirsi politico. Esso consiste, ad esempio, in una verifica dei rapporti del tempio con un eventuale potere centrale: se il re - qualora ve ne sia uno - lo frequenta, ovvero se esso è posto vicino, o connesso, o addirittura incorporato alla sede del potere, e via dicendo.

Come si vede, tutti questi approcci hanno una cifra peculiare ma, allo stesso tempo, sono anche tra loro strettamente interrelati, e sembra disagevole - o forse addirittura impossibile - tracciare una precisa linea di confine tra lo studio architettonico-urbanistico, quello storico-politico e quello socio-economico. Tutti questi approcci, per quanto tecnicamente possano e debbano ritenersi autonomi (si pensi soprattutto all‟approccio architettonico), rientrano sempre e comunque in un ambito storico ben più generale: ognuno di essi ha senso solo se contestualizza storicamente le notizie che guadagna e se interroga le fonti secondo una metodologia storica generale. Ancora, altra osservazione di importanza fondamentale: essi hanno tutti il medesimo oggetto, cioè quello che abbiamo definito “tempio”, e studiano quindi la stessa documentazione. Se ne dedurrà che

non è l‟oggetto a caratterizzare una disciplina, ma il metodo che essa impiega e gli specifici obiettivi (quelli che definiamo “domande”) che pone e persegue.

A questo punto, si pone il problema dell‟approccio a questi materiali da parte dello storico delle religioni. Proprio come l‟architetto e l‟economista, lo storico delle religioni dovrà interessarsi a/e conoscere il massimo numero di notizie risultanti e guadagnate dagli altri approcci, ma dovrà a sua volta porsi una serie di domande che, dal suo specifico punto di vista, attendono risposte che gli altri specialisti non sono in grado di fornire, o che comunque sarebbero meno esaurienti delle proprie.

Semplificando al massimo, alcune di queste domande potrebbero essere, per esempio, le seguenti:

- quali motivazioni hanno spinto gli uomini di quella cultura a costruire l‟edificio-tempio?

- quali sue specifiche funzioni, oltre quelle già accertate, sono ravvisabili? - quali specifici significati, a livello ideologico e simbolico, esso veicola? - chi è/sono il/i destinatario/i di tale struttura architettonica?

Anche e soprattutto in questo caso le risposte dovranno essere contestualizzate, in un approccio vòlto a cogliere significato e funzioni del tempio in una prospettiva storicamente dinamica e aperta a confronti. Ad esempio, non ci si accontenterà di verificare che il tempio è ritenuto dimora di un personaggio sovrumano, ma di quest‟ultimo occorrerà cercare di individuare morfologia (= caratteri e attribuzioni) e storia, nonché i suoi rapporti, potremmo dire in senso orizzontale, con esseri simili a lui o, in senso verticale, con gli uomini che lo pongono al di sopra di essi (se non altro, ritenendolo degno di una dimora speciale). Inoltre, andrà anche verificato se questo tempio abbia una sua storia, quali confronti siano istituibili (sul piano, certo, morfologico, ma anche su quello dell‟ideologia, in questa cultura e in altre storicamente prossime), se esso abbia avuto antecedenti e come questi siano eventualmente caratterizzabili, a chi era dedicata la costruzione che eventualmente lo precedeva, etc.

Un‟altra domanda che gli altri storici generalmente non si pongono (almeno istituzionalmente) concerne l‟attività, gli specifici eventi che accadevano fuori o dentro il tempio e che erano strettamente connessi all‟ideologia soggiacente. In altri termini, che tipo di azioni (va sottolineato che occorre parlare, con cautela, di concetti quali “culto”, “rito” o “preghiera” ...) si compivano, in che forma, in che epoca e a quale scopo, quali simbolismi se ne possano dedurre e così via. Si

potrebbe continuare a lungo, ma forse il quadro è già sufficientemente esauriente e rappresentativo della problematica che ci interessa.

Le considerazioni finora proposte sono, ovviamente, riferibili ad un caso teorico e ideale, ma forse più di frequente - sebbene non lo si possa pretendere - chi pratica l‟archeologia dovrebbe cercare tempo e mezzi per elaborare problematiche anche di tipo storico-religioso che vadano al di là del singolo documento o complesso di documenti. Sarebbe necessario e proficuo considerare il rapporto di connessione con altri, simili o diversi, della stessa cultura, cercando di delineare questioni comparative ad ampio spettro e a largo respiro diacronico, coinvolgendo all‟occorrenza altre culture (non necessariamente solo antiche). Lo sforzo di chi guarda, da un punto di visto archeologico, dovrebbe essere esteso anche in queste direzioni, intraprendendo anche tali cammini interpretativi, ma a condizione, certo, di non invadere arbitrariamente competenze altrui e di non “snaturarsi”; tentando cioè di acquisire una particolare specifica sensibilità che gli faccia cogliere e formulare problemi di ordine diverso, di avvalersi di metodologie differenti dalle proprie e che sole permettono di penetrare in una dimensioni analitiche altre.

L‟ideale sarebbe che, da un lato, gli archeologi avessero tale sensibilità storico-religiosa e la padronanza delle metodologie specifiche; e che, dall‟altro, gli storici delle religioni risultassero tanto propensi alle scienze archeologiche, da poter affrontare direttamente la documentazione e risolvere essi stessi, dal loro angolo di visuale, i difficili problemi di interpretazione e contestualizzazione. Di norma l‟attuale tendenza alla specializzazione sempre più spinta ci dice che non è così. Pertanto la parola d‟ordine che si impone è ben nota, ma non sempre applicata: collaborazione interdisciplinare.

Per quel che riguarda la presente ricerca, è stata certo privilegiata la prospettiva storico-archeologica che, per formazione personale e per interessi specifici sviluppati, è la «matrice» originaria di provenienza; non di meno, si è cercato d‟integrare più apporti interdisciplinari possibili, al fine di approfondire

l‟analisi di taglio archeologico e di interpretare, secondo domande e risposte che non siano necessariamente e comunque esclusivamente relegate alla lettura del singolo dato archeologico concreto.