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178 BARTOLONI GARBINI 1999.

CAP 5 PRESENTAZIONE DEL CONTESTO E STORIA DELLE RICERCHE

5.1 Descrizione topografica, fisica ed archeologica del contesto

Come già detto in precedenza201, il tofet di Sulci sorge ai margini

settentrionali dell'abitato (FIG.1), non lontano dalla necropoli ad inumazione di età punica, ubicata nella collina del Monte de Cresia. L'area, nota nella toponomastica locale con il nome di “Sa Guardia de is Pingiadas” (“la guardia/vedetta delle pignatte”), si presenta fisicamente come un grande massiccio roccioso, che sta oltre la linea finora riconosciuta delle mura cittadine, databili al IV secolo a.C. (TAV. 1 a- b)202.

Il recinto murario che circonda oggi l'area è di epoca moderna e in nessun modo ricalca né riprende il tracciato di una precedente delimitazione antica. L'evidenza di strutture murarie altre, interne all'area, risulta a tutt'oggi di problematica lettura: dovevano forse esistere alcuni allineamenti murari rettilinei, in tecnica costruttiva “a secco” (non meglio precisabile), ma attualmente sono rintracciabili sul terreno resti molto scarsi e in pessimo stato di conservazione. Di queste strutture, si ha tuttavia notizia da pubblicazioni ormai datate riguardanti i primi ritrovamenti in Sardegna: in particolare, fu S. Moscati, nel 1968, a sostenere l'esistenza di una recinzione parzialmente conservata, di cui restano alcuni grossi blocchi parallelepipedi perfettamente squadrati e bugnati.

L'edificio in questione, a pianta rettangolare, può forse essere identificato con quello collocato nella parte sommitale dell'area (TAV. 2a), databile a non prima del IV-III secolo a.C. e, a quanto risulta oggi, difficilmente collegabile ad una cortina

201 Cf. 4.2.2.

202 MOSCATI 1992, p. 26. Si rimarca il fatto che la datazione al IV secolo si basa su elementi puramente indiziari, non completamente affidabili quindi.

perimetrale antica di riferimento203. L'autore segnala, inoltre, la presenza di cortili

interni, quadrangolari e di diversa ampiezza, vale a dire un grande cortile che ne include tre; di questi, due sarebbero uno dentro l'altro, nella fascia occidentale, il terzo si trova a valle, nella parte centro-orientale dell'area. Anche di questi resti, attualmente, si ritrova sul terreno una traccia minima. Sebbene non convincente fino in fondo e comunque attualmente non comprovabile sulla base di un riscontro diretto e su una rilettura dei dati precedentemente raccolti e presentati da Moscati, può forse essere ipotizzato che si trattasse di muretti di piccole dimensioni e di impegno costruttivo assai modesto, approntati in modo approssimativo, in opera a secco e che, in quanto tali, siano stati facilmente spoliati nel corso dei secoli. Sta di fatto che, secondo recenti analisi di tipo autoptico eseguite sul banco roccioso, non resta in esso traccia alcuna di trincee di fondazione, né alcun taglio o incavo riconducibile a interventi antropici funzionali all'erezione di tali murature.

Di conseguenza, non potendo disporre di dati cronologici desumibili dall'analisi architettonica o semplicemente strutturale, la cronologia delle fasi di vita del complesso archeologico - la più antica, in particolare - è ipotizzabile soltanto sulla base dei reperti mobili rinvenuti. È, pertanto, ben comprensibile l'enorme importanza ricoperta dai cinerari e, per le fasi più tarde, dai cinerari in associazione alle stele.

La corretta analisi dei loro contesti di ritrovamento rappresenta l'unico elemento valido per ogni tentativo di seriazione cronologica interna del santuario.

Non avendo a disposizione rapporti, anche parziali, dei primi scavi sistematici nell'area, condotti sotto la direzione di Gennaro Pesce prima e di Ferruccio Barreca poi, le poche informazioni descrittive generali di cui si disponeva,

203 Per l'edificio in questione, sarà adottata di qui in avanti la denominazione di “Edificio A”, utile in questa sede ad un richiamo più diretto ad elementi archeologici presenti nell'area

a metà degli Anni 90, si ritrovavano in opere di divulgazione scientifica più generale, spesso collegate allo svolgimento del rito204.

Attualmente, l'altura, in tufo trachitico di origine vulcanica, si presenta molto frastagliata, con forti dislivelli su tutta l'area e con una superficie irregolare scandita in numerosi piani, a diversa pendenza (TAV. 2 a-b).

Gli incavi del substrato roccioso presentano varie morfologie e dimensioni e sono di formazione naturale oppure antropica, come sembrano dimostrare alcuni tagli netti ed evidenti disposti, senza ordine apparente, su tutta la superficie. Con ogni probabilità si tratta di modifiche e di interventi volontari che, tuttavia, non è possibile datare in alcun modo, nel corso dei secoli, se non in corrispondenza dei cinerari rinvenuti al loro interno. Le urne ceramiche, utilizzate con funzione di cinerari, venivano alloggiate negli incavi (TAV. 3, a-b-c), a diretto contatto con la roccia, senza particolari precauzioni; il più delle volte furono ritrovate disposte in livelli singoli oppure doppi, solo saltuariamente erano sovrapposte in tre livelli di deposizione (TAV. 4).

Talvolta, in associazione alle urne furono ritrovate grandissime quantità di stele, addossate alla roccia o, talvolta, anch'esse incastrate nel sub-strato geologico, seppure sulla sua superficie (TAV. 5a). Gli incavi destinati alle urne presentano, invece, spessori più profondi, fino a 0.20-0.30 m di altezza. La zona del santuario più ricca di materiale lapideo è quella centrale e orientale.

Larghe parti del santuario sono state scavate e quindi sono, attualmente sgombre dai materiali archeologici; gli esemplari originali raccolti nel corso degli anni sono conservati presso l'adiacente Museo comunale “F. Barreca” e presso la Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano, nei locali della Sede Operativa di S. Antioco. Al fine di restituire alla percezione odierna un'idea dell'originaria conformazione generale del santuario e di buona parte di tutte le sue componenti, nella parte sommitale e in quella centrale dell'area sono state posizionate numerose

204 MOSCATI 1992, pp. 25-26.

riproduzioni moderne di contenitori cinerari e di stele lapidee; nella quasi totalità dei casi, i cinerari sono costituiti da urne di forma standardizzata, dotate di coperture a piatto di tipo ombelicato. Le imitazioni di stele, invece, sono anepigrafi e a volte presentano decorazione iconica di tipo antropomorfo; sono sempre prive di raffigurazioni composite. In alcuni casi, sono presenti calchi in gesso che riproducono stele con raffigurazione a edicola, nella parte superiore, a spazio vacuo. In altri, sono state lasciate nell'area, oggigiorno sottoposta a sorveglianza, frammenti di stele antiche, con raffigurazioni di tipo iconico.

Gli interri finora scavati sono piuttosto modesti: oltre a frammenti riconducibili al recipiente ceramico principale, usato come unità di deposizione, in alcuni casi sono stati ritrovati anche piccoli frammenti di ceramica di tipo miniaturistico. All'inizio delle attività di scavo, nella zona centrale del santuario furono individuati accumuli terrosi di matrice argillosa e di consistenza compatta, disposti trasversalmente, in senso est-ovest, e costituiti da materiali ceramici molto frammentari, databili ad epoche disparate (dall'età nuragica alla fase romana)205.

Attualmente le superfici rocciose, messe in luce ed evidenziate dopo le operazioni di rimozione e ripulitura dagli accumuli terrosi, rivelano un'inclinazione estremamente irregolare e tendenzialmente discendente da ovest verso est. Nella parte settentrionale, a nord dell'edificio a pianta rettangolare in grossi blocchi di trachite rossa, squadrati e bugnati, il deposito archeologico è ancora intatto e la zona presenta ricca vegetazione di arbusti.

All‟interno dell' “Edificio A”, si trova un'ulteriore recinzione che sembrerebbe delimitare un‟area particolarmente “riservata”, dove fra l‟altro sono state rinvenute alcune delle urne più antiche (coeve comunque a quelle che sono state trovate in altri punti, in particolare l‟anfratto roccioso che si trova esattamente di fronte allo

205 I materiali rinvenuti non sono ancora stati oggetto di analisi approfondita; è dunque improprio, allo stato attuale delle conoscenze, specificare in modo più dettagliato le cronologie di riferimento.

spigolo sud-orientale della struttura)206, mentre dall‟altro lato, non compresa

all‟interno di quest‟ultima recinzione, si trova una cisterna a bagnarola, di età tardo-punica o romana.

Nella parte immediatamente a nord-ovest dell'edificio, è presente la maggiore prominenza trachitica di tutta l'area (TAV. 5b), che è il punto di quota in assoluto più alto non solo del tofet, ma anche di tutta l'area circostante. Sulla sommità si trova un segno inciso, del quale non è chiaro il significato in questo contesto. Per ragioni di economia interna al presente lavoro e per un più chiaro e diretto riferimento alle differenti parti fisiche del santuario, tale formazione rocciosa sarà in seguito denominata “Sperone 1”. In generale, va detto che tutti gli speroni rocciosi, ad altezza variabile, che si ergono dai piani irregolari delle superfici inferiori, presentano la tipica conformazione “a groviera”, dovuta all'erosione eolica. Riguardo ai piani utilizzati in antiquo come livello di camminamento, il percorso di attraversamento dell'area non risulta chiaro e definibile. Possiamo ipotizzare che avvenisse a livello della roccia vergine, ma non possiamo ricostruire se esistessero sensi preferenziali di marcia; sembra evidente che tutt'al più le superfici siano state, in alcuni parti, spianate e in parte regolarizzate, ma non vi è traccia di ulteriori interventi.

A ovest di questa roccia (“Sperone 1”), in una parte del banco trachitico dotato di una fenditura naturale, sono state trovate abbondanti tracce di combustione e di resti ossei, che hanno indotto a ipotizzare che questo fosse uno dei probabili luoghi di allestimento dei roghi207.

206 BARTOLONI 1989 c, p. 54.