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152 LEGLAY 1966; XELLA 1991.

3.3 Per una definizione euristica di “spazio sacro”: nuovi element

Come si è già anticipato, l‟interesse di uno studio applicato più generalmente ai tofet, in senso non prettamente e non esclusivamente archeologico, sta proprio nelle potenzialità conoscitive che tali contesti presentano - potremmo dire - intrinsecamente, per l‟intrecciarsi in essi di più piani d‟analisi, più dimensioni di lettura. Sulla base del dato archeologico, le problematiche che si aprono sono certo plurisfaccettate e collegate alle molteplici variabili del “culto”, e vanno forse gradualmente, se non risolte, quanto meno messe a fuoco e proposte come punti di domanda centrali dell‟indagine.

Anche nella definizione del concetto di spazio sacro, o meglio nella determinazione dei processi di definizione di uno spazio “consacrato”, come nella identificazione di “tipologie di santuari”, è centrale nel focus dell‟indagine la precisazione di una serie di “categorie analitiche” interne al concetto stesso, utili, cioè, proprio alla definizione del “dove”, simbolico e concreto, venisse svolto il culto155. Questo implica tutta una serie di difficoltà esplicative, sia a livello

terminologico che concettuale e occorre, innanzitutto, individuare una gerarchia tipologica, capace d‟identificare il “dove mentale” (lo spazio consacrato, in generale), il “dove topografico” (il luogo sacro, ovvero lo spazio fisico nello specifico) e infine il “dove architettonico” (l‟edificio sacro, spazialmente delimitabile)156.

Nel caso dell'individuazione dei tre ambiti (1. lo spazio sacro; 2. il luogo sacro; 3. l‟edificio sacro), il più delle volte l'uno conseguente all'altro, potremmo dire, ma non sempre perfettamente coincidenti, la distinzione va forse superata, nel caso dei tofet, nella misura in cui le tre tipologie del “dove religioso” arrivino a coincidere.

155 Per l‟intera problematica qui trattata è indispensabile fare riferimento ai contributi, variamente orientati in senso disciplinare e metodologico, contenuti in DUPRÉ RAVENTOS – RIBICHINI – VERGER 2008.

E‟ largamente risaputo e acquisito che lo spazio cultuale dei tofet è sicuramente uno spazio rituale aperto, nella duplice accezione di privo di recinzione (nella maggior parte dei casi per lo meno, e ci si riferisce ai contesti più arcaici, che sono privi di un vero recinto, nel senso di temenos edificato ad hoc). Inoltre, l' “apertura” dei tofet è anche e soprattutto nel senso di aree sacralizzate

open area, che potremmo leggere anche come sinonimo di contatto fisico, contatto

diretto tra sfera dei devoti (dimensione terrestre) e sfera del divino (dimensione celeste, sicuramente, ma anche forse ctonia, rupestre, nei casi, come appunto quello di Sulci, in cui il santuario sia impostato direttamente sulla roccia. Inoltre: mondo ctonio è quello di deposizione e di rimando “ideologico” e spirituale dei defunti). Vi è dunque un contatto diretto tra fedeli, le loro offerte alla divinità e la divinità stessa. Inoltre, visto che molto si dibatte sull‟esistenza o meno, all‟interno degli spazi “sacri-consacrati”, di una possibile distinzione tra la cosiddetta “area del rituale”, “area del cultuale” e “area destinata al lascito dei fedeli” (alle offerte, appunto), ci si chiede se, nel caso del tofet, le tre tipologie di spazi collegati allo svolgimento della pietas dei fedeli non possano forse coincidere, o per lo meno non avere una così netta differenziazione spaziale (si ricorda che dal punto di vista archeologico sono molto pochi e anche molto vaghi gli elementi indiziari in merito).

Va tenuto bene a mente, in un'analisi fondata su basi e presupposti di tipo storico-religioso, il concetto di “funzione operativa” dei santuari.

Partendo dal presupposto che la nozione di “spazio sacro-consacrato” è estremamente polisemica, in quanto si applica alle diverse situazioni e va, volta per volta, precisata e forse anche “adattata” al contesto in esame, nel nostro caso specifico come può trovare utile applicazione? Possiamo intanto iniziare a chiederci quanto segue: innanzitutto, è possibile isolare una sola funzione oppure, come a me sembrerebbe, confluiscono nei contesti tofet più funzioni operative? Possiamo verisimilmente e a buon diritto parlare di una funzione multipla dei tofet, sicuramente politica (nel senso etimologico del termine), ma anche terapeutica e

certamente sociale. E in questa direzione, anche la nozione di “rituale” deve essere ripresa nello specifico, al di là di concettualizzazioni tradizionali troppo rigide.

La lezione da trarre dalla più recente riflessione metodologica è dunque l‟esigenza assoluta di rifuggire da categorizzazioni troppo rigorose e limitate, optando invece per un concetto di “spazio consacrato” (assai meglio che sacro) polisemico e molto flessibile.

Riconfrontandoci allora con il problema del tofet, appare evidente come questo particolarissimo santuario non risulti inquadrabile nelle definizioni correnti degli edifici/luoghi di culto. E‟ anzi indispensabile un suo inquadramento tipologico e funzionale non già fondato su nozioni generali e astratte, bensì nell‟ambito di quanto si sa sullo spazio consacrato fenicio e punico157 e,

riprendendo un‟espressione di C. Bonnet, su “dove vivono gli dèi”158, secondo i dati

desumibili dalla stessa terminologia fenicia e punica.

Mentre la fedeltà, anche linguistica, alla cultura oggetto di studio deve essere un criterio fondamentale della ricerca, essa però non risolve automaticamente i problemi definitori creati dalla constatata polifunzionalità del tofet: territorio “consacrato” strappato al contesto territoriale “profano”, a sua volta carico di sacralità pluridimensionale (probabile presenza di cappelle, altari, zone di deposizione e altri settori di una geografia sacra interna); polo di una comunicazione umano-divino in senso verticale biunivoco; centro di raccolta sociale, nel senso di punto di riferimento di una rete di comunicazione caratterizzata da condivisione di problemi, bisogni, richieste di aiuto, riti volti ad ottenere l‟appoggio divino anche in più fasi e tempi …

Anche se non sono mancate e non mancano, attualmente, riflessioni metodologiche che hanno prodotto intelligenti proposte di terminologia relativa a

157 A tale proposito si rimanda ancora agli studi di I. Oggiano, in particolare OGGIANO 2005 e 2008.

158 BONNET 2008. Si noti tuttavia, a questo riguardo, che le fonti epigrafiche non danno precise indicazioni su come venisse chiamato il tofet, essendo teoricamente possibile che venisse definito sia bet sia qodesh, termini comunque generici ed etimologicamente poco significativi ai nostri fini.

edifici e luoghi di culto159, appare più saggio, nel caso del tofet, utilizzare

eventualmente in un secondo tempo griglie definitorie precostituite, in attesa di ricostruire pazientemente – attraverso la raccolta di risultati nei vari settori documentari – quanto meglio possibile la fenomenologia di questo santuario nei suoi tratti specifici e negli aspetti generali e condivisi.

159 A titolo di esempio, per l‟area del Levante, cf. le proposte di HOLLADAY jr 1987, il quale distingue tra sanctuary (una struttura ampia e multicomponente che incorpora entro un disegno complessivo anche gli spazi esteriori, ad es. la corte e il temenos); shrine (più piccolo e semplice del

sanctuary, generalmente una singola unità, per es. una semplice stanza dedicata alle attività

cultuali); lo shrine tende ad essere integrato nel contesto circostante, mentre il sanctuary lo domina e lo definisce); temple (il termine andrebbe utilizzato solo per un santuario di certe dimensioni e importanza). L‟archeologia tedesca (per es. L. Lundquist, W. Zeickel, ma anche altri studiosi) ha di recente anche proposto varie terminologie, articolate in Tempel, Kapelle,

Nebenraum, Kultstätte, distinguendo altresì tra culto privato e culto pubblico. Cf. in generale gli