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I chiarimenti e le aperture concettuali contenuti nella Comunicazione

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 153-156)

CAP. VII

1. La Comunicazione “interpretativa” della Commissione sulla distinzione tra rifiuto e sottoprodotto

1.1. I chiarimenti e le aperture concettuali contenuti nella Comunicazione

La comunicazione distingueva, innanzitutto, tra prodotti, che non costituiscono mai rifiuti, e residui di produzione, che possono essere considerati sottoprodotti a de-terminate condizioni (punto 3.2. della Comunicazione).

Indizi che la sostanza o l‟oggetto fossero un prodotto e non un residuo venivano individuati nella circostanza che il produttore, pur potendo farne a meno, avesse deciso per scelta tecnica di produrre la sostanza in questione, e che a tal fine avesse apportato delle modifiche al processo produttivo (la comunicazione si ispirava sul punto alla sen-tenza Saetti e Frediani, che aveva escluso la natura di residuo del petcoke).

Qualora il produttore non potesse dare prova delle circostanze indicate, il mate-riale avrebbe costituito un residuo di produzione, qualificabile come sottoprodotto, e perciò escluso dalla disciplina comunitaria sui rifiuti in presenza di determinati requisiti, che venivano indicati in: a) certezza del riutilizzo, b) assenza di trasformazioni prelimi-nari e c) continuità del processo di produzione.

L‟aspetto interessante della comunicazione è che essa si spingeva a cercare di meglio definire il significato dei requisiti indicati.

A tal fine specificava che la certezza del riutilizzo dovesse escludersi nel caso di assenza dei requisiti tecnici richiesti per l‟utilizzo, di assenza di mercato per il bene o per l‟uso che se ne intendesse fare e di possibilità, anche eventuale, che il materiale po-tesse essere di fatto inutilizzabile (punto 3.3.1 della Comunicazione).

La Commissione precisava, tuttavia, anche la natura non assoluta, ma relativa della qualifica come rifiuto del residuo di produzione, in quanto quest‟ultimo avrebbe potuto non essere più gestito come rifiuto, bensì come sottoprodotto, nel momento in cui fosse divenuto pronto per il riutilizzo.

Si ribadiva, inoltre, che il reimpiego dovesse essere integrale e non parziale (sul punto interpretando come isolata e priva di seguito l‟apertura in senso opposto contenu-ta nella sentenza Avescontenu-ta Polarit).

146 La Comunicazione chiariva, infine, che nonostante la giacenza per lungo termine dei residui potesse costituire circostanza indiziante dell‟esistenza del rifiuto, essa era superabile dalla garanzia del riutilizzo, che avrebbe potuto discendere, ad esempio, dall‟esistenza di contratti a lungo termine tra il detentore del materiale e il futuro utiliz-zatore: secondo questo ragionamento il riutilizzo poteva a determinate condizioni essere certo anche se non immediato.

Con riferimento al requisito della assenza di trasformazioni, veniva specificato che il residuo che necessitasse, per essere riutilizzato, di trasformazioni preliminari, do-vesse essere gestito come rifiuto sino al completamento di tali trasformazioni. Tuttavia si ribadiva che il compimento di operazioni di recupero su di un materiale non poteva valere di per sé a qualificarlo come rifiuto (con ciò richiamando al punto 3.4.2. il

dic-tum, e le incertezze, della sentenza Niselli).

A prescindere dalla difficoltà di stabilire se ci si trovasse o meno in presenza di un‟operazione di recupero, la Comunicazione dava atto della difficoltà di stabilire una distinzione caso per caso tra condizione di residuo sottoposto a trattamento e di sotto-prodotto, anche a causa di processi industriali sempre più specializzati che prevedono spesso la sottoposizione del materiale a cicli di lavorazione complessi prima della commercializzazione.

Un residuo di produzione, concedeva la Commissione, non doveva necessaria-mente essere utilizzato “tal quale”, ovvero così come scaturito dal ciclo produttivo: po-teva essere lavato, seccato, raffinato, omogeneizzato, addizionato di sostanze e necessa-rie al riutilizzo, sottoposto a controlli di qualità, etc.

Nella misura in cui queste operazioni fossero effettuate nel medesimo processo di produzione non avrebbero impedito che il materiale potesse essere considerato un sottoprodotto (punto 3.2.2 della Comunicazione).

Diveniva allora fondamentale stabilire quando sussistesse la c.d. continuità del processo di produzione. La Commissione osservava che se il materiale, per essere ulte-riormente trasformato, veniva spostato dal luogo in cui era prodotto, ciò poteva costitui-re indizio che tali operazioni non facessero più parte dello stesso processo produttivo.

Quindi, secondo la Commissione, non sarebbe stato determinante il fatto che il residuo fosse sottoposto a trasformazioni preliminari, ma - il passaggio è fondamentale - che quest‟ultime avvenissero nel corso dello stesso processo di produzione.

147 innovativo, separando concettualmente il momento della “formazione” del sottoprodotto da quello del suo “utilizzo”. L‟identità del processo produttivo avrebbe dovuto sussiste-re con riferimento alla fase della formazione, mentsussiste-re il sussiste-reimpiego sasussiste-rebbe potuto avve-nire anche altrove, presso terzi: cosicché, se la preparazione del materiale avveniva presso il luogo di produzione e successivamente questo veniva spedito presso terzi per la sua utilizzazione, si sarebbe avuto un sottoprodotto, in conformità con l‟indirizzo e-spresso, secondo la Commissione, dalla Corte di Giustizia europea nelle sentenze Saetti e Frediani e Commissione contro Regno di Spagna (punto 3.3.3 della Comunicazione).

Invero, nonostante la Commissione dicesse il contrario, il principio veniva af-fermato con chiarezza per la prima volta in questo documento, in quanto le pronunce della Corte di giustizia erano invece sempre state ambigue sul punto. Più precisamente le sentenze richiamate non avevano preso in considerazione la possibilità di una com-mercializzazione presso terzi, ma il reimpiego in diversi cicli produttivi: cosicché dot-trina e giurisprudenza avevano ritenuto che il riutilizzo potesse avvenire soltanto in un processo produttivo, anche eventualmente ulteriore e diverso da quello di origine2. Per-tanto, questa affermazione della Commissione, che forza l‟orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria, è sembrato voler esprimere una volontà di apertura, da par-te delle istituzioni comunitarie, alla commercializzazione dei sottoprodotti.

Una volta aperto concettualmente alla possibilità del riutilizzo dei sottoprodotti presso terzi, la Commissione, tuttavia, non forniva alcuna linea guida per conciliare l‟affermazione di principio con i requisiti della effettività e certezza del riutilizzo, mo-strando anzi di prediligere, ai fini probatori, il valore indiziante del reimpiego effettuato all‟interno del medesimo processo produttivo.

La Comunicazione, infine, offriva delle precisazioni in ordine al criterio del van-taggio economico: soprattutto nel caso in cui i residui fossero ceduti a terzi, questo non avrebbe potuto essere rapportato al risparmio sui costi di smaltimento, dovendo anzi es-sere costituito dal conseguimento di un prezzo congruo con la media di mercato. Anche la valorizzazione di questo elemento, indiziante della sussistenza di un sottoprodotto, è una prerogativa della Comunicazione in esame, in quanto la decisività di tale requisito è sempre stata, invero, negata dalle sentenze, soprattutto le più risalenti, della Corte di giustizia.

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1.2. Un raffronto incoraggiante della nozione italiana di sottoprodotto con

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 153-156)

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