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Segue: in particolare la riscrittura della disciplina in materia di terre e rocce da scavo

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 173-177)

CAP. VII

3. Il c.d. secondo correttivo al testo unico ambientale

3.4. Segue: in particolare la riscrittura della disciplina in materia di terre e rocce da scavo

Il decreto correttivo, infine, riscriveva integralmente l‟art. 186 t.u., in materia di terre e rocce da scavo32. Per l‟esattezza la nuova, lunghissima disposizione prevedeva che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, potessero essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché: a) fossero impiegate direttamente nell‟ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; b) sin dalla fase della produzione vi fosse certezza dell‟integrale utilizzo; c) l‟utilizzo integrale della parte destinata a reimpiego fosse tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i re-quisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro uso non desse luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantita-tivamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove fos-sero destinate ad essere utilizzate; d) fosse garantito un elevato livello di tutela ambien-tale; e) fosse accertato che non provenissero da siti contaminati o sottoposti ad interven-ti di bonifica ai sensi del Titolo V della Parte quarta del decreto (a tal fine, a norma del comma 6 della disposizione, l‟accertamento che le terre e rocce da scavo non provenis-sero da tali siti doveva essere svolto a cura e spese del produttore e accertato dalle auto-rità competenti nell‟ambito delle procedure previste); f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche fossero tali che il loro impiego nel sito prescelto non determinasse schi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenisse nel ri-spetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della

31 V. PAONE, La tutela dell’ambiente e l’inquinamento da rifiuti, cit., 33.

32 Anche con riferimento a questa norma, è stata fortemente avversata la scelta del legislatore di riproporre una disciplina in deroga per le terre e rocce da scavo, nonostante la pendenza del procedimento C-195/05 in seno alla Corte di giustizia; cfr, sul punto V. SANTOCCHI, Tre nuove condanne dell’Europa alla normativa italiana sull’ambiente, cit., 107.

166 na, degli habitat e delle aree naturali protette.; in particolare doveva essere dimostrato che il materiale da utilizzare non fosse contaminato con riferimento alla destinazione d‟uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazio-ne; g) la certezza del loro integrale utilizzo fosse dimostrata.

L‟impiego di terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sosti-tuzione dei materiali di cava, era consentito, ma anch‟esso nel rispetto delle condizioni fissate all‟articolo 183, comma 1, lettera p), t.u.

Il comma 2 prevedeva inoltre che, ove la produzione di terre e rocce da scavo avvenisse nell‟ambito della realizzazione di opere o attività sottoposte a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione ambientale integrata, la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché i tempi dell‟eventuale deposito in attesa di utilizzo, comun-que non superiori ad un anno, dovessero risultare da un apposito progetto approvato dall‟autorità titolare del relativo procedimento. Nel caso in cui progetti prevedessero il riutilizzo delle terre e rocce da scavo nella medesima attività, i tempi dell‟eventuale de-posito potevano essere quelli della realizzazione del progetto, purché in ogni caso non superassero i tre anni.

In base al disposto del terzo comma, ove, invece, la produzione di terre e rocce da scavo avvenisse nell‟ambito della realizzazione di opere o attività diverse da quelle di cui al comma precedente e soggette a permesso di costruire o a denuncia di inizio at-tività, la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché i tempi dell‟eventuale depo-sito in attesa di utilizzo, non superiori ad un anno, dovevano essere dimostrati e verifi-cati nell‟ambito della procedura per il permesso di costruire, se dovuto, o secondo le modalità della dichiarazione di inizio di attività.

Infine, a norma del quarto comma, ove la produzione di terre e rocce da scavo avvenisse nel corso di lavori pubblici non soggetti né a valutazione di impatto ambienta-le, né a permesso di costruire o denuncia di inizio di attività, la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché i tempi dell‟eventuale deposito in attesa di utilizzo, non supe-riore ad un anno, dovevano risultare da idoneo allegato al progetto dell‟opera, sottoscrit-to dal progettista.

Seguiva la precisazione che, qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui all‟ art. 186 t.u., le terre e rocce da scavo dovevano considerarsi sottoposte alle di-sposizioni in materia di rifiuti.

167 già autorizzati e in corso di realizzazione prima della sua entrata in vigore, che impone-va comunque severi obblighi di comunicazione, ne termine di noimpone-vanta giorni, alle auto-rità competenti.

Come si vede, la norma condensava in un solo articolo un intera disciplina, di-stinguendo casi e procedure. Essa si poneva all‟evidenza lo scopo di restringere il previ-gente regime di esclusione per adeguarsi all‟orientamento comunitario, ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia del 2007, oltre che di garantire un controllo delle attivi-tà di reimpiego da parte della pubblica amministrazione.

E‟ stato osservato, però, che alla estrema puntigliosità della norma non corri-spondeva affatto, né prima, né dopo l‟emanazione della stessa, un adeguata disciplina amministrativa, ad esempio in materia di verifiche di compatibilità.

Inoltre il requisito di cui alla lett. c – “(…) senza necessità di preventivo tratta-mento o di trasformazioni preliminari (...)” – stabiliva che le terre e rocce dovevano soddisfare ab origine i requisiti merceologici ed ambientali per il successivo utilizzo, ma non chiariva se fosse consentita la facoltà di effettuare trattamenti sulle stesse, fina-lizzati al miglioramento dei medesimi requisiti33.

4. Le perplessità della dottrina sulle scelte di fondo del d.lgs. 4/08.

La dottrina, in linea generale, ha ritenuto positivo lo sforzo di adeguamento alle direttrici della giurisprudenza comunitaria perseguito dal decreto correttivo. Alcuni commentatori riconoscevano nelle nuove definizioni elaborate l‟intento di uniformarsi anche alle prospettive di revisione della direttiva rifiuti affacciate dalla Posizione del Parlamento europeo del 13 febbraio e la comunicazione della Commissione del 21 feb-braio 2007, allo scopo di elaborare definizioni capaci di resistere ai preannunciati cam-biamenti in ambito europeo34.

Secondo altri commentatori, tuttavia, la scelta di mantenere la codificazione del-la nozione di sottoprodotto e di arricchire queldel-la di materia prima secondaria costituiva di per sé un‟opzione di dubbia opportunità. Fermo restando un generale consenso nei confronti della esclusione dal novero dei rifiuti delle sostanze rientranti in linea di

33 V. GIAMPIETRO, Terre e rocce da scavo: prime considerazioni tecniche sul secondo decreto correttivo del Tua, in Ambiente e sviluppo, 2008, 357 ss.

168 sima nelle previsioni normative, ci si chiedeva se il ricorso alla cristallizzazione delle nozioni in definizioni legislative di diritto interno non fosse inopportuna, dovendosi pre-ferire una mera trascrizione della direttiva europea vigente e procedere a valutazioni ca-so per caca-so.

Oltre all‟indubbia constatazione che le stesse istituzioni comunitarie avversasse-ro un simile modus pavversasse-rocedendi, alcuni Autori riconoscevano nella scelta del nostavversasse-ro legi-slatore il difetto di tentare di fotografare un fenomeno in costante evoluzione, con il ri-schio di divenire presto inattuale, esporre lo stato italiano alle censure della Corte di giustizia e costringerlo a continui interventi correttivi all‟inseguimento della norma eu-ropea35. Del resto, come efficacemente notato, l‟interpretazione della Corte di giustizia non è vincolante neanche per la stessa Corte di giustizia, e quindi non avrebbe mai potu-to ritenersi definitivo nessun orientamenpotu-to in ordine alla distinzione rifiupotu-to-non rifiupotu-to, neppure se consolidato36.

Se tali osservazioni colgono indubbiamente nel segno, non può sottacersi che, da un lato, la sottoposizione indiscriminata di qualsiasi sottoprodotto al regime dei rifiuti avrebbe avuto effetti eccessivamente onerosi sull‟economia nazionale, come paventato dalla stessa sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato incaricata di esprimersi sullo schema di decreto37; dall‟altro, tali critiche non sembravano tenere in dovuta considerazione che la nozione di rifiuto, in assenza dei limiti delineati dalle no-zioni di sottoprodotto e materia prima secondaria, risultava del tutto indeterminata. Non è per caso, infatti, che l‟introduzione delle due nozioni, sin dai tempi della circolare del 1999, avesse avuto l‟effetto di spostare l‟accertamento giudiziale dalla sussistenza dell‟intenzione di disfarsi della res al ricorrere o meno dei requisiti della normativa in

35 In questi termini, G. GARZIA, Corte di Giustizia, residui di produzione e nuova definizione di sottoprodotto nel “correttivo”, cit., 346; E.POMINI, Rifiuti, residui di produzione e sottoprodotti, cit., 379.

36 C.PAONESSA, La definizione nazionale di “rifiuto” approda al vaglio della Consulta, cit., 363.

37 Cons. Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, parere 5 novembre 2007, n. 388, in www. giuristiambientali.it; il precedente schema di decreto legislativo eliminava del tutto la definizione di sot-toprodotto e per questo aveva dato luogo ai rilievi critici della Sezione e della Camera, che avevano chie-sto ne fosse data una definizione, ancorché in termini restrittivi e rigorosi, apparendo un aggravio eccessi-vo la sottoposizione di qualsieccessi-voglia sottoprodotto al regime dei rifiuti; il nuoeccessi-vo schema veniva invece ri-tenuto adeguato ai rilievi critici degli organi consultivi.

169 deroga.

Altrimenti detto, le fattispecie penali di cui il rifiuto costituiva oggetto materiale mutuavano il loro tasso di determinatezza quasi integralmente dalla disciplina di materie prime secondarie e sottoprodotti; eliminando la quale esse sarebbero tornate ad una so-glia di tassatività incompatibile con il principio di legalità, costituzionalmente garantito, vigente in materia penale.

Si trattava, pertanto, di un passo indietro effettivamente impossibile da attuare per ragioni sia economiche che giuridiche; un passo che, peraltro – per quel che si dirà nel prossimo capitolo - avrebbe dimostrato anche una scarsa sensibilità alle linee evolu-tive in ambito istituzionale europeo.

Da questa angolazione, se da una parte può facilmente comprendersi la diffiden-za della Corte di giustizia nei confronti delle operazioni legislative tendenti a naziona-lizzare nozioni nate in ambito comunitario, dovendosi impedire che queste subiscano modificazioni di senso ed interpretazioni dettate dal contesto normativo interno, dall‟altra non si può negare l‟impellenza che fosse lo stesso legislatore comunitario a precisare compiutamente i contorni delle nozioni di sottoprodotto e di materia prima se-condaria, che in quanto incidenti sulla nozione di rifiuto, non potevano restare esclusi-vamente pretorie38.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 173-177)

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