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Il primo intervento della Corte di giustizia sulla nozione italiana di rifiu- rifiu-to

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 37-40)

Soltanto due mesi dopo l‟emanazione del decreto ministeriale in questione, la Corte di giustizia delle Comunità europee il 28 marzo 1990 intervenne con due sentenze in tema di nozione di rifiuto, fondamentali in quanto costituiscono le prime sulla mate-ria che ci occupa.

Si tratta delle sentenze rese dalla Prima sezione della Corte di Giustizia delle Comunità europee nei procedimenti riuniti C-206-207/1988, Vessoso e G. Zanetti, e nel procedimento C-359/1988, E. Zanetti ed altri24. I ricorrenti erano, in entrambi i casi, e-sercenti di imprese di trasporto, imputati per aver trasportato senza autorizzazione rifiuti speciali, in contravvenzione al d.P.R. 915/1982.

Nelle loro difese, gli imputati avevano sostenuto che le sostanze da essi traspor-tate non costituivano rifiuti ai sensi del decreto presidenziale, in quanto sarebbero straspor-tate

23 G. AMENDOLA, Materie prime secondarie: un decreto da rifare, in Foro it., 1990, V, 210.

30 suscettibili di riutilizzazione economica e quindi non sarebbero state abbandonate o de-stinate all‟ abbandono.

I giudici a quo ritennero di sospendere i relativi procedimenti, sollevando innan-zi alla Corte di giustiinnan-zia questioni pregiudiinnan-ziali pressoché identiche: la pretura di Asti25, nei procedimenti riuniti C-206 e C-207, ritenuto di dover interpretare la definizione for-nita dall‟ art. 2 del detto decreto in senso conforme all‟ art. 1 della direttiva, ha chiesto “se l’ art. 1 della direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975 relativa ai rifiuti 75/442 e l’

art. 1 della direttiva del Consiglio del 20 marzo 1978 relativa ai rifiuti tossici e nocivi 78/319 vadano intesi nel senso che nella nozione giuridica di rifiuto debbano essere comprese anche le cose, di cui il detentore si sia disfatto, suscettibili però di riutilizza-zione economica e se vadano intesi nel senso che la noriutilizza-zione di rifiuto postuli un accer-tamento sull’esistenza dell’ «animus dereliquendi» nel detentore della sostanza od og-getto”; la pretura di San Vito al Tagliamento26, nel procedimento C-359/1988, nell‟accedere ad un‟interpretazione “soggettivistica” della nozione normativa di rifiuto, che escludeva dal suo ambito le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione eco-nomica, analogamente si chiedeva “se il legislatore italiano nell’ art. 2, primo comma,

del DPR n . 915 del 1982 abbia adottato una definizione di rifiuto conforme alle diretti-ve 75/442 e 78/319”.

In relazione alla questione sela nozione di rifiuto, ai sensi dell‟ art . 1 delle diret-tive del Consiglio 442/75 e 319/78, dovesse intendersi nel senso di escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, la Corte di giustizia ha risposto in modo identico ad entrambe le questioni (anzi, più precisamente, ha richiamato nella causa C-359/1988 il dispositivo della sentenza resa nello stesso giorno nelle cause riuni-te C- 206-207/1988).

I giudici europei hanno rilevato che il quarto considerando della direttiva 75/442 e il quinto considerando della direttiva 78/319 sottolineano entrambi l‟ importanza di favorire il recupero dei rifiuti e l‟utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali; inoltre, in entrambe le direttive per “smaltimento dei rifiuti” si intenvano le operazioni di trasformazione necessarie al riutilizzo, al recupero o al riciclo de-gli stessi; l‟art. 3, n. 1, della direttiva 75/442 e l‟art. 4 della direttiva 78/319 obbligava-no, infine, gli Stati membri ad adottare le misure atte a promuovere la prevenzione, il

25 Pretura Asti, ord. 18 dicembre 1987, inedita.

31 ciclo, la trasformazione dei rifiuti e l‟ estrazione dai medesimi di materie prime ed even-tualmente di energia, nonché ogni altro metodo che consenta il riutilizzo dei rifiuti. Se-condo la Corte, dunque, emergeva chiaramente da queste disposizioni che una sostanza di cui il detentore si disfi può costituire un rifiuto, ai sensi delle direttive 75/442 e 78/319, anche quando sia suscettibile di riutilizzazione economica.

Su questo punto la Corte risolveva la questione concludendo che “la nozione di

rifiuto, ai sensi dell’ art. 1 delle direttive del Consiglio 75/442 e 78/319, non deve in-tendersi nel senso che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione eco-nomica”. Pertanto “una normativa nazionale la quale adotti una definizione della no-zione di rifiuto escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzano-zione econo-mica non è compatibile con le direttive del Consiglio 75/442 e 78/319”.

Con riferimento alla questione se la nozione di rifiuto presupponesse che il de-tentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l‟ intenzione di escluderne o-gni riutilizzazione economica da parte di altre persone, la Corte osservava che le diretti-ve si riferivano, in generale, ad ogni sostanza e ad ogni oggetto di cui il detentore si dsfi, senza distinguere a seconda dell‟ intenzione del detentore che si disfa della cosa; i-noltre il detto articolo precisava che costituiscono del pari rifiuti le sostanze o gli oggetti di cui il detentore “abbia l’ obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali

vigen-ti”. In considerazione di ciò, appariva evidente che il detentore può essere tenuto, in

forza di una norma nazionale, a disfarsi di una cosa senza per questo avere l‟ intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone. Peraltro, si nota-va, lo scopo essenziale delle direttive 442/75 e 319/78, enunciati rispettivamente nel lo-ro terzo e quarto considerando, vale a dire la plo-rotezione della salute umana e dell‟ am-biente, sarebbe stato compromesso qualora l‟applicazione delle due direttive fosse dipe-sa dall‟ intenzione del detentore di escludere o no una riutilizzazione economica, da par-te di altre persone, delle sostanze o degli oggetti di cui egli si disfa.

La Corte di Giustizia concludeva pertanto nel senso che la nozione di rifiuto, ai sensi dell‟ art. 1 delle direttive del Consiglio 75/442 e 78/319, “non presuppone che il

detentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l’intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone”.

Tali pronunce apparivano una chiara bocciatura delle affermazioni teoriche pro-pugnate dalla impostazione soggettivistica. A tal proposito, i sostenitori della tesi hanno osservato come la Corte di giustizia avesse in qualche modo trasformato il quesito

ori-32 ginario, riguardante la necessità dell‟accertamento nel detentore di un animus

derelin-quendi, occupandosi invece della questione, forse più attinente alla fattispecie sottesa al

procedimento penale, se la nozione di rifiuto presupponesse l‟intenzione del detentore di escludere ogni riutilizzazione economica della res da parte di terzi. La relativa risposta, quindi, non si sarebbe occupata di escludere la rilevanza dello stato soggettivo del de-tentore nella formazione del rifiuto27. Invero, è stato osservato come, soprattutto alla lu-ce della motivazione della sentenza, sia evidente come la Corte abbia inteso escludere qualsiasi rilevanza all‟intenzione del detentore relativamente alla qualificazione di una sostanza come rifiuto, sottolineando, anzi, come una simile interpretazione sarebbe stata in contrasto con la ratio stessa di tutela della direttiva.

Tuttavia, a ben guardare, le pronunce riportate non sembrano soltanto contrasta-re l‟interpcontrasta-retazione soggettivistica della nozione di rifiuto, ma più radicalmente esclude-re la rilevanza di qualsiasi parametro, anche oggettivo, volto a limitaesclude-re astrattamente la definizione: infatti la Corte non distingue nelle sue conclusioni tra riutilizzo della so-stanza presso il detentore o presso terzi, né tra sostanze necessitanti di un trattamento preliminare e sostanze riutilizzabili tal quali; il criterio oggettivo della suscettibilità di riutilizzazione economica sembra essere scartato tout court come canone risolutivo per la determinazione dell‟esistenza d un rifiuto.

E‟ stato in effetti osservato come in realtà queste pronunce lasciassero del tutto aperto il quesito circa il momento in cui qualsiasi materiale o sostanza, compresi i rdui di produzione suscettibili di riutilizzo, acquisissero la qualifica di rifiuto e se esi-stesse uno spazio, sia pur ristretto, per ritagliare una categoria di residuo non qualifica-bile come rifiuto28.

7. La Corte costituzionale sulle materie prime secondarie, tra teoria

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 37-40)

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