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Segue: i rottami ferrosi

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 124-127)

LA NORMATIVA SULLE ESCLUSIONI E LE NOZIONI DI RIFIUTO, SOTTOPRODOTTO, MATERIA PRIMA SECONDARIA NEL TESTO UNICO AMBIENTALE

1. La normativa europea sulle esclusioni dalla disciplina sui rifiuti

1.5. Segue: i rottami ferrosi

Deve inoltre segnalarsi un ulteriore settore nel quale il legislatore è intervenuto ad estendere il regime delle esclusioni. Si tratta proprio del settore dei rottami ferrosi, materiali al centro della vicenda giudiziaria che aveva dato il via allo scontro istituzio-nale sboccato nella sentenza Niselli e nella proposizione della questione di legittimità costituzionale della legge di interpretazione autentica.

All‟indomani della sentenza Niselli, il legislatore decideva - anche in questo ca-so la tempistica non può ritenersi casuale - di inserire nell‟art. 1 della legge delega 15 dicembre 2004, n. 308, per il riordino della disciplina sui rifiuti (legge alla base del testo unico ambientale del 2006, su cui si tornerà infra) i commi da 25 a 29, con i quali, “in attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplinasse in modo organico la materia”, i rottami ferrosi, derivanti da scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi, venivano immediatamente definiti materie prime secondarie per le attività siderurgiche (artt. 25 e 26), a prescindere dal modo in cui questi fossero prodotti. Il comma 29 dell‟art. 1 della medesima legge definiva, inoltre, materia prima se-condaria per attività siderurgiche e metallurgiche, i rottami ferrosi e non ferrosi derivan-ti da operazioni di recupero e rispondenderivan-ti a specifiche Ceca, Aisi, Caef, Uni, Euro o ad altre specifiche nazionali o internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni indu-striali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta dif-ferenziata, che possedessero in origine le medesime caratteristiche riportate nelle speci-fiche sopra menzionate.

I commentatori che si sono cimentati con l‟esegesi della normativa hanno de-nunciato la grave confusione che si veniva a creare dalla sovrapposizione di queste

117 ve disposizioni - peraltro non particolarmente chiare neanche nella loro stessa formula-zione - con la disciplina del decreto Ronchi, con la norma di interpretaformula-zione autentica di cui all‟art. 14 d.l. 138/02 e con i vari decreti ivi richiamati, e con le stratificazioni nor-mative e giurisprudenziali, nazionali ed europee, sulle nozioni di materia prima secon-daria e sottoprodotto. Di fatto, si osservava, l‟intervento del legislatore otteneva l‟effetto esattamente opposto alle dichiarate finalità di portare chiarezza, soprattutto in ambito applicativo, sulla materia dei rottami ferrosi. Tanto da potersi ritenere plausibile per l‟eventuale contravventore l‟invocabilità dell‟ignoranza scusabile della legge ex art. 5 c.p.17

Il senso della norma poteva in ogni caso individuarsi nella volontà del legislatore di escludere che i rottami costituissero rifiuti se ed in quanto utilizzati direttamente nei cicli produttivi siderurgici e metallurgici, senza necessità di trattamento preliminare, in quanto già in possesso di caratteristiche (le specifiche nazionali ed internazionali) che rendevano tale trattamento non necessario per l‟impiego in un ciclo produttivo del tipo in questione. Da tale angolazione, pertanto, la conformità alle specifiche nazionali e in-ternazionali avrebbe costituito “un indice probatorio (e non una condizione legale) della diretta utilizzabilità dei rottami, sintomatico della assenza di volontà del detentore di di-sfarsene”18.

Anche in relazione a questo ulteriore e pervicace tentativo di sottrarre i rottami ferrosi alla nozione di rifiuto, le reazioni della giurisprudenza non si sono fatte attende-re: la nuova disciplina è stata subito bersaglio di una raffica di questioni di costituziona-lità, sollevate dai Tribunali di Terni, Venezia e Asti19.

Anche in questi casi i Giudici remittenti, nel solco tracciato dalla Corte di

17 Per un‟analisi approfondita della normativa in esame, non disgiunta dal contesto generale e dalle problematiche proposte dalla nozione di rifiuto, con particolare riguardo alle istanze di certezza del diritto, segnatamente in materia penale, cfr., per tutti, A.L.VERGINE, Quel “pasticciaccio brutto” dei rot-tami ferrosi. Parte prima, in Ambiente e sviluppo, 2005, 854 ss. e Parte seconda, ivi, 959 ss.

18 L. PRATI, La legge delega n. 308 del 2004 in materia ambientale e le materie prime seconda-rie per l’industria metallurgica: una nuova norma paradossale?, in www.lexambiente.com.

19 Trib. Terni, ord. 2 febbraio 2005, n. 228 nel procedimento penale a carico di F.A. ed altro; Trib. Venezia, ord. 14 marzo 2005, n. 248 nel procedimento penale a carico di G.L.; Trib. Terni, ord. 29 giugno 2005, n. 546, nel procedimento penale a carico di A.N.; G.i.p. Asti, ord. 9 novembre 2005, n. 47/06 nel procedimento penale a carico di M.B., pubblicate in G.U., nn. 18, 19 e 46, prima serie speciale, 2005; e n. 9, prima serie speciale, 2006.

118 sazione, lamentavano la violazione degli artt. 11 e 117 Cost., nei termini di cui si è già detto per l‟art. 14 d.l. 138/02.

Ed anche in questi casi la Corte costituzionale ebbe a rimettere gli atti ai giudici

a quibus, chiedendo loro di valutare alla luce dello ius superveniens, costituito dal

nuo-vo testo unico ambientale, la perdurante rilevanza della questione sollevata e la sua im-mutata non manifesta infondatezza20.

2. L’incertezza del quadro nazionale alla vigilia dell’emanazione del d.lgs. 152/2006.

Tirando le fila del discorso, dunque, alla vigilia del varo del testo unico ambien-tale, la nozione di rifiuto risultava erosa dalla norma di interpretazione autentica della definizione generale e dalle varie normative di settore che estendevano le ipotesi di e-sclusione.

In ordine alle varie ipotesi normative - tutte in più o meno conclamato contrasto con la direttiva rifiuti e con le indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia delle Co-munità europee - l‟atteggiamento della giurisprudenza nazionale si divideva tra pronun-ce che, obtorto collo, repronun-cepivano le novità legislative, pur applicando alle stesse l‟interpretazione più restrittiva possibile, e tentativi di adire ora il Giudice europeo, ora la Corte costituzionale.

Senza, peraltro, che dai suddetti ricorsi potesse pervenire all‟interprete alcuna indicazione sicura: infatti la Corte costituzionale era messa fuori gioco dalla continua innovazione legislativa in materia; mentre la Corte di giustizia sembrava abdicare al suo ruolo nomofilattico, giacché nel giro dello stesso anno aveva reso due interpretazioni, quella della sentenza Saetti e Frediani e quella della sentenza Niselli, apparentemente ispirate ad opposti principi.

Il tutto in un quadro fortemente incerto ed incoerente, nel quale situazioni simili venivano affrontate in modo diverso: si pensi alla decisione della Corte di Cassazione di ritenere norma penale di favore quella generale sull‟interpretazione autentica, escluden-do invece tale profilo per quella settoriale sulle terre e rocce da scavo.

In questa situazione di grave incertezza è opportuno comunque ricordare che,

119 sebbene la definizione di rifiuto prevista dall‟art. 14 d.l. 138/02 fosse stata successiva-mente abrogata dall‟art. 264, comma 1, lett. l, del d.lg. 152 del 2006, essa non aveva perso rilevanza per le condotte realizzate sotto la sua vigenza, in relazione alle quali l‟interpretazione autentica del concetto di rifiuto legittimava, anche dopo la sua boccia-tura comunitaria, non soltanto la scusabilità dell‟error iuris, ma l‟effetto più radicale della non punibilità ai sensi dell‟art. 2, comma 1, c.p.

In ragione del divieto di irretroattività della legge sfavorevole, l‟art. 14 avrebbe dovuto essere ancora applicato ai fatti commessi fino all‟entrata in vigore della nuova normativa, rilevando come ipotesi di abolitio criminis21.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 124-127)

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