In questa situazione di incertezza appare degna di rilievo la sentenza della Corte Costituzionale n. 512 del 30 ottobre 199029, di interesse fondamentale in quanto, da un lato, con detta statuizione la Consulta ebbe modo di esprimere importanti considerazioni
27 F. GIAMPIETRO, M.G. BOCCIA, I rifiuti, vol. II, Milano, 1997, 26 ss.
28 V. PAONE, La tutela dell’ambiente e l’inquinamento da rifiuti, cit., 86 ss.
33 circa la categoria delle materie prime secondarie, dall‟altro perché la dichiarazione di incostituzionalità di numerosi articoli del decreto ministeriale esaminato decretò di fatto la mancata attuazione della legge del 1988.
La sentenza, occasionata da un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri del-lo Stato promosso dalla provincia autonoma di Trento, è ricca di spunti interessanti nei numerosi obiter dicta in cui la Corte costituzionale si sofferma sulla nozione di rifiuto e su quella di materia prima secondaria, non omettendo di considerare anche le pronunce della Corte di giustizia delle comunità europee testé esaminate.
La Consulta sembrava, invero, prendere le mosse da una linea interpretativa molto vicina alla tesi soggettivistica. In particolare, in un passaggio la sentenza in esame afferma che la destinazione finale di un residuo deve esser considerata come il criterio di individuazione primario e che, un determinato residuo deve esser definito e discipli-nato come rifiuto o piuttosto come materia prima secondaria a seconda che ad esso sia impressa la destinazione finale dell‟abbandono, ovvero quella del reimpiego produttivo in qualità di materia prima.
Tuttavia, la Corte si soffermava anche a fornire la propria interpretazione dei principi espressi nelle pronunce della Corte di giustizia sopra commentate: in particolare prendeva in esame il principio per cuila disciplina sui rifiuti doveva essere applicata a qualsiasi residuo oggettivamente destinato all‟abbandono, senza che rilevasse la sua su-scettibilità ad essere reimpiegato nell‟attività produttiva. Secondo la sentenza, l‟interpretazione in essa propugnata non contrastava affatto con il suddetto principio, in quanto il parametro a cui la Consulta faceva riferimento non era l‟intrinseco valore pa-trimoniale del residuo o l‟astratta suscettibilità dello stesso ad essere riutilizzato in un processo di trasformazione economica, ma, piuttosto, la sua attuale, effettiva e oggettiva destinazione finale alla produzione.
Come si vede, dunque, la nozione finiva con l‟essere oggettivata, fondandosi non nel momento soggettivo dell‟intenzione del detentore, ma in quello in cui l‟intenzione si sostanziava, in concreto, nell‟effettiva destinazione del residuo.
La codificazione di tale parametro sarebbe secondo la Corte da rinvenirsi nelle ipotesi di cui alle lettere b) e c) dell‟art. 3 del decreto ministeriale del 26 gennaio 1990, dove il Ministro dell‟ambiente avrebbe previsto a fianco di quello tabellare un criterio sì aperto, ma non meramente basato sulla dichiarazioni degli operatori (si ricordi che la norma prevedeva fonti negoziali e contrattuali come prove qualificate della destinazione
34 al riutilizzo), bensì sull‟effettiva e oggettiva destinazione finale dei residui al reimpiego nella produzione come materie prime: la idonea documentazione contrattuale e la ido-nea dichiarazione dello smaltitore, richieste rispettivamente dall‟art. 3, lett. b) e c) del decreto, costituivano nell‟interpretazione della Corte costituzionale non già atti costitu-tivi della materia prima secondaria, ma piuttosto i mezzi documentali dai quali partire per provare l‟effettiva e oggettiva destinazione finale dei residui verso la riutilizzazione produttiva.
Proprio per questo lo stesso decreto, all‟articolo citato, avrebbe richiesto che tan-to la documentazione contrattuale, quantan-to la dichiarazione dello smaltitan-tore, fossero “i-donee”, cioè tali da lasciar ritenere tali atti di volontà (dichiarazione o contratto) suffra-gati da elementi di fatto sufficienti ad escludere ogni dubbio circa l‟effettiva destinazio-ne del residuo al reimpiego produttivo, non ritedestinazio-nendo affatto sufficiente una mera inda-gine sull‟elemento “psicologico” del dichiarante. E, secondo la Corte, dei dati oggettivi su cui fondare la prova dell‟esistenza di una materia prima secondaria potevano essere, ad esempio, la possibilità tecnica del riutilizzo, la convenienza economica dell‟impiego della materia prima secondaria rispetto a quello della corrispondente materia prima, la destinazione produttiva specifica verso la quale il residuo è indirizzato e, ove avesse og-gettiva rilevanza, la provenienza del residuo stesso.
La tesi propugnata dalla Corte costituzionale, enfatizzando contemporaneamente la destinazione impressa al residuo dal detentore e il requisito dell‟effettiva destinazione al riutilizzo, invero, sembrava strizzare l‟occhio ad entrambe le teorie, soggettivistica ed oggettivistica: tant‟è che i sostenitori di entrambe le impostazioni vi hanno riconosciuto un avallo alle proprie posizioni. In realtà, a ben guardare, essa non offriva elementi per un sicuro inquadramento dogmatico della nozione di materia prima secondaria, se si ec-cettua quello di un implicito riconoscimento della esistenza della categoria, niente affat-to scontata sulla base delle pronunce della Corte di giustizia delle comunità europee.
In effetti, con la sentenza esaminata si attuava un deciso spostamento della que-stione dal piano sostanziale a quello processuale, preoccupandosi di richiamare l‟attenzione circa la necessità di una prova certa della destinazione al riutilizzo della materia prima secondaria più che di una sua preindividuazione sul piano normativo a-stratto.
Emblematico in tal senso il plauso con cui la sentenza accoglie il criterio aperto elaborato dall‟art. 3 del decreto ministeriale, idoneo a far fronte “alla rapida evoluzione
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tecnologica” e al “conseguente rischio che la rigidità di un’elencazione tabellare possa far sfuggire alla disciplina delle «materie prime secondarie» residui aventi in effetti la natura propria di queste ultime”.
Secondo la chiave di lettura che anticipavamo, è già possibile cogliere in queste considerazioni un‟applicazione del principio di precauzione quale fonte di ispirazione della tecnica legislativa; l‟incertezza tecnologica induce infatti a consentire, anzi a favo-rire, l‟utilizzo di definizioni aperte il più possibile in grado di prevenire il futuribile; con evidenti frizioni con le istanze di determinatezza proprie (soprattutto) del sistema pena-le, giacché la nozione di materia prima secondaria costituisce limite negativo di quella di rifiuto, oggetto materiale delle fattispecie di reato previste dalla normativa in materia.
La questione si affaccia già in questa pronuncia, mostrando invero per il momen-to il suo lamomen-to innocuo e progressista, inteso a consentire una possibile restrizione del campo del penalmente rilevante, prefigurando quasi una valvola di adeguamento auto-matico delle fattispecie penali della l. 915/1982 al progresso tecnologico. Diverso e più problematico sarà l‟impatto del medesimo principio utilizzato simmetricamente per consentire un ampliamento indeterminato della nozione penalmente rilevante di rifiuto. Ma sul punto si ritornerà.
L‟analisi della sentenza della Corte costituzionale non può concludersi senza ri-portare, come anticipato, che essa ha dichiarato l‟illegittimità costituzionale di numerosi articoli del decreto ministeriale in quanto esorbitanti dal potere di emanare norme tecni-che generali.
Più precisamente, la sentenza ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme che imponevano e disciplinavano le procedure autorizzative per la gestione delle materie prime secondarie e quelle che estendevano alla disciplina delle stesse norme le-gislative previste per i rifiuti o le materie prime, in quanto emanate in violazione del principio di legalità sotto un duplice profilo: sia perché esorbitanti dai limiti propri del potere ministeriale di adottare le norme tecniche generali; sia perché imponevano a-dempimenti in materie che la Costituzione sottopone a riserva relativa di legge o al principio di legalità sostanziale. Esse pertanto risultavano adottate senza la dovuta co-pertura legale e con un atto (decreto ministeriale) inidoneo a validamente porre norme diverse da quelle tecniche generali.
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8. L’intervento delle Sezioni unite sulla nozione di materia prima