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L’introduzione della disciplina in deroga per le “materie prime seconda- seconda-rie”.I primi contrasti interpretativi

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 34-37)

Nel panorama dottrinale e giurisprudenziale descritto, il legislatore italiano, al fine di introdurre per i residui di provenienza industriale una regolamentazione meno severa rispetto a quanto previsto dalla disciplina generale sui rifiuti, emanò la legge 9 novembre 1988, n. 475 (di conversione con modificazioni del d.l. 397/1988) che intro-duceva la categoria delle “materie prime secondarie”.

L‟art. 2 della suddetta legge definiva le materie prime secondarie “residui

deri-vanti da processi produttivi (…) suscettibili, eventualmente previi idonei trattamenti, di essere utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della stessa o di altra natura”, con l‟espressa esclusione delle sostanze che potevano essere impiegate

nell‟ambito di processi di combustione destinati a produrre energia (art. 2, comma 2, l. 475/1988).

Posta la definizione generale, l‟articolo in esame disponeva che le materie prime secondarie avrebbero dovuto essere individuate con decreto del Ministro dell‟ambiente, di concerto con il Ministro dell‟industria, del commercio e dell‟artigianato. Dalla stessa fonte normativa avrebbero dovuto essere poste le norme tecniche generali di disciplina delle attività connesse all‟utilizzazione, allo stoccaggio, al trasporto e al trattamento del-le materie prime secondarie, nonché i relativi controlli. Con del-legge regionadel-le ogni Regio-ne avrebbe dovuto, poi, in conformità agli indirizzi e alle norme tecniche ministeriali, disciplinare le modalità per il controllo dell‟utilizzazione delle materie prime seconda-rie, nonché il trasporto, stoccaggio, e trattamento delle stesse, “determinando altresì le

condizioni e le modalità per la esclusione delle materie prime secondarie dall’ambito di applicazione della normativa in tema di smaltimento dei rifiuti”.

Il decreto ministeriale, recante l‟individuazione delle materie prime secondarie e la determinazione delle norme tecniche generali relative alle attività di stoccaggio, tra-sporto, trattamento e riutilizzo delle stesse, venne promulgato il 26 gennaio 199021.

All‟art. 1, rubricato “campo di applicazione”, il decreto escludeva dall‟ambito

27 della normativa prevista per le materie prime secondarie i “materiali quotati con precise specifiche merceologiche in borsa-merci o in listini e mercuriali ufficiali istituiti presso le camere di commercio dei capoluoghi di regione, sotto la vigilanza del Ministero dell‟industria, del commercio e dell‟artigianato e comunicati al Ministero dell‟ambiente”; rimanevano escluse dalla nozione di materia prima secondaria anche le materie semilavorate non costituenti scarti di produzione (comma 4).

All‟art. 3 il d.m. individuava le materie prime secondarie ne:

a ) i residui elencati nell‟allegato 1 al decreto stesso con provenienza e destina-zione finale conforme a quanto previsto nell‟allegato medesimo;

b ) gli altri residui, derivati direttamente da processi produttivi, dei quali il deten-tore possa dimostrare, sulla base di idonea documentazione contrattuale, l‟effettiva de-stinazione al riutilizzo;

c ) i materiali derivanti dalle operazioni di selezione o trattamento dei rifiuti in-dustriali o rifiuti solidi urbani - diversi da quelli di cui alle lettere a) e b) - effettuate da parte di soggetti autorizzati alle suddette operazioni e trattamenti ai sensi della normati-va vigente, purché risultasse da idonea dichiarazione dello smaltitore la provenienza dei medesimi, nonché l‟effettiva destinazione delle materie prime secondarie al riutilizzo.

Il decreto stabiliva, dunque, tre criteri alternativi per l‟individuazione delle mate-rie prime secondamate-rie: il ricorso ad un‟elencazione chiusa (lett. a), e il ricorso a presun-zioni probatorie, per cui poteva dirsi materia prima secondaria il residuo non trattato (derivato direttamente da processi produttivi) di cui fosse provato in modo certo, me-diante atto negoziale, la destinazione al riutilizzo (lett. b) e i residui sottoposti a tratta-mento da parte di soggetti autorizzati che potessero dimostrare provenienza e destina-zione al riutilizzo degli stessi (lett. c).

I residui classificati come materie prime secondarie erano sottoposti ad un parti-colare regime, che prevedeva l‟applicazione di soltanto alcune delle norme previste per i rifiuti e di norme concepite ad hoc.

La disciplina, tuttavia, non chiariva quali fossero le conseguenza della violazio-ne della procedure previste per la particolare categoria di residui, alimentando le incer-tezze circa l‟inquadramento giuridico delle materie rispondenti ai requisiti di cui all‟art. 3 del decreto ministeriale.

In particolare, i sostenitori della teoria soggettiva, sostenevano che la novella normativa andasse a disciplinare una categoria, quella delle materie prime secondarie,

28 già ricavabile dal d.P.R. 915/1982, frutto di elaborazione dottrinale e riconosciuta dalle pronunce della giurisprudenza. Secondo tale impostazione, le materie prime secondarie ricomprenderebbero quei residui che il detentore vuole riutilizzare piuttosto che abban-donare, e quindi ab origine sottratti alla nozione e alla disciplina sui rifiuti; la categoria si collocherebbe a monte della nozione di rifiuto, risultando alternativa e anzi contrap-posta alla stessa22.

Secondo una diversa impostazione, invece, la categoria delle materie prime se-condarie doveva essere ritenuta un genus speciale di rifiuti, sottoposti a specifica disci-plina e ad eccezioni particolari. In altre parole, le materie prime secondarie, già a norma dell‟art. 2 della l. 475/1988, sarebbero state da considerarsi rifiuti che, solo a determina-te condizioni, podetermina-tevano essere sottratti alla relativa disciplina.

Peraltro si osservava che la normativa emanata dal Governo non realizzava i presupposti richiesti dalla legge, ed in particolare dall‟art. 2 l. 475/1988, che stabiliva

expressis verbis che le condizioni e le modalità per la esclusione delle materie prime

se-condarie dalla disciplina in tema di smaltimento dei rifiuti dovevano essere disposte da legge regionale, a sua volta subordinata alla previa emanazione delle norme di indirizzo, promozione e coordinamento di cui all‟art. 4 l. 475/1988: la prova di tale assunto era rinvenibile nell‟art. 6, comma 4, dello stesso decreto, il quale precisava che “le norme di

indirizzo, promozione e coordinamento di cui al comma 4, dell’art. 2 della legge 9 no-vembre 1988, n. 475, - in conformità delle quali dovranno essere esercitati i poteri re-gionali di cui al comma 6, dell’art. 2 della stessa legge 9 novembre 1988, n. 475 -

ver-ranno emanate ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera d ) della legge 23 agosto 1988, n.

400”.

Si concludeva, quindi, che, poiché mancavano le norme di indirizzo e coordina-mento e, a fortiori, era impossibile l‟emanazione di alcuna legge regionale che potesse escludere le materie prime secondarie dall‟ambito di applicazione della normativa sui ri-fiuti, il decreto ministeriale sotto il profilo penale non potesse avere alcuna rilevanza.

Di più: ci si spingeva a sostenere che le norme del decreto che avessero l‟effetto di sottrarre al regime dei rifiuti le materie prime secondarie dovessero essere disapplica-te, in quanto, in contrasto con la legge da cui il decreto traeva origine: secondo questa impostazione, infatti, l‟art. 2 l. 475/1988 doveva essere inteso nel senso di considerare

22 P. GIAMPIETRO, Il rifiuto, la materia prima secondaria e la volontà del detentore tra d.m. 26 gennaio 1990 e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Foro it., IV, 1990, 502.

29 le materie prime secondarie come rifiuti, sottratti solo a specifiche condizioni, non rea-lizzate, alla normativa di riferimento. In quanto atto amministrativo in contrasto con la fonte superiore da cui deriva, il decreto avrebbe dovuto essere disapplicato dal giudice penale, il quale avrebbe dovuto invece continuare ad applicare le norme del d.P.R. 915/1982 anche a quei residui industriali astrattamente qualificabili come materie prime secondarie23.

Come si vede, dunque, le opposte interpretazioni portavano ad effetti radical-mente diversi con particolare riferimento alla disciplina sanzionatoria: secondo la prima impostazione, l‟eventuale violazione della disciplina particolare dettata per le materie prime secondarie poteva comportare una responsabilità amministrativa, laddove fosse prevista, ma mai l‟applicazione delle fattispecie penali incentrate sull‟oggettività giuri-dica del “rifiuto”; viceversa, secondo la seconda impostazione, le materie prime secon-darie rimanevano rifiuti, la cui disciplina derogatoria era condizionata dal pieno rispetto delle procedure speciali previste dalla legge, con la conseguenza che l‟eventuale viola-zione di quest‟ultime comportava la piena applicabilità delle sanzioni amministrative e penali previsti dalla normativa sulla gestione dei rifiuti.

6. Il primo intervento della Corte di giustizia sulla nozione italiana di

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 34-37)

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