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Gli orientamenti della Corte di Cassazione

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 73-77)

GLI SVILUPPI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI NELLA VIGENZA DEL DECRETO RONCHI

6. Gli orientamenti della Corte di Cassazione

aspetti: innanzitutto, essa in realtà sviluppava il ragionamento avviato dalla citata sen-tenza, individuando una vera e propria categoria, quella dei sottoprodotti, priva sino a quel momento di un riconoscimento ufficiale nella giurisprudenza della Corte; inoltre, nell‟indicare le circostanze indizianti dell‟atto, dell‟obbligo o dell‟intenzione di disfarsi, non si riportava ai criteri (per il vero abbastanza ovvi) suggeriti dal precedente, ma ne indicava uno del tutto nuovo, ovvero quello della vantaggiosità economica dell‟utilizzo del residuo per il suo detentore.

Non sfuggirà come in proposito la sentenza superasse, senza formalmente con-traddirla, la giurisprudenza consolidata della Corte, la quale, come visto, fino ad allora era sta granitica nel ribadire che la circostanza che una sostanza fosse suscettibile di riu-tilizzazione economica, che potesse essere oggetto di negozio giuridico, o quotata in li-stini commerciali, non doveva essere considerata rilevante per escluderla dalla categoria dei rifiuti: a ben guardare la sentenza Palin Granit, in effetti, spostava la questione dalla sussistenza di un valore economico “oggettivo”, di mercato, del residuo, alla sussistenza di un vantaggio economico per il detentore insito non nella cessione, ma nel riutilizzo dello stesso. L‟affermazione poteva costituire fonte di ambiguità nelle sue possibili im-plicazioni, in quanto, in astratto, nella determinazione della sussistenza di un vantaggio economico nel riutilizzo della cosa sarebbe potuto rientrare anche il calcolo dei costi re-lativi allo smaltimento della stessa; cosicché il criterio sarebbe stato in pratica svuotato di qualsiasi rilevanza, sussistendo nella stragrande maggioranza dei casi.

6. Gli orientamenti della Corte di Cassazione.

Nel quadro sopradescritto le sentenze di legittimità che sono intervenute tra il 2000 e il 2002 (capitolo a parte costituisce il periodo che intercorre dalla legge di inter-pretazione autentica della nozione di rifiuto operata dal d.l. 138 del 2002, alla sentenza Niselli, di cui ci occuperemo subito di seguito), pur affrontando la disciplina delle c.d. materie prime secondarie, non approfondiva la questione specifica e delicata del regime cui dovevano essere assoggettati i rifiuti che potevano essere riutilizzati nel medesimo o in altri cicli produttivi senza alcun tipo di trattamento (c.d. sottoprodotti, secondo la de-finizione della sentenza Palin Granit).

La fedeltà all‟interpretazione più rigoristica della nozione di rifiuto consolidatasi nell‟interpretazione proposta dal giudice comunitario negli anni „90, denunciava anzi un

66 deficit di aggiornamento, non valorizzando le indicazioni espresse dalla Corte di giusti-zia con le sentenze del 2000 e del 2002. Anche dopo la sentenza Palin Granit, infatti, la Cassazione affermava che “sia per l‟interpretazione della nozione legislativa nazionale, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sia per le affermazioni della Corte di giustizia della Comunità Europea, le cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito nazionale, (…) la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel sen-so di escludere le sen-sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica”21.

Nel complesso, dunque, la giurisprudenza nostrana si mostrava insensibile al di-battito della dottrina e finanche alle indicazioni del legislatore, sia rifiutando qualsiasi apertura all‟elaborazione di una categoria giuridica quale quella dei sottoprodotti o delle materie prime secondarie riutilizzabili tal quali, sia ribadendo l‟assoluta necessità che il riutilizzo fosse oggettivo attuale ed effettivo, così depotenziando qualsiasi forma di pre-sunzione legislativa e prescindendo dalla componente soggettiva della nozione di rifiu-to.

In un panorama, quindi, privo di nuovi orientamenti, si è ritenuto ad esempio, nel solco della giurisprudenza precedente, che costituisse rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l‟obbligo di di-sfarsi, “non assumendo rilievo l‟intenzione di escludere ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone”22; nello stesso senso si è ribadito, che “il sistema di sorve-glianza e gestione istituito dalle direttive CEE in materia si deve intendere riferito a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfi, anche se esse hanno un valore commerciale a fine di riciclo, recupero o riutilizzo”23; si è stabilito, inoltre che “in tema di smaltimento di rifiuti, la definizione di rifiuto deve essere improntata al criterio og-gettivo della destinazione naturale all‟abbandono, non rilevando l‟eventuale riutilizza-zione né la volontà di disfarsi della sostanza o dell‟oggetto, sicché quando il residuo ab-bia il suddetto carattere, ogni successiva fase di smaltimento rientra nella disciplina del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e, dopo la sua abrogazione, in quella del d.lgs. 5 feb-braio 1997, n. 22; infatti le sostanze provenienti dall‟esaurimento di un ciclo produttivo

21 Cass. pen., sez. III, 27 novembre 2002, Ferretti, in Foro it., 2003, II, 116.

22 Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2002, Amadori, in Foro it., 2002, II, 673; Id., 18 giugno 2002, Zatti, in CED rv.222390.

23 Cass. pen., sez. III, 24 agosto 2000, Sassi, in Impresa, 2001, 280, in tema di materiali di risulta dall‟attività di scavo di un traforo.

67 che non siano direttamente e concretamente versate in ulteriore ciclo attivo di produzio-ne o di combustioproduzio-ne eproduzio-nergetica non possono essere qualificate come materie prime se-condarie”24.

24 Cass. pen., sez. III, 9 aprile 2001, Porcu, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 755; la sentenza ha ritenuto rifiuti e non materia prima secondaria i fanghi compressi provenienti dall‟esaurimento del ciclo produttivo e destinati al parziale riutilizzo mediante processi chimici da eseguire presso altro stabilimento industriale.

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CAP. V

L’INTERPRETAZIONE AUTENTICA DELLA NOZIONE DI RIFIUTO

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 73-77)

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