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La sentenza nella causa C-195/05 in materia di scarti alimentari

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 160-163)

CAP. VII

2. La censura del sistema italiano delle deroghe alla nozione di rifiuto da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee

2.2. La sentenza nella causa C-195/05 in materia di scarti alimentari

Le argomentazioni della seconda sentenza in materia di scarti alimentari origina-ti dall‟industria agroalimentare e desorigina-tinaorigina-ti alla produzione di mangimi coincidono inte-gralmente con quelle in materia di terre e rocce da scavo, e non le si ripercorreranno, quindi, analiticamente.

Occorrerà, invece, un veloce richiamo alla normativa di settore. Come accennato (v. supra cap. V, § 1.2.), la materia degli scarti alimentari è stata oggetto di interventi normativi in deroga nel corso del 2002.

Più precisamente, già la circolare del 28 giugno 1999 (su cui v. supra cap. 3, § 3), faceva riferimento a cicli di “preconsumo” idonei a fa rientrare nella nozione di ma-teria prima secondaria gli scarti alimentari.

Con l‟art. 23, comma 1, lett. b), l. 179/2002, era stata inserita nell‟art. 8 del de-creto Ronchi, la lettera c-bis, a norma della quale i residui e le eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non entrati nel cir-cuito distributivo di somministrazione, destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla l. 14 agosto 1991, n. 281, e successive modificazioni, nel rispetto della vigente normativa, erano da considerarsi sottratte alla disciplina sui rifiuti.

Il 22 luglio 2002 il Ministero della salute7 emanò un comunicato, recante linee guida relative alla disciplina igienico-sanitaria in materia di utilizzazione dei materiali e sottoprodotti derivanti dal ciclo produttivo e commerciale delle industrie agroalimentari nell‟alimentazione animale: detto comunicato dichiarava che tali materiali e sottopro-dotti dovessero essere considerati “materie prime per mangimi”, ogniqualvolta, in pre-senza dei requisiti igienico sanitari, esistesse la volontà del produttore di utilizzarli nel ciclo alimentare zootecnico.

Il documento indicava a tal fine la necessaria sussistenza di alcune condizioni: a) che nel piano di autocontrollo dello stabilimento del produttore fosse presente una se-zione relativa alla gestione dei sottoprodotti; b) che la produse-zione dei mangimi dovesse essere autorizzata in base alla normativa vigente; c) che lo stabilimento fosse apposita-mente registrato nel caso di utilizzo di addittivi di cui al d.lgs. 123/1999; d) che le mate-rie prime fossero sottoposte a controlli di qualità dell‟autorità sanitaria; e) che la

153 va destinazione per l‟alimentazione animale fosse comprovata da accordi formalizzati o, nel caso di forniture occasionali, da idonea documentazione fiscale8.

Secondo la Commissione europea la normativa ora richiamata costituiva ina-dempimento agli obblighi derivanti dalla direttiva rifiuti9. Gli indirizzi operativi formu-lati dalle autorità italiane, infatti, determinavano l‟esclusione degli scarti alimentari dal regime dei rifiuti, sempre e comunque ove fossero destinati alla produzione di mangimi. Secondo la Repubblica italiana, invece, tali sostanze non erano da includere nell‟ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, in quanto destinate a tornare “tal quali” nel ciclo produttivo.

La Corte contestava, tuttavia, che non fosse decisiva la riutilizzabilità degli scarti senza trattamento preventivo e che andasse verificato, a fini eccettuativi, il grado di probabilità di riutilizzo del residuo e, soprattutto, l‟effettiva riutilizzazione nello stesso processo di produzione dal quale derivava. Anzi, il semplice fatto che tali scarti fossero trasferiti dagli operatori che li producono a chi li utilizzerà comporta una serie di opera-zioni (magazzinaggio, trasformazione e trasporto) che la direttiva mirerebbe a controlla-re (punti 17-20 della sentenza).

Anche in questo caso la Corte di giustizia ha stabilito che, se per il riutilizzo del-le sostanze oggetto della causa sono necessarie operazioni di deposito che possono ave-re una certa durata, e quindi rappave-resentaave-re un oneave-re per il detentoave-re ed esseave-re potenzial-mente fonte di quel danno per l‟ambiente che la direttiva mira specificapotenzial-mente a limitare, esse devono essere considerate, in via di principio, come rifiuto. Il ragionamento della

8 La disciplina è così compendiate da A. BORZÌ, Rifiuto e sottoprodotto: evoluzione e prospettive di riforma in ambito comunitario, cit., 430. Per un approfondimento critico sulla normativa in materia di rifiuti alimentari si vedano C. DIANI, Rifiuti alimentari: archiviazione del Gip per “oscurità” della leg-ge?, in Ambiente, 2001, 581 (nota a Trib. Perugia, 8 gennaio 2001, che aveva escluso la qualifica di rifiu-to per gli scarti alimentari); F. GIAMPIETRO, F. ANILE, Scarti alimentari e nuova nozione di rifiuto: un nuovo giubileo per l’ambiente?, in Ambiente, 2002, p. 1026; e ancora: F. GIAMPIETRO, Rifiuti alimentari e non: linee-guida del Ministero della salute, in Cass. pen., 2003, 1451 ss.

9 La circostanza che il ricorso per inadempimento sia fondato su previsioni non normative, ma prevalentemente su circolari e comunicati non vincolanti per i giudici nazionali – rileva A. BORZÌ, Rifiuto e sottoprodotto, cit., 430 – non è stata posta all‟attenzione della Corte di giustizia. Tuttavia, per risalente giurisprudenza, la Corte è ammessa a censurare qualsiasi violazione (anche non legislativa) che produca una situazione di incertezza sul diritto applicabile (cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, sent. 4 aprile 1974, Commissione c. Francia, nel proc. C-167-73, in European Court reports, I- 00359).

154 Corte ricalca quello formulato in materia di terre e rocce da scavo: non possono esistere presunzioni generali secondo le quali i materiali in questione costituiscano sottoprodotti che presentano per il loro detentore, dato il suo intendimento che siano riutilizzati, un vantaggio o un valore economico, anziché un onere di cui egli cercherebbe di liberarsi.

I commentatori hanno osservato come l‟interpretazione della normativa italiana fornita dalla Corte di giustizia omettesse di considerare che la classificazione come ma-terie prime degli scarti destinati alla produzione di mangimi non conseguiva, secondo le norme sopra enunciate, alla mera volontà del produttore di riutilizzarli nell‟industria a-groalimentare, ma alla sussistenza di precisi requisiti, volti ad assicurare la certezza del riutilizzo. Non solo. E‟ stato osservato come sottoporre gli scarti alimentari alla disci-plina dei rifiuti, per assurdo, avrebbe comportato nella fase del trasporto il venir meno di quelle garanzie di igiene previste dalla normativa europea in materia, di fatto impe-dendone l‟utilizzo come alimenti in ambito agroalimentare. Infine, si osservava che l‟applicazione agli scarti alimentari destinati alla produzione di mangimi dell‟insieme delle normative nazionali ed europee sulla produzione e commercializzazione di questi ultimi, oltre a quelle in materia di sicurezza ed igiene alimentare, avrebbe garantito in egual misura, al pari dell‟applicazione della disciplina sui rifiuti, la tracciabilità dei resi-dui10.

2.3. La sentenza nella causa C-263/05 sulla disciplina dell’art. 14 d.l. 138/02.

Su tale sentenza è superfluo dilungarsi, in quanto ripetitiva dei concetti affermati in altre decisioni già esaminate ed in particolare della sentenza Niselli. Con tale condan-na, ampiamente preannunciata, la Corte di giustizia affossava definitivamente la già a-brogata interpretazione autentica di rifiuto.

Interessa qui la reiezione dell‟argomento difensivo dell‟Italia, che faceva ancora una volta, leva sulle aperture riscontrabili nella giurisprudenza comunitaria alla riutiliz-zazione del residuo presso altri processi produttivi.

La Corte nell‟occasione ha ribadito che “un bene, un materiale o una materia

prima risultante da un processo di fabbricazione che non è destinato a produrlo può

10 Per queste osservazioni, in parte mutuate dalla difesa del governo italiano nella causa in esa-me, cfr. A. BORZÌ, Rifiuto e sottoprodotto, cit., 431; e V. SANTOCCHI, Tre nuove condanne dell’Europa, cit., 109 ss.

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sere considerato come un sottoprodotto di cui il detentore non desidera disfarsi solo se il suo riutilizzo, incluso quello per i bisogni di operatori economici diversi da colui che l’ha prodotto, è non semplicemente eventuale, ma certo, non necessita di trasformazio-ne preliminare e intervietrasformazio-ne trasformazio-nel corso del processo di produziotrasformazio-ne o di utilizzaziotrasformazio-ne”.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 160-163)

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