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La nuova formulazione della definizione di sottoprodotto

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 165-170)

CAP. VII

3. Il c.d. secondo correttivo al testo unico ambientale

3.1. La nuova formulazione della definizione di sottoprodotto

Il correttivo riformulava l‟art. 183 t.u. modificando lievemente la definizione di sottoprodotto, inserita adesso nella lettera p) del primo comma del suddetto articolo. La norma definiva sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non inten-desse disfarsi ai sensi dell‟articolo 183, comma 1, lettera a), t.u., che integrassero tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) fossero originati da un processo non diretta-mente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego fosse certo, sin dalla fase della produzione, fosse integrale, e avvenisse direttamente nel corso di un processo di produ-zione o di utilizzaprodu-zione preventivamente individuato e definito; 3) possedessero i requi-siti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non desse luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l‟impianto dove erano destinati ad essere utilizzati; 4) non do-vessero essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per favorevole delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato. Sennonché nel frattempo è scaduto il termi-ne di cui alla legge delega, per cui il Governo ha dovuto riavviare il procedimento, accorpando il c.d. se-condo correttivo in materia di rifiuti ed acque con il c.d. terzo correttivo in materia di valutazione impatto ambientale e valutazione ambientale strategica (il c.d. primo correttivo, d.lgs. 284/2006, conteneva delle proroghe per l‟entrata in vigore di alcune discipline e per gli adeguamenti ai principi del nuovo testo uni-co); la normativa, pubblicata in G.U., suppl. ordinario n. 24 del 29 gennaio 2008, è entrata in vigore il 13 febbraio 2008.

158 disfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma possedesse-ro tali requisiti sin dalla fase della ppossedesse-roduzione; 5) avessepossedesse-ro un valore economico di mer-cato;

La norma non riproduceva la parte relativa all‟esclusione delle ceneri di pirite e delle polveri di ossido di ferro dalla disciplina sui rifiuti, la quale aveva originato non infondate perplessità in ordine alla compatibilità con la direttiva europea e portato, co-me visto, anche alla proposizione di una questione di legittimità costituzionale14. Tali materie, tuttavia, qualora ne presentassero i requisiti, potevano comunque rientrare nella disciplina generale dettata per i sottoprodotti15.

La nuova definizione di sottoprodotto tentava all‟evidenza di conformarsi alla giurisprudenza comunitaria e alle indicazioni desumibili dai progetti di riforma in ambi-to europeo16, perseguendo tali obiettivi anche a costo di un certo sovraccarico di requisi-ti17.

La formulazione del 2008 puntualizzava per di più quanto già da tempo preteso dalla prassi, ovvero che tutti i requisiti dovessero essere compresenti, con il corollario che l‟assenza di anche soltanto uno di essi escludeva la qualificazione del residuo come sottoprodotto.

Si è notato come al punto 1) la definizione mutasse leggermente rispetto a quella previgente, non richiedendo che i materiali, per essere considerati sottoprodotti, doves-sero “scaturire in via continuativa dal processo industriale dell‟impresa stessa”. L‟espunzione dell‟inciso avrebbe avuto l‟effetto di espandere la nozione anche ai mate-riali prodotti solo occasionalmente, con il rischio di consentire improvvisazioni nel

14 Proprio l‟intervento legislativo in questione aveva impedito alla Corte costituzionale di pro-nunciarsi sulla questione sollevata il 20 settembre 2006 dal Tribunale di Venezia (v. supra sub cap. V, § 6).

15 M.MEDUGNO, MPS e sottoprodotti: cambia lo scenario ma non la gestione operativa, in

Am-biente e sviluppo, 2008, 353; S.MAGLIA,M.V.BALOSSI, L’evoluzione del concetto di sottoprodotto, ivi, 112.

16 In particolare, la Posizione del Parlamento europeo del 13 febbraio 2007, in Gazzetta ufficiale UE, 29 novembre 2007, C 287 E/137; e la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamen-to europeo del 21 febbraio 2007, COM/2007/0059 def.

17 P. FELICE, Rifiuti e sottoprodotti, tra contrasti giurisprudenziali e prospettive di riforma, cit., 351.

159 impiego dei residui, in contrasto con il requisito della certezza del riutilizzo18. A rigore, l‟espunzione dell‟inciso presente nella precedente definizione avrebbe consentito pure di estendere la nozione di sottoprodotto a residui anche non industriali.

Tuttavia, il requisito della continuatività sarebbe stato ancora implicito nella ne-cessità di realizzare tutte le altre condizioni previste dalla norma. Inoltre, se è vero che la nozione di sottoprodotto doveva essere interpretata alla luce del diritto comunitario, bisognava considerare che la Comunicazione della Commissione, da cui la definizione italiana traeva ispirazione, indicava il proprio campo di applicazione nella distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è “nell‟ambito di un processo di produzione”19.

Il punto 2) offriva delle precisazioni utili alla verifica della certezza del riutiliz-zo. Il produttore, infatti, veniva chiamato ad individuare sin da subito il processo nel quale avrebbe effettuato l‟impiego del sottoprodotto, che avrebbe dovuto essere integra-le. Forse opportunamente la definizione si limitava a riprodurre l‟espressione ricorrente nella giurisprudenza nazionale ed europea per cui l‟ulteriore utilizzo del residuo doveva avvenire “direttamente nel corso del processo di produzione”, senza prendere posizione sulla necessità che il sottoprodotto dovesse essere riutilizzato nello stesso processo di produzione di provenienza.

In verità, la nuova formulazione aveva rimosso anche il riferimento alla possibi-le commercializzazione, escludendo così, rispetto alla formulazione previgente, che il sottoprodotto potesse essere venduto per il consumo.

Tale modifica in sede di primo commento era stata interpretata anche nel senso di un implicito divieto generale di cessione a terzi20. Quest‟ultima interpretazione, però, non appare condivisibile: il sottoprodotto, infatti, nel silenzio della norma, doveva con-tinuare a considerarsi astrattamente utilizzabile in un diverso processo di produzione, purché successivo a quello di provenienza, eventualmente anche presso l‟impresa di ter-zi; tale interpretazione sembrava necessitata dalla sussistenza del requisito del necessa-rio valore di mercato, di cui al punto 5), che sarebbe inspiegabile con riferimento a sot-toprodotti non cedibili in assoluto. Può ritenersi dunque che la nuova disciplina inten-desse escludere la vendita al consumo del sottoprodotto, ma non la cessione a terzi per il

18 V. PAONE, La tutela ambientale l’inquinamento da rifiuti, cit., 239.

19 M. MEDUGNO, MPS e sottoprodotti, cit., 351.

160 riutilizzo in un diverso ciclo produttivo21.

In effetti, i timori ingenerati dalla questione sembravano superatati nella nuova definizione dalla necessità che il processo produttivo di riutilizzo fosse preindividuato già al momento dell‟origine del residuo, potendo quindi riguardare anche l‟impresa di un terzo. Si rilevava, tuttavia, che il legislatore non aveva in alcun modo precisato le modalità con le quali l‟operatore interessato poteva in concreto procedere alla individu-azione preventiva e poi darne eventualmente evidenza22. Né risultava chiaro in cosa po-tesse consistere il processo di utilizzazione e, assodato che esso non poteva corrisponde-re al processo di consumo, in cosa si diffecorrisponde-renziasse dal processo di produzione.

Irragionevole, inoltre, veniva ritenuta, seppur in linea con le indicazioni prove-nienti dall‟Unione europea e della giurisprudenza nazionale, la necessità che il riutilizzo fosse integrale, pur essendo ipotizzabile una distinzione di disciplina tra quanto riutiliz-zato, assoggettato al regime dei sottoprodotti, e quanto no, assoggettato alla disciplina dei rifiuti23.

Il punto 3) recepiva l‟elaborazione dottrinale e giurisprudenziale circa il requisi-to che il sotrequisi-toprodotrequisi-to non dovesse avere un impatrequisi-to ambientale superiori a quelli aurequisi-to- auto-rizzati per l‟impianto in cui dovesse essere reimpiegato. Esso si collegava, poi, stretta-mente con il punto successivo, volto a ribadire la necessità dell‟assenza di trattamenti preliminari, definiti come quei trattamenti necessari per far conseguire i requisiti merce-ologici e di qualità ambientale di cui fosse privo.

Questa disposizione è stata giudicata piuttosto prudente da quei commentatori che avevano invece colto nella Comunicazione della Commissione segnali di apertura

21 In questo senso E. POMINI, Rifiuti, residui di produzione e sottoprodotti, cit., 376; giungono al-le stesse conclusioni, sebbene ponendo una maggior enfasi sulla necessità di un colal-legamento funzionaal-le stabile tra processo di uscita e processo di entrata (ossia di riutilizzo) del sottoprodotto A. BORZÌ, Rifiuto e sottoprodotto, cit., 436; G.GARZIA, Corte di Giustizia, residui di produzione e nuova definizione di sotto-prodotto nel “correttivo”, in Ambiente e sviluppo, 2008, 347.

22 E.POMINI, Rifiuti, residui di produzione e sottoprodotti, cit., 377; v. anche M. MEDUGNO, MPS e sottoprodotti, 351, il quale si chiede se dovesse essere individuato soltanto il processo di produ-zione o addirittura lo specifico stabilimento in cui dovesse avvenire il reimpiego.

23 E. POMINI, Rifiuti, residui di produzione e sottoprodotti, cit., 377; M. MEDUGNO, MPS e sotto-prodotti, cit., 352, addirittura ritiene che il requisito dell‟integralità dovesse riferirsi ai residui avviati con certezza al riutilizzo, soggiacendo sotto il regime dei rifiuti la parte di questi ultimi non effettivamente reimpiegata.

161 nei confronti di trasformazioni preliminari eseguite all‟interno del medesimo processo produttivo di origine.

Inoltre, la genericità delle espressioni utilizzate, che facevano riferimento a trat-tamenti preventivi e requisiti merceologici, poteva portare ad una forte limitazione dell‟operatività della norma, anche e soprattutto alla luce dell‟atteggiamento di estrema severità assunto sul punto dalla nostra giurisprudenza nazionale: si osservava che i re-quisiti merceologici non necessariamente erano da riferirsi alle caratteristiche fisico-chimiche, sicché qualsiasi adattamento del residuo, anche delle sue semplici caratteristi-che dimensionali, avrebbe potuto astrattamente escluderne la qualifica di sottoprodot-to24.

Viceversa, altri commentatori individuavano possibili profili di incompatibilità con la direttiva comunitaria proprio nella non netta presa di posizione nel pretendere un riutilizzo “tal quale” e all‟interno del medesimo processo produttivo25.

La sostenibilità di entrambe le posizioni testimoniava la manzanza di chiarezza sul punto anche nell‟orizzonte europeo.

L‟espressione usata al punto 5), “valore economico di mercato”, andava a sosti-tuire la previgente “condizioni economicamente favorevoli per l’impresa”, chiarendo che il vantaggio per il produttore non potesse consistere nel mero sottrarsi agli oneri dello smaltimento.

Spariva, invece, la previsione che richiedeva, per la prova dell‟effettiva e certa riutilizzazione, la redazione di un‟autocertificazione da parte del produttore e del deten-tore, controfirmata dal titolare dell‟impianto dove avvenisse il riutilizzo. Tale decisione ha colto di sorpresa i primi commentatori, che non ne hanno compreso le ragioni. Pro-babilmente il legislatore prendeva con ciò atto della non risolutività della dichiarazione proveniente dalla parte, a fronte di una giurisprudenza che escludeva categoricamente la prova certa del riutilizzo potesse darsi a mezzo di mere dichiarazioni dell‟interessato. Del resto il requisito esuberava da quelli richiesti dalla giurisprudenza e dalle istituzioni comunitarie e il suo mantenimento si sarebbe tradotto in un appesantimento burocratico nella gestione dei residui.

D‟altro canto la mancata previsione legislativa non significava che ai soggetti

24 V., ancora, E. POMINI, Rifiuti, residui di produzione e sottoprodotti, cit., 377.

25 L. A. SCIALLA, La nozione di sottoprodotto tra disciplina europea e normativa italiana, cit., 982.

162 coinvolti nell‟attività di riutilizzo non fosse necessario premunirsi in ogni caso di idonea documentazione ai fini di provare il ricorrere della disciplina in deroga.

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