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Profili di continuità e discontinuità della nozione di sottoprodotto con la normativa precedente

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 133-136)

LA NORMATIVA SULLE ESCLUSIONI E LE NOZIONI DI RIFIUTO, SOTTOPRODOTTO, MATERIA PRIMA SECONDARIA NEL TESTO UNICO AMBIENTALE

3. L’evoluzione della nozione di rifiuto a livello comunitario

4.2. Profili di continuità e discontinuità della nozione di sottoprodotto con la normativa precedente

Come si vede, con la definizione appena enunciata, il legislatore, pur non ripro-ponendo letteralmente il testo dell‟abrogato art. 14 d.l. 138/2002, dettava una nozione di rifiuto che ne riecheggiava ampiamente lo spirito, pur tentando di mediare con le censu-re della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Il d.lgs. 152/2006, innanzitutto, non riproduceva l‟interpretazione - avanzata nell‟art. 14, comma 1, d.l. 138/2002 e contrastante con la giurisprudenza comunitaria - secondo cui potevano costituire rifiuti solamente i materiali o le sostanze destinati o soggetti alle operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati32.

Inoltre, mentre l‟art. 14, comma 2, lett. b), t.u. escludeva dalla nozione di rifiuto le sostanze riutilizzabili previo “trattamento preventivo”, purché diverso dalle operazio-ni di recupero di cui all‟allegato C, la nuova defioperazio-nizione subordinava l‟esclusione dalla disciplina dei rifiuti alla condizione che il riutilizzo non richiedesse “trasformazioni pre-liminari”. L‟art. 183, comma 1, lett. n), si faceva carico di specificare questo concetto, descritto come l‟insieme di operazioni capaci di far perdere alla sostanza le originarie caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà possedute33. Anche sotto questo

32 Sul punto, v. C. PAONESSA, La definizione nazionale di “rifiuto” approda al vaglio della Con-sulta, cit., 349.

126 profilo, dunque, la definizione italiana di sottoprodotto tentava di allinearsi alla giuri-sprudenza comunitaria, conferendo per di più alla definizione un più elevato tasso di de-terminatezza.

In questo stesso senso sembrava andare la previsione di apposite condizioni e procedure finalizzate ad assicurare l‟effettività del requisito della certezza del riutilizzo, tra cui la dichiarazione del produttore, controfirmata dal titolare dell‟impianto ove av-veniva il reimpiego e il requisito della commercializzazione del sottoprodotto a condi-zioni vantaggiose per l‟impresa, ritenuta indizio della insussistenza dell‟intenzione di disfarsi della cosa da parte del detentore.

L‟art. 183, comma 1, lett. n), t.u. sembrava riprendere, invece, il requisito già contemplato nell‟abrogato art. 14 d.l. 138/02, secondo il quale il reimpiego del sotto-prodotto non doveva “comportare per l‟ambiente o la salute condizioni peggiorative ri-spetto a quelle delle normali attività produttive”. Tale requisito, richiamato anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia - invero in modo piuttosto vago e superficiale e, soprattutto, senza attenzione alle conseguenze giuridiche - come già visto, aveva incon-trato nel nostro paese le critiche della dottrina, in quanto ambiguamente suscettibile di introdurre valutazioni di pericolo concreto nella struttura degli illeciti penali contemplati dalla disciplina sui rifiuti; valutazioni ritenute eccentriche e incompatibili con la struttu-ra degli illeciti penali ambientali, notoriamente modulata sullo schema del pericolo a-stratto (v. supra sub cap. V, § 1.2.).

L‟art. 183, comma 1, lett. n), t.u., tuttavia, superava gli equivoci, in quanto il re-quisito dell‟assenza di pregiudizio per l‟ambiente era specificatamente inteso come me-ra assenza del pericolo tipico della gestione dei rifiuti; in altre parole, la sostanza, per poter essere qualificata sottoprodotto, non doveva possedere caratteristiche di pericolo-sità maggiori rispetto a quelle proprie del prodotto o della materia prima corrisponden-ti34.

Per contro, al pari dell‟abrogato art. 14, anche il d. lg. 152 del 2006 sottraeva al-la disciplina dei rifiuti tanto il sottoprodotto destinato all‟impiego, quanto quello per il

GIAMPIETRO, Interpretazione autentica della nozione di rifiuto: controdeduzioni ai rilievi della Commis-sione CE, in Ambiente, 2003, 108 ss.

34 Per questa lettura, cfr. G. M. VAGLIASINDI, La definizione di rifiuto tra diritto penale ambien-tale e diritto comunitario (parte II), cit., 205.

127 consumo, sul quale la sentenza Niselli aveva espresso alcune chiare riserve35.

Inoltre sottraeva al concetto di rifiuto sia i materiali riutilizzati nello stesso ciclo produttivo (quindi rimasti nella disponibilità della stessa impresa che li ha prodotti), sia quelli impiegati in processi produttivi successivi, ivi compresi quelli ceduti a terzi a condizioni economicamente favorevoli. Nel prevedere il riutilizzo del sottoprodotto in un ciclo successivo, tuttavia, la definizione dell‟art. 183 apparentemente non integrava gli ultimi arresti giurisprudenziali, che richiedevano il ciclo di riutilizzo dovesse trovarsi “in continuità con quello di produzione”.

Last but not least, l‟art. 183, comma 1, lett. n), d.lgs. 152/2006 introduceva

alcu-ne presunzioni di legge, facendo rientrare tra i sottoprodotti, non soggetti alla parte quarta del decreto, “le ceneri di pirite, le polveri di ossido di ferro”.

Gli aspetti di continuità dell‟art. 183 t.u. rispetto all‟interpretazione autentica della nozione di rifiuto sarebbero però, secondo alcuni commentatori, ancor più profon-di, e consisterebbero nella comune ratio, ovvero nell‟intento di delimitare in astratto la nozione di rifiuto attribuendole una fisionomia che, in ossequio al principio di certezza del diritto, prima ancora che al suo precipitato penalistico costituito dal canone della de-terminatezza, non fosse destinata ad emergere solo caso per caso, attraverso un accerta-mento giudiziale sostanzialmente libero e non preventivabile negli esiti36.

Tutto sommato e in ultima analisi, però, la definizione italiana di sottoprodotto sembrava non presentare evidenti scostamenti dall‟elaborazione giurisprudenziale co-munitaria: lo statuto del sottoprodotto era, infatti, caratterizzato dal riutilizzo certo del materiale, senza trasformazione preliminare, nel processo di produzione.

Appariva invece censurabile il tentativo di escludere una volta per tutte dal no-vero dei rifiuti alcuni materiali ben individuati, contro l‟insegnamento della giurispru-denza comunitaria che da sempre e costantemente vietava presunzioni juris et de jure che avessero l‟effetto di restringere l‟ambito di applicazione della direttiva escludendo-ne sostanze, materie o prodotti che rispondono alla definizioescludendo-ne del termiescludendo-ne “rifiuti” ai sensi della stessa.

35 Secondo la sentenza Niselli il residuo di consumo, a differenza del residuo di produzione, è i-nidoneo a configurarsi come sottoprodotto di un processo di fabbricazione o di estrazione, e deve pertanto essere considerato rifiuto, a meno che non possa essere qualificato come “bene d'occasione”, riutilizzato in maniera certa e comparabile, senza previa trasformazione.

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Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 133-136)

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