• Non ci sono risultati.

La chiesa spagnola di fronte all’eventualità di nuove trattative per la revisione del Concordato del

Prima di avviare formalmente i negoziati, Casaroli aveva ritenuto imprescindibile risolvere talune difficoltà “insuperabili”558 come, l’impossibilità di estendere la

prenotificazione anche ai vescovi ausiliari, e ottenere la “seguridad moral de que el

Episcopado español está de acuerdo en que la Santa Sede inicie dichas conversaciones       

556 In realtà, in materia di nomine il governo era intenzionato a superare il sistema del candidato unico per ritornare al rispetto dell’art. VII del Concordato. Già il 26 luglio si decideva che fintanto che non si sarebbe giunti alla firma di un nuovo accordo, le parti avrebbero dovuto rispettare il Concordato “en todo

sus términos y, por tanto, seguir el procedimiento de las seinas y ternas para la provisión de las dicócesis vacantes; en justa reciprocidad con el constante ejercicio del privilegio del fuero por parte de las autoridades eclesiásticas”. Non era un valido argomento quello sostenuto dalla nunziatura secondo cui la

mancata accettazione dei nomi proposti avrebbe reso i negoziati più difficili. Al contrario, “el

incumplimiento del Concordato vigente desalentaría la buena disposición del Gobierno español […] pues no valdría la pena negociarlo si no hubiera de cumplirse”. Secondo il governo, la nunziatura

interpretava strumentalmente l’accordo del 1941. Com’è noto, l’accordo prescriveva alla nunziatura e al governo di trovare un “principio de acuerdo” su sei nominativi che, secondo il governo avrebbe potuto esso stesso indicare. L’accordo consentiva pure al pontefice, qualora non ritenesse idoneo nessuno dei nomi proposti, di indicare tre nuovi candidati su cui il governo avrebbe potuto sollevare obiezioni di carattere politico generale. Dal momento che non esisteva un divieto esplicito, i rappresentati statali ritenevano che fosse possibile eccepire tale tipo di obiezioni anche nei confronti dei candidati inseriti nelle sestine. Che la situazione non sarebbe cambiata molto presto si evince anche dal Memorandum del Ministero degli Esteri (9 ottobre) consegnato al nunzio e al segretario del Consiglio degli Affari Pubblici della Chiesa, in cui si notava “la Representación de la Santa Sede ha manifestado singular interés en

reducir al mínimo el número de candidaturas que presenta, llegando en varios casos a un candidato único, sin alternativa alguna, para cada sede a proveer”. Dinanzi a tale atteggiamento, il capo di Stato

aveva dato prova di buona volontà accettando i nomi proposti dal nunzio pur facendone notare l’anomalia rispetto al Concordato. Di fronte all’insistenza del nunzio nel voler utilizzare lo stesso procedimento per coprire le altre sedi vacanti, il capo dello Stato reagiva decidendo di applicare, senza alcuna eccezione, l’accordo del 1941. Per Casaroli, “esa medida iba a enturbiar el ambiente de la negociación […] volver

al sistema de seinas y ternas habiendo tantas sedes vacantes hacía casi imposible encontrar tantos candidatos idóneos”. Lo stesso notava come la formula utilizzata nelle ultime nomine era frutto di un

accordo tra il ministro López-Bravo e il nunzio per rendere più rapido il procedimento previsto dal Concordato e coprire così le numerose sedi vacanti. Sul punto si veda la lettera di Lojendio a José luis Los Arcos, direttore generale della politica estera spagnola, del 13 ottobre 1973.

557 Così P.M. de Santa Olalla Saludes, La Iglesia que se enfrentó a Franco, cit., p. 293. 558 Lettera dell’ambasciatore di Spagna, Lojendio, al ministro degli esteri, del 20 luglio 1973.

sobre temas ya previamente acordados, con actitudes previamente definidas, de manera que no de lugar a nuevos “ripensamenti””559. Pertanto, prima di comunicare la risposta

ufficiale, Casaroli aveva invitato il presidente della CEE a recarsi a Roma, possibilmente con qualche altro membro della CEE560 per discutere della questione,

anche in ragione del fatto che la visita del cardinale Jubany aveva rimesso in discussione un punto che sembrava ormai acquisito e cioè che la revisione attraverso accordi parziali non era da considerarsi come un requisito imprescindibile. L’arcivescovo di Barcellona riteneva che “si trattasse di due mali - sia trattare come non trattare -”, ed era convinto che “di essi il minore è(ra) procedere alle trattative”, ma considerava inopportuno firmare un Accordo con l’attuale regime soprattutto per una questione d’ordine morale, ritenendo preferibile mantenere in vigore gli articoli del Concordato vigente in tutti quei casi in cui non era possibile raggiungere una soluzione ideale.

Secondo Casaroli era necessario decidere con chiarezza la linea da seguire e ciò sia per un dovere di coerenza nei confronti del governo, sia per salvaguardare la credibilità della Santa Sede dinanzi all’opinione pubblica su cui sarebbe potuta cadere le responsabilità di un’eventuale paralisi dei negoziati, con pregiudizio della sua missione al servizio del bene comune561.

Nonostante l’opinione contraria manifestata da Jubany, gli altri membri del Consiglio di presidenza della CEE consideravano opportuno continuare a negoziare. In particolare, Tarancón e Bueno y Monreal, durante gli incontri con Casaroli, il 3 e 4 settembre 1973, avevano ribadito quanto era stato a suo tempo espresso sull’opportunità di avviare nuove trattative per la revisione del Concordato: dato il clima di tensione tra Chiesa e Stato, l’episcopato spagnolo considerava la ripresa dei negoziati non soltanto conveniente ma addirittura necessaria. In quest’ottica, ben si comprende la nuova posizione adottata dalla maggioranza dei vescovi di ritenere non imprescindibile la conclusione di accordi parziali. Si conveniva sulla necessità di considerare la revisione come una “actualización” del Concordato, termine quest’ultimo da intendersi non come un mero accomodamento delle disposizioni anacronistiche ai nuovi principi conciliari,

      

559 Lettera dell’ambasciatore di Spagna, Lojendio, al ministro degli esteri, del 28 luglio 1973.

560 ASP, b. 135, 13.2. Tale versione differisce con il racconto di V. Enrique y Tarancón, Confesiones, cit., p. 530 secondo cui fu lui a suggerire un incontro a Roma e non a Madrid, come era stato ipotizzato da Casaroli, e fu lui a non volersi recare a Roma da solo, data l’importanza della materia.

561 ASP, b. 135, 10.1 Memoria, corrispondenza e dichiarazioni del card. Narciso Jubany sulla procedura del Concordato, del 4 settembre 1973.

ma come un aggiornamento totale, opzione questa che sarebbe accolta in maniera positiva dal governo e dall’opinione pubblica562.

In ragione della riservatezza richiesta dal governo nello svolgimento delle trattative, monsignor Casaroli aveva chiesto ai suoi interlocutori di precisare secondo quali modalità si sarebbe dovuta realizzare la consultazione con la gerarchia nelle varie fasi delle trattative, ottenendo come risposta che la soluzione più agevole era quella di consultare il Consiglio di presidenza della CEE563.

Tarancón e Bueno y Monreal avevano indicato a Casaroli alcuni principi che il governo avrebbe dovuto accettare prima dell’avvio dei negoziati: 1) lo Stato doveva rinunciare al privilegio di presentazione e accettarne la sostituzione con la prenotificazione - la Chiesa rimaneva libera di nominare un candidato qualora le obiezioni del governo non risultassero convincenti -; 2) riconoscimento della libertà in materia di insegnamento; 3) riconoscimento del diritto dei genitori di fornire un’educazione religiosa ai figli. In tal senso, doveva essere assicurata alla Chiesa la libertà di organizzare l’insegnamento religioso nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università; 4) diritto della Chiesa di creare organizzazioni apostoliche e definirne l’ambito di competenza; 5) il sostegno economico prestato alla Chiesa doveva essere inteso non come un privilegio ma come una ‘remunerazione’ per il servizio sociale svolto. La Chiesa era libera di gestire tali sovvenzioni ma si impegnava a fornire informazioni allo Stato sul loro utilizzo564.

I principi indicati dai cardinali, opportunamente rielaborati, erano stati inseriti nella lettera565 di risposta che il cardinale Villot aveva inviato, il 20 settembre, al ministro

degli esteri. Attraverso la missiva, la Santa Sede dichiarava la propria disponibilità ad avviare i negoziati per la revisione dell’Accordo del ’53, accettava di definire previamente le materie da sottomettere a revisione e indicava alcuni principi basilari a cui tali negoziati si sarebbero dovuti ispirare: 1) riconoscimento della piena libertà della Chiesa nell’esercizio della sua missione evangelica, di culto e governo dei fedeli; 2) riconoscimento, in conformità con il decreto Christus Dominus, della libertà della Chiesa nella provvista delle cariche ecclesiastiche; 3) rinuncia al privilegio del foro e agli altri privilegi e contestuale riaffermazione del diritto della gerarchia di giudicare la

      

562 Memoria, corrispondenza e dichiarazioni del card. Narciso Jubany sulla procedura del Concordato, cit.

563 Ivi.

564 V. Enrique y Tarancón, Confesiones, cit., p. 531. 565 ASP, b. 135, 9.2.

conformità con il Vangelo e le leggi della Chiesa degli atti dei ministri di culto; 4) diritto delle associazioni di apostolato laico di essere libere di svolgere le proprie attività alle dipendenze della gerarchia; 5) garanzia del carattere cattolico dell’insegnamento per gli studenti cattolici e mantenimento dell’insegnamento della religione nelle scuole566.

Infine si ricordava l’impossibilità di estendere il privilegio della prenotificazione ufficiosa ai vescovi ausiliari.

Il timore sempre più concreto della possibile conclusione di un nuovo accordo con il regime aveva indotto tre vescovi, di cui restano sconosciuti i nomi, a formulare alcune osservazioni sull’opportunità di avviare nuove trattative. Il documento567 indirizzato a

Casaroli e Dadaglio analizzava i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla stipula di un accordo. Seguendo tale ragionamento, la Santa Sede non otteneva alcun vantaggio dalla firma di un Concordato ma si era dichiarata pronta a negoziare mossa dal timore di una regolamentazione unilaterale della materia religiosa e, per la stessa ragione, aveva accettato di condurre i negoziati a Roma - ammettendo di fatto una drastica riduzione del ruolo della nunziatura e della CEE -, era pronta ad iniziare i negoziati in un clima di tensione dimostrato dal fatto che il governo si opponeva sistematicamente al riconoscimento della personalità giuridica della CEE, aveva eliminato le sovvenzioni in favore dei seminari e delle università ecclesiastiche, regolato in maniera unilaterale l’insegnamento della religione, adottato un atteggiamento ostile nei confronti dei documenti dell’episcopato spagnolo e bloccato le conversazioni in atto per la regolamentazione della previdenza sociale del clero. Per le stesse ragioni, Casaroli aveva accettato di recarsi in Spagna pur consapevole del fatto che tale viaggio, come del

      

566 Come riportato da P.M. de Santa Olalla Saludes, La Iglesia que se enfrentó a Franco, cit., p. 296-296 la rivista Vida Nueva, nel numero del 3 novembre 1973 - erano in corso le riunioni tra Casaroli e López Rodó - riportava nove punti: revisione del concetto di confessionalità statale, in maniera non dissimile da quanto previsto nel Concordato colombiano; rinuncia al privilegio del foro previo riconoscimento della libertà della Chiesa di predicare il Vangelo; rinuncia da parte del governo al privilegio di presentazione e introduzione della prenotificazione ufficiosa da non intendersi, in nessun caso, come diritto di veto, e non estendibile ai vescovi ausiliari; riconoscimento della libertà delle associazioni create dall’autorità ecclesiastica; riconoscimento a tali associazioni della libertà di pubblicare documenti; riconoscimento della libertà della Chiesa in materia di insegnamento religioso; i programmi religiosi trasmessi sui mass media dovevano essere posti alle dipendenze dell’autorità ecclesiastica; riconoscimento della personalità giuridica della CEE che diventava un valido interlocutore delle autorità statali; ricerca di una “fórmula

equitativa” in materia economica. Mentre la Santa Sede dava poca rilevanza alla diffusione di documenti

apocrifi, il ministero sembrava piuttosto preoccupato al punto di chiedere al suo interlocutore di elaborare un documento congiunto per smentire tali versioni. Si veda AGUN, 05A/ Acta de la reunión entre la

delegación de la Santa Sede y la del Ministerio de Asuntos Exteriores en su sesión del día 2 noviembre 1973.

resto l’annuncio dell’avvio delle trattative, sarebbe stato interpretato come un importante sostegno al governo.

Secondo gli autori, lo Stato avrebbe invece ottenuto vantaggi della conclusione di un Accordo. In effetti, la Spagna non era completamente fuoriuscita dall’isolamento internazionale. In questo senso, la conclusione di un Concordato avrebbe consentito allo Stato di ottenere una nuova legittimazione sul piano internazionale e avrebbe significato la “legitimación del supuesto “Estado de derecho”” e, dunque, il passaggio “”de

Franco a las instituciones”, convirtiendo en permanentes y normales aquellas situaciones de excepción legitimadas temporalmente”. In sostanza, con la sottoscrizione

di un nuovo Concordato si accettava il franchismo anche dopo la morte di Franco. E ciò, nonostante il futuro politico fosse assolutamente incerto: la nomina del principe e del capo del governo, infatti, non potevano essere considerati quali elementi certi della sopravvivenza del franchismo. Attraverso il nuovo accordo il governo intendeva porre fine anche a tutti quei problemi connessi con la libertà che alla Chiesa era stata concessa tramite in Concordato e che sarebbe potuta venir meno attraverso l’abolizione del privilegio del foro.

Per i vescovi, dunque, non era “este el momento de comprometer para el futuro los

aspectos más importantes de la Iglesia en España”. Se la ragione principale che

spingeva la Santa Sede alla revisione del Concordato era la libera provvista delle sedi episcopali, la sottoscrizione di un accordo non sembrava più una questione urgente dal momento che, negli ultimi anni, il problema era stato risolto grazie alla “prudente y

firme actuación” della nunziatura, attraverso la nomina di vescovi ausiliari.

Poiché la Santa Sede aveva accettato di avviare le trattative per la revisione del Concordato si suggeriva di: chiedere allo Stato una prova di buona volontà che avrebbe potuto facilitare la distensione dei rapporti; analizzare previamente tutte le clausole incompiute del vecchio Concordato; rispettare fedelmente i punti fissati nella lettera del cardinale Villot. Alla luce di tali considerazioni, gli autori consideravano improbabile la buona riuscita dei negoziati e suggerivano pertanto di “seguir ateniéndose al “status

quo” hasta tanto no se verifiquen las “provisiones sucesorias””.

Analoghe considerazioni si ritrovano nel promemoria che il cardinale Jubany aveva inviato a Benelli568, con preghiera di sottoporlo all’attenzione dei superiori569. Il       

568 Lo stesso, in un appunto autografo, si chiedeva se il fascicolo non dovesse essere rimesso a monsignor Casaroli ASP, b. 135, 10.3.

cardinale facendosi interprete del sentimento di vescovi, sacerdoti e laici sull’eventuale conclusione di un nuovo accordo scriveva: “el momento presente es extremamente

delicado y […] cualquier paso que la Iglesia dé puede originar consecuencias pastorales muy graves para el catolicismo de nuestro país”. Il documento sottolineava

il timore che il nuovo testo, nonostante l’intenzione più volte manifestata dalla Santa Sede di voler procedere in accordo con la CEE, venisse negoziato dalla diplomazia pontificia, con esclusione della gerarchia spagnola.

I cambiamenti in atto a livello statale - la prevedibile scomparsa del caudillo rendeva il futuro politico-istituzionale del Paese assolutamente incerto -, e a livello ecclesiastico - i principi proclamati dal Vaticano II imponevano di modificare il codice di diritto canonico -, rendevano inopportuna la firma di un Concordato. Al pari dei tre vescovi sopra richiamati, Jubany ritevena che a beneficiare del testo sarebbe stato esclusivamente il regime. Di fronte all’impossibilità di entrare nel Mercato Comune, la stipula di un accordo con la Santa Sede costituiva l’unico mezzo di accreditamento della Spagna a livello internazionale, realizzandosi in tal modo un effetto analogo a quello prodotto dal Concordato del ’53. Era anche probabile che la popolazione spagnola avrebbe considerato l’Accordo come “una claudicación ante el régimen; el cual,

aunque se proclame católico, no aplica en su legislación los postulados de la doctrina de la Iglesia”.

Nelle circostanze attuali, continuava il cardinale, era molto difficile giungere a un accordo accettabile per ambo i contraenti: si poteva soltanto elaborate un Concordato “confeccionándolo a base de principios generales” ma questo sarebbe stato un “error

absoluto” dal momento che tali principi avrebbero poi dovuto trovare un’attuazione

pratica attraverso intese con la CEE. Poiché ciò era difficilmente realizzabile sul piano pratico, la conclusione di un accordo di siffatto tipo avrebbe prodotto un vuoto giuridico con conseguenze “funeste” per la vita della Chiesa in Spagna.

L’unica via percorribile sarebbe stata, dunque, quella degli accordi parziali: sottomettere a revisione le disposizioni anacronistiche e lasciare in vigore il resto del testo “hasta

que vengan tiempos mejores”. Anche per Jubany era opportuno chiedere al governo un

gesto di buona volontà prima di avviare i negoziati, come poteva essere, ad esempio, la provvista delle sedi vacanti, entro due mesi.

      

569 Il documento è datato 5 novembre 1973, due giorni dopo la conclusione del viaggio di Casaroli in Spagna.

Outline

Documenti correlati