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Delimitazione delle competenze e “autocontrollo” dei vescovi: la ‘formula Acerbi’

2. L’avvio di nuove trattative per la revisione del Concordato

2.1 Delimitazione delle competenze e “autocontrollo” dei vescovi: la ‘formula Acerbi’

Casaroli aveva manifestato le sue perplessità circa la possibilità di soddisfare la richiesta del governo di definire, in maniera preliminare all’avvio delle trattative, una “más clara

delimitación de los campos que corresponden a la acción propia de la Iglesia y del Estado” e individuare un meccanismo di prevenzione e risoluzione dei conflitti, per un

duplice ordine di ragioni: date le molteplici (e non di rado confliggenti) esigenze delle parti, una chiarificazione completa era un’operazione tutt’altro che semplice; il Concordato, per sua natura era uno strumento inidoneo per definire minuziosamente tali ambiti. In alternativa, Casaroli considerava ipotizzabile uno scambio di documenti, in forma di lettera o di promemoria, che servissero da criterio-guida per l’interpretazione del futuro Accordo656.

Nonostante tali perplessità, il segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici straordinari non aveva esitato ad affidare al suo collaboratore, mons. Angelo Acerbi, il compito di elaborare una formula da sottomettere alla prudente considerazione dell’episcopato spagnolo e, in un momento successivo, alle autorità statali. La proposta di Acerbi era redatta nei seguenti termini:

“I. 1) La Chiesa e lo Stato sono indipendenti e autonomi l’una e l’altra nel proprio campo. Essendo entrambi, anche se a titolo diverso, a servizio delle stesse persone umane, la Chiesa e lo Stato coltiveranno una sana collaborazione tra di loro. 2) Lo Stato riconosce alla Chiesa piena libertà nell’esercizio della sua missione evangelizzatrice, del culto e del governo dei fedeli. 3) La Chiesa riconosce e rispetta la sovranità dello Stato e la sua autonomia nelle soluzioni in campo politico, ferma restando la sua missione di insegnare liberamente ed integralmente la sua dottrina in campo dogmatico e morale e di valutare le applicazioni concrete che presiedono all’ordine temporale.

II. 1) Non si può escludere che in casi concreti le valutazioni della Chiesa e dello Stato divergano. 2) La divergenza può arrivare al punto che lo Stato giunga a ritenere che un comportamento da parte di ecclesiastici non solo vada oltre i diritti della Chiesa, ma sia

      

in contrasto con leggi penali dello Stato, mentre per la Chiesa detto comportamento non rappresenta una difformità con il Vangelo.

III. 1) Rinunciando al privilegio del foro, la Chiesa non può rinunciare alla propria competenza di giudicare la conformità di un atto ministeriale con il Vangelo e con le leggi della Chiesa. Si tratta, evidentemente, di un giudizio morale estraneo all’azione giudiziaria dall’autorità civile eventualmente intrapresa. 2) I conflitti dovrebbero essere, nella misura del possibile, prevenuti o attenuati con lo spirito di buona volontà di entrambe le parti. A tal fine i Vescovi, da parte loro, dovrebbero usare grande vigilanza e forse studiare in seno alla conferenza Episcopale una formula di “autocontrollo” che consenta di evitare interventi imprudenti o inopportuni anche a livello vescovile. 3) Nello spirito di buona armonia e nell’intento di evitare, nei limiti del possibile, una manifestazione pubblica delle divergenze di cui al n. II, sarebbe auspicabile anche per poter trovare un “modus procedendi”, sia a livello locale che a livelli superiori, per prevenire o soavizzare possibili situazioni conflittive”.

Prima di essere prospettata alle autorità governative, tale soluzione veniva analizzata dal Consiglio di presidenza della CEE657 che, attraverso il suo segretario, mons. Yanes,

forniva alcune raccomandazioni: la delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza di Chiesa e Stato doveva essere formulata in termini pressoché identici ai documenti conciliari; il dialogo doveva essere considerato come l’unico strumento idoneo a prevenire i conflitti; era inammissibile l’inserimento all’interno del nuovo Accordo di una disposizione concernente l’autocontrollo dell’episcopato658.

Tali generiche indicazioni erano accompagnate dai pareri redatti singolarmente dai cardinali e dal segretario generale della CEE. Va preliminarmente precisato che, sebbene tutti i membri del Consiglio di presidenza della CEE avevano valutato positivamente la ripresa dei negoziati, non esisteva uniformità sul modo di approcciarsi alla revisione. E’ possibile distinguere due principali posizioni – che, di fatto, ricalcavano l’atteggiamento assunto dall’episcopato nei confronti del potere politico – l’una che assoggettava l’avvio delle trattative al soddisfacimento di condizioni previe, l’altra secondo cui era “no sólo útil sino necesario negociar y llegar a una actualización

del Concordato”659. Il primo orientamento era sposato dal settore aperturista della       

657 Il Consiglio di presidenza era formato dai cardinali Tarancón, Gonzáles, Bueno y Monreal e Jubany. 658 ASP, b. 136 Nota a firma di Yanes, 20 giugno 1974.

659 Il parere dell’arcivescovo di Toledo, come quello di Tarancón era stato inviato alla Santa Sede dopo la celebrazione degli incontri. ASP, b. 136, 17.3.

chiesa spagnola, in modo particolare, da Tarancón che riteneva necessario fissare prima dell’avvio delle trattative “los principios que deben iluminar y condicionar toda la

negociación” che “no pueden ni deben discutirse”660 e da Jubany che suggeriva quale

precondizione all’avvio di nuovi negoziati il compimento di un gesto di buona volontà da parte dello Stato, ad esempio in materia di insegnamento. In una linea diametralmente opposta si poneva il primate di Spagna, Marcelo Gonzáles, secondo cui l’incertezza sul futuro politico del Paese rendeva necessario addivenire a Patti prima della morte del Caudillo: un nuovo Concordato avrebbe consentito alla Chiesa di muoversi secondo coordinate ben determinate ed evitato il diffondersi di un indifferentismo in materia religiosa tra i cittadini661.

In generale, l’idea suggerita da Casaroli di un documento addizionale in cui indicare i principi interpretativi del nuovo Accordo era stata considerata inaccettabile. In questi termini si era espresso Yanes662 secondo cui le questioni che si pretendeva di

regolamentare attraverso un documento aggiuntivo avevano natura metagiuridica e, in quanto tali, non potevano essere oggetto di negoziato. In caso contrario non poteva escludersi il rischio di una redazione eccessivamente generica rispetto ai documenti conciliari e, dunque, imprecisa e fonte di ulteriori problemi, né di una stesura più precisa e dettagliata rispetto al Vaticano II. In tale caso, si rischiava che tali principi venissero intesi non soltanto come criterio ermeneutico del nuovo Accordo quanto, in generale, dei documenti conciliari.

Una posizione simile era stata assunta anche dal presidente della CEE. Per Tarancón, infatti, il desiderio del governo di una chiara delimitazione delle competenze poteva essere soddisfatto attraverso l’introduzione di una disposizione concernente il riconoscimento esplicito e reciproco della natura e della missione di Chiesa e Stato663.

Tra tutti, ad assumere una posizione fortemente critica era Jubany che considerava l’intera formula non sufficientemente rispettosa dei principi conciliari. Nel pensiero del cardinale, era necessario esplicitare la missione evangelizzatrice della Chiesa in senso più conforme al principio per cui “la santa Chiesa è, per divina istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà” (L.G., n. 32) dal momento che il testo proposto finiva per

      

660 ASP, b. 136, 17.2 Allegato alla lettera di Luigi Dadaglio a Casaroli, 26 giugno 1974. Si tenga presente che il parere del presidente della CEE era stato redatto in una data successiva alla celebrazione degli incontri tra Acerbi e Los Arcos.

661 ASP, b. 136, 17.3, cit.

662 ASP, b. 136 Nota a firma di Yanes, 20 giugno 1974.

identificare la Chiesa con la gerarchia e marginalizzare i laici, che pure partecipavano alla sua missione, individualmente e attraverso associazioni (cap. IV Lumen Gentium); era necessario riformulare anche il punto I.3, concernente la libertà della Chiesa in senso più conforme al n. 76 della Gaudium et spes e richiamare esplicitamente il n. 13 della Dignitatis humanae al fine di precisare che la cooperazione tra Chiesa e Stato non poteva essere intesa come assoggettamento della prima alla seconda.

Pur condividendo tale ultimo punto, il primate riteneva che “la Iglesia […] puede y

debe demostrar una colaboración con la autoridad civil para el mejor logro del bién común”. Tale collaborazione, sotto forma di dialogo, era auspicabile in tutti quei casi

che sarebbero potuti sfociare in aperti conflitti tra le due autorità. In particolare si raccomandava alla CEE di cercare un dialogo con le autorità civili prima di procedere alla pubblicazione di documenti concernenti “asuntos de muy grave importancia”, al duplice scopo di rendere nota la propria posizione e ottenere maggiori informazioni dalle competenti autorità. Allo stesso modo, la CEE doveva chiedere di essere sentita prima dell’emanazione di norme concernenti i diritti umani o il bene spirituale dei cittadini. Da parte sua, lo Stato, di fronte alle dichiarazioni o a quei comportamenti dei vescovi e sacerdoti potenzialmente conflittivi, doveva sforzarsi di non applicare sistematicamente le disposizioni normative ma cercare il dialogo.

Con riferimento al tema dell’autocontrollo, i cardinali convenivano sull’inopportunità di includere una formula di siffatto tipo all’interno del nuovo Accordo664. Per Yanes665, ad

esempio, non si poteva impedire ai vescovi di affrontare i problemi di speciale gravità concernenti il proprio territorio666, assoggettare tale diritto alla previa autorizzazione

delle autorità civili667, né tantomeno era opportuno trasformare la CEE in un organo di

controllo o in uno strumento di pressione dei vescovi668.       

664 Soltanto Marcelo Gonzales aveva ritenuto opportuna ma difficilmente realizzabile l’introduzione di una formula di siffatto tipo. ASP, b. 136, 17.3, cit.

665 Il segretario della CEE si soffermava poi su un ultimo aspetto, vale a dire la partecipazione dei vescovi nel processo di revisione concordataria. Pur ritenendo impossibile consultazioni frequenti su tutti i temi, riteneva non sufficiente la sola consultazione del Consiglio di presidenza e le risposte date al questionari del 1973.

666 ASP, b. 136 Nota a firma di Yanes, 20 giugno 1974, cit.

667 In questi termini si era espresso l’arcivescovo di Madrid ASP, b. 136, 17.2 Allegato alla lettera di Luigi Dadaglio a Casaroli, 26 giugno 1974, cit.

668 Nello stesso senso si esprimevano Bueno y Monreal e Jubany. Per quest’ultimo “en esta materia, solo

cabe una apelación a la prudencia de cada obispo y a la obediencia que los eclesiásticos deben a las leyes de la Iglesia y a su proprio Ordinario”. A tal proposito Tarancón, in ASP, b. 136, 17.2 Allegato alla

lettera di Luigi Dadaglio a Casaroli, 26 giugno 1974, cit., osservava: “1) la Conferencia Episcopal no

puede ejercer ese “control” sobre los Obispos: rebasa sus facultades; 2) Cualquier institucionalización de ese “control”, aunque fuera por iniciativa y por mandato de la Santa Sede sería peligrosa y

La formula ideata da Acerbi era sottoposta all’attenzione del governo e, in particolare di Los Arcos, direttore generale della politica estera spagnola. Prima di esaminare la proposta, Los Arcos si premurava di chiarire i principi basilari che, secondo il governo, avrebbero dovuto orientare l’elaborazione di un nuovo Accordo: a) lo Stato avrebbe preso parte ai negoziati quale soggetto ‘aconfessionale’, con l’ovvia conseguenza che non si sarebbe potuto esigere da esso una adesione, esplicita o implicita, ai principi dottrinali della Chiesa; b) le basi per la preparazione di un nuovo Accordo erano unità di criteri, intendendosi con ciò la definizione previa delle materie da sottomettere a revisione, e di autorità – Los Arcos specificava che gli unici interlocutori validi erano Santa Sede e Ministero degli Affari Esteri –; c) a livello contenutistico era opportuno eliminare qualsiasi dichiarazioni di principio - il nuovo testo doveva essere chiarificatore e non dichiarativo, prescindere da formulazioni vaghe e imprecise e non lasciare margine ad interpretazioni equivoche delle norme -; d) era necessario delimitare in maniera sufficientemente precisa i campi di azione della Chiesa e dello Stato, allo scopo di superare le difficoltà esistenti e di prevenirne future; e) il nuovo testo, a prescindere dall’eventuale presenza di clausole interpretative simili all’art. XXXV dell’attuale Concordato, avrebbe dovuto contenere un meccanismo efficace per la risoluzione dei conflitti669.

Con specifico riferimento alla ‘formula Acerbi’, al pari dei vescovi, ma per motivi opposti, Los Arcos riteneva imprescindibile l’introduzione di alcune specificazioni. Era necessario che la Santa Sede precisasse chiaramente la portata dei principi che intendeva inserire nel nuovo Accordo. In particolare, anche alla luce dei più recenti accadimenti, si chiedeva di chiarire il significato della ‘missione evangelizzatrice della Chiesa’ e quali fossero le implicazioni della Chiesa nell’ordine temporale (cosa poteva fare la Chiesa, chi poteva farlo, chi assumeva la responsabilità di tali interventi)670. Al

contrario, secondo Acerbi, tali principi non avevano bisogno di essere ulteriormente

       produciría malestar en los Obispos […] Todos comprenderían que se había cedido a una presión del Gobierno y en cosa que atañe la misión propia de los Obispos; 3) Alguna “recomendación” de la Santa Sede sobre algún asunto determinado podría ser acetable; quizá conveniente”.

669 Riunione del 22 giugno 1974, ASP., b. 136, 17.1. Per una ricostruzione degli incontri attraverso i documenti ministeriali si rimanda a P.M. de Santa Olalla Saludes, La Iglesia que se enfrentó a Franco, cit., p. 373 ss..

specificati dal momento che il loro significato era già sufficientemente esplicitato nei documenti conciliari671.

Per quanto concerne il metodo di lavoro, il direttore generale della politica estera suggeriva di partire dai casi concreti per risalire alla determinazione dei principi e a formulazioni di carattere generale672, anche al fine di evitare l’inserimento di enunciati

del tutto ovvi673.

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