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Il questionario della Commissione permanente della Conferenza episcopale sull’eventuale conclusione di un nuovo Concordato.

La Commissione permanente della CEE, al fine di soddisfare il desiderio della Santa Sede di conoscere il parere dell’episcopato spagnolo, aveva interpellato tutti i membri della CEE con diritto di voto attraverso la somministrazione di un questionario604. Tale       

604 Nel dicembre del 1973 i vescovi con diritto di voto nella CEE erano 82. Di questi, solo 7 non hanno risposto al questionario, quattro dei quali per essere materialmente impossibilitati (malattia o viaggio). La

modalità di consultazione non era nuova se si pensa che già nel 1969, il segretario generale della CEE, su indicazione del nunzio, aveva agito nello stesso senso. Ma, rispetto al 1969, esistono alcune differenze rilevanti. Innanzitutto, la composizione della CEE era profondamente mutata, in un senso più vicino ai principi conciliari. Come se non bastasse, al fine di rendere ancora più visibile l’atteggiamento aperturista dell’organismo, il questionario era stato inviato non a tutti i membri, ma soltanto a quelli con diritto di voto. Ciò significava che i vescovi ausiliari erano chiamati ad esprimere la loro posizione mentre ne erano esclusi gli emeriti che, di fatto, erano tra i pochi ad essere ancora fedelmente legati al regime. Infine, mentre nel 1969 l’intenzione era di modificare quei punti per cui la revisione era diventata improcrastinabile ma di non sottoscrivere un nuovo Accordo, nel 1973 si riteneva necessario redigere un nuovo testo in armonia con i principi conciliari e la mutata situazione sociale.

La prima domanda, come era prevedibile, riguardava i rapporti Chiesa-Stato. In questo senso si chiedeva ai vescovi ¿Que solución le parece más aceptable para canalizar

juridicamente las relaciones Iglesia-Estado en España? offrendo come alternative il

mantenimento dello status quo, la revisione parziale o totale e l’abolizione del Concordato. Nulla si precisava con riferimento alla forma in cui realizzare tale revisione (nuovo Concordato o accordi parziali) ma ciò non deve destare alcuna sorpresa dal momento che - si è visto - a partire dal 1973, per la gerarchia spagnola gli accordi parziali non costituivano più una conditio sine qua non. La preferenza per la soluzione indicata dal governo è confermata dal lessico utilizzato nella formulazione delle domande in cui, non di rado, si fa esplicito riferimento al Concordato. Alla luce di quanto sinora affermato, è facilmente intuibile anche l’esito delle risposte: soltanto un vescovo riteneva opportuno mantenere inalterate le relazioni Chiesa-Stato, mentre una netta maggioranza optava per revisione profonda del Concordato605.

Chiamati ad esprimersi sulla confessionalità statale - la domanda era formulata in maniera tale che i vescovi manifestassero il loro parere non sull’opportunità del riconoscimento della confessionalità, ma sul modo in cui questa doveva essere

      

Commissione permanente della CEE, per favorire una migliore comprensione dei dati, precisava che ad alcune domande era possibile fornire più risposte per cui “el número de respuestas no debe pues

interpretarse como una dispersión de votos sino como el diverso grado de adhesión que el Episcopado da a cada una de las respuestas propuestas”. ASP b. 135, 12.

605 Le risposte erano così suddivise: 1 favorevole al mantenimento della situazione attuale; 14 a sostegno di una revisione parziale del Concordato; 53 auspicavano una revisione profonda del testo e 9 ne sostenevano la soppressione.

esplicitata all’interno del nuovo testo - i vescovi non assumevano una posizione netta: 38 ritenevano che la religione cattolica dovesse essere definita come la “confesión

religiosa de los ciudadanos, cuyos derechos el Estado debe defender y tutelar” e

optavano, dunque, per un confessionismo sociologico; 33 ancoravano il riconoscimento della confessionalità al “tradicional sentimiento de la nación española”; 22 sostenevano che la religione cattolica era un “elemento fundamental del bien común”; per 11 vescovi il cattolicesimo costituiva un “elemento de desarollo integral del publo” e per altri 11 esso doveva comparire nel nuovo testo come la “religión oficial”. A prescindere dal riconoscimento formale della confessionalità statale e dalla divergenza di opinioni sul modo di realizzarla, la quasi totalità dei vescovi (60) riteneva necessario inserire all’interno del Concordato, un esplicito riferimento alla libertà religiosa delle confessioni diverse dalla cattolica, dei suoi fedeli e, in generale, di tutti i cittadini.

In linea con i postulati conciliari e al fine di evitare quella commistione e confusione di poteri che aveva finito per contraddistinguere i rapporti Chiesa-Stato in Spagna soprattutto a partire dagli anni ‘60 , tutti i vescovi convenivano sulla necessità di inserire nel nuovo Accordo l’impegno delle parti al rispetto della reciproca autonomia e indipendenza. In questo senso si considerava indispensabile il riconoscimento, da parte dello Stato, della libertà di comunicazione dei vescovi e della CEE con la Santa Sede, i sacerdoti e i fedeli, del diritto della Chiesa di “predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime” utilizzando mezzi conformi al Vangelo e “in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni” (Gaudium et spes, n. 76); del diritto di istituire e dirigere mezzi di comunicazione sociale e di controllare, per il tramite della gerarchia, i programmi religiosi trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione dello Stato.

Il questionario dedicava spazio al tema, sempre più attuale, delle associazioni di apostolato laico e chiedeva ai vescovi di esprimere il proprio parere sul dovere dello Stato di garantire a tutte le associazioni, e non più dunque alla sola ACE, la libertà di agire con riferimento alle attività apostoliche indicate nei rispettivi statuti. Ben 63 vescovi accettavano tale soluzione e il contestuale assoggettamento delle associazioni suddette alla legislazione generale dello Stato, con riferimento ad attività di altro genere.

Secondo molti vescovi, il nuovo testo doveva esplicitamente garantire alla Chiesa il diritto di istituire, modificare e sopprimere le circoscrizioni ecclesiastiche, previa comunicazione alle autorità statali, cui era riconosciuto il diritto di sollevare obiezioni. Anche se tutti i vescovi escludevano che tali osservazioni potessero avere carattere di veto, non esisteva una omogeneità di pensiero sull’effettivo grado di vincolatività: alcuni optavano per una posizione piuttosto generica, per cui tali obiezioni dovevano essere tenute in considerazione (32); altri ritenevano che tali obiezioni erano da “prendere seriamente in considerazione” (39).

Posto che il diritto di nomina era proprio e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica, il questionario chiedeva ai vescovi se, ed eventualmente in quali termini, poteva riconoscersi qualche facoltà allo Stato. Ai due estremi si collocano quanti ritenevano che fosse necessario mantenere il privilegio di presentazione, come sancito nell’accordo del 1941 (5), e chi riteneva che non dovesse essere garantito alcuni diritto (11). Ben 58 risposte indicavano la preferenza, come già accaduto nel 1969, verso l’introduzione della prenotificazione. Tale ipotesi avrebbe consentito allo Stato di sollevare obiezioni da “tenere seriamente in considerazione”606.

Il questionario dedicava ampio spazio alla materia educativa, forse anche in ragione della recente tendenza, da parte dello Stato, a disciplinare unilateralmente la questione. Per settantadue vescovi, lo Stato, “en atención especialmente a la conciencia católica

de la mayoría del pueblo español”, doveva “comprometerse a que la educación que se imparta en los centros docentes estatales y no estatales, se inspire en la concepción cristiana de la vida y en el respeto a la condición religiosa de los alumnos”. In questo

senso, era necessario riaffermare nel Concordato anche l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, fatta eccezione per gli studenti non cattolici o per coloro i quali avevano espressamente dichiarato di non voler ricevere istruzione religiosa607. La quasi totalità dei vescovi

concordava sulla necessità di riconoscere alla gerarchia ecclesiastica la competenza sui

      

606 Come nel caso delle circoscrizioni ecclesiastiche, anche in materia di nomine, nessun vescovo ammetteva che le obiezioni sollevate dalle autorità statali potessero avere carattere di veto. Alcuni ritenevano addirittura che tali obiezioni dovessero essere intese come mere informazioni (9). Per altri si trattava di “simple objeciones a tener en cuenta” (25). Quaranta vescovi, invece, ritenevano che tali osservazioni dovevano essere prese seriamente in considerazione.

607 A tal proposito è necessario distinguere tra quanti ritenevano obbligatorio tale insegnamento nelle scuole primarie e secondarie (38) da quanti vi includevano anche il sistema universitario (37). Pochi invece erano coloro che riconoscevano come obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica solo a livello di istruzione primaria (3) e soltanto 2 erano i vescovi che si spingevano fino a considerarlo non obbligatorio in nessun grado scolastico.

programmi e sui libri di testo e, con specifico riferimento ai docenti di religione, considerava requisiti indispensabili per l’insegnamento il possesso del certificato di idoneità rilasciato dall’autorità ecclesiastica e la qualifica giuridica della missio

canonica da parte del vescovo diocesano. Nelle circostanze attuali, a molti pareva

opportuno riconoscere il diritto della Chiesa di istituire scuole di ogni ordine e grado, in grado di rilasciare titoli di studio riconosciuti a livello statale e di godere delle sovvenzioni economiche in maniera non dissimile rispetto alle scuole statali.

In materia economica, si chiedeva ¿Cree que debe señalarse una prestación o una

dotación económica por el estado para las atenciones específicas del ministerio pastoral (culto y clero)? Soltanto un vescovo rispondeva in maniera negativa, alcuni

auspicavano che tale sostegno avvenisse “por piezas y por entidades determinadas” (23) - ipotesi questa che era stata esclusa nel 1969 per evitare che i sacerdoti potessero essere assimilati a funzionari pubblici -, mentre la maggior parte auspicava che “el

Estado haga la dotación anualmente y de forma global a la Conferencia episcopal y deje a ésta la administración y distribución de los fondos” (51). Quasi tutti, invece,

convenivano sul fatto che tale dotazione sarebbe stata determinata annualmente da una Commissione mista composta dai rappresentanti dello Stato e della CEE e avrebbe trovato la sua legittimazione non più nelle passate alienazioni ma nel “reconocimiento

del Estado de la contribución de la iglesia al bien de la nación”.

Muovendo dalla convinzione che, attraverso le attività pastorali, chierici e religiosi offrivano un servizio ai fedeli e alla società spagnola, il questionario domandava se era opportuno estendere a tali figure le disposizioni in materia di previdenza sociale, e secondo quali modalità. I vescovi si pronunciavano a favore di tale inclusione: secondo una ristretta minoranza, ciò doveva avvenire “de forma similar a las clases pasivas del

Estado para lo que se asignará en la dotación de la Iglesia, la cantidad oportuna” (18);

mentre per la maggioranza dei vescovi doveva essere realizzato attraverso “una

organización similar a las Mutualidades del Instituto Nacional de Previsión” (60).

Con riferimento al privilegio del foro, mentre alcuni continuavano a mostrare una certa reticenza verso la sua totale abolizione (10), altri ritenevano doveroso rinunciarvi sia nelle cause civili che criminali (43) e altri ancora si spingevano fino ad affermare che era necessario rinunciare al privilegio anche con riferimento ai reati commessi nell’esercizio del ministero sacerdotale, specificando però che la Chiesa era l’unico soggetto legittimato giudicare la conformità di tali atti rispetto alla sua dottrina (39).

Per quanto riguarda l’inviolabilità dei luoghi sacri, l’indirizzo maggioritario supportava una posizione ‘tradizionalista’, nel senso di consentire l’ingresso della forza pubblica solo nei casi di urgente necessità, solo dopo l’invio delle specifiche motivazioni all’ordinario del luogo.

CAPITOLO IV

L’avvio di nuove trattative per la revisione del Concordato

Sommario: 1. Il governo di Arias Navarro: dal dialogo alla rottura delle relazioni con la Conferenza episcopale. - 2. L’avvio di nuove trattative per la revisione del Concordato. - 2.1 Delimitazione delle competenze e “autocontrollo” dei vescovi: la ‘formula Acerbi’.

- 3. Il progetto Casaroli-Cortina. - 4. Osservazioni del Consiglio di presidenza della

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