Il 18 novembre 1968, nel corso dell’assemblea plenaria della CEE, il nunzio comunicava ai vescovi il desiderio della Santa Sede e del Governo spagnolo di avviare i lavori per la revisione del Concordato e, contemporaneamente, chiedeva di istituire un gruppo di studio con il compito di elaborare - a partire dall’analisi dei risultati del questionario inviato dal segretario generale della CEE a tutti i vescovi - un anteproyecto
de los puntos que juzgase deberían ser sometidos a revisión355. L’organismo incaricato
del compito, la Junta episcopal para colaborar en la reforma del derecho canónico, il 31 gennaio del 1969 consegnava il documento finale in cui si esaminavano i risultati del questionario e si fornivano alcuni suggerimenti.
Posto che non si trattava di sottoscrivere un nuovo accordo, l’anteproyecto si limitava a indicare gli articoli da sottomettere a revisione distinguendo tra puntos de mayor
importancia (artt. I, VII, XI, XVI, XIX, XX, XXII, XXIII, XXIV, XXVI, XXVII,
XXVIII, XXXI, XXXIV) e puntos de menor importancia (artt. V, VIII, IX, X, XII, XV, XVII, XXI, XXX, XXXII, Protocollo finale).
Con riferimento all’art. I, alla domanda ¿Se revisa el texto conforme a la Ley de libertad
religiosa y al Fuero de los Españoles, reformado en la Ley orgánica del 10 enero 1967?, su un totale di 51 risposte, ben 47 erano positive. Tra queste, però, 15
sottolineavano come la riforma dovesse realizzarsi quoad modum, introducendo cioè in alternativa alla formula “sigue siendo la única”, il riconoscimento che la religione cattolica es la del Estado español (o de la Nación), oppure de la casi totalidad (e, in alternativa, de la mayoría o de la inmensa mayoría) de los españoles. A chiusura dell’analisi, la Junta suggeriva di eliminare l’art. I e introdurre nel Preambolo del Concordato l’inciso que es la de la mayoría de los españoles, in maniera non dissimile da quanto stabilito dal Concordato del Venezuela.
In materia di nomine, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti attendere, i vescovi non fornivano indicazioni puntuali sulla redazione del nuovo testo ma si limitavano a rispondere alle domande del questionario: alla prima, relativa alla necessità di rivedere l’art. VII per adeguarlo a quanto disposto dal n. 20 del decreto Christus Dominus e dal n. 10 del Motu proprio Ecclesiae Sanctae, quasi tutti (48) rispondevano affermativamente; alla seconda, sull’introduzione di un esplicito riferimento alla prenotificazione in favore dello Stato all’interno del testo, solo 34 si erano mostrati favorevoli mentre alcuni, pur ritenendo la prenotificazione ammissibile a livello pratico, pensavano che nessuna menzione ad essa dovesse essere fatta nel Concordato. A partire dai dati raccolti, la Junta, prendendo ad esempio, ancora una volta, il Concordato con il Venezuela356, suggeriva l’introduzione della prenotificazione nell’art. VII e, in caso di
revisione del Concordato, l’abrogazione dell’accordo del 1941.
Per ciò che concerne il privilegio del foro, i vescovi erano stati chiamati ad esprimersi su quanto era stato discusso e votato nell’ultima riunione della plenaria. Allora, infatti,
356 A. Ingoglia, La partecipazione dello Stato alla nomina dei vescovi nei Paesi ispano-americani, cit., p. 77-78 il Concordato con il Venezuela era stato stipulato durante la celebrazione del Vaticano II. Al di là delle affinità che il testo, inevitabilmente, manteneva con i Concordati pre-conciliari, non possono non sottolinearsi alcuni aspetti che rispondono ai mutati bisogni della Chiesa. In questo senso va, ad esempio, la disciplina del procedimento di nomina dei vescovi, almeno per ciò che concerne il superamento del vecchio sistema di patronato. Infatti, l’art. 6 introduceva il sistema di notifica previa del nome del candidato per consentire al governo di manifestare obiezioni di carattere politico generale. La rottura rispetto al vecchio sistema di nomina non è però radicale, dal momento che la norma concedeva al governo un vero e proprio diritto di veto, posto che nel caso di obiezioni di carattere politico generale, la Santa Sede si impegnava ad indicare il nome di un altro soggetto. Sul punto cfr. anche R.R. de la Fuente,
La situación concordataria de Argentina, cit., p. 367; P.V. Aimone Braida, L’intervento dello Stato nelle nomine dei vescovi, Città nuova editrice, p. 108-110.
l’assemblea aveva deciso, per alzata di mano, di manifestare alla Santa Sede la propria disponibilità a modificare il c. 1 dell’art. XVI e, così, di rinunciare all’autorizzazione previa della Santa Sede necessaria, a norma del Concordato, per deferire i vescovi alle autorità giudiziarie statali. Tale decisione, seppur confermata, non aveva impedito ad alcuni di insistere sulla necessità di procedere con cautela, soprattutto “en cuanto a la
jurisdicción que haya de entender en estas causas, y también en cuanto a la distinción entre los delitos comunes y los relacionados con el ejercicio del ministerio”. Per tale
motivo, la Junta invitava alla cautela, ritenendo che le cause relative ai vescovi dovessero continuare ad essere trattate dal Tribunal Supremo, come previsto dalla legge. Nella stessa seduta, l’assemblea plenaria, con 44 voti favorevoli, 14 negativi e 2 astensioni, mostrava la propria disponibilità a rinunciare, con riferimento alle cause penali in cui erano imputati chierici e religiosi, al consenso previo da parte dell’ordinario del luogo. Benché anche tale decisione era stata confermata, va rilevato come alcuni, ritenendo che in ogni caso l’ordinario dovesse essere informato, avevano suggerito non già l’eliminazione tout court del previo consenso ma la sua sostituzione con la notifica previa all’ordinario del luogo.
L’anteproyecto non riportava le risposte dei vescovi sull’art. XIX, ma individuava, prendendo ispirazione dalle proposte concrete formulate da otto prelati, alcune linee guida da seguire nella riformulazione della norma. In primo luogo, la Junta chiariva cosa non dovesse comparire nel nuovo testo: bisognava prescindere dal c. 1, poiché la creazione dell’adeguato patrimonio ecclesiastico era una fórmula arcaica, y poco
oportuna nelle circostanze attuali; la congrua dotazione non doveva essere consegnata
dallo Stato por piezas o por nómina, onde evitare che i sacerdoti potessero essere assimilati ai funzionari pubblici; nessun riferimento doveva più essere fatto alle alienazioni passate dovendosi, al contrario, basare la legittimità dei contributi statali in favore della Chiesa sulla funzione sociale che essa svolgeva al servizio del bene comune e sull’appartenenza ad essa della quasi totalità degli spagnoli. La norma doveva essere riformulata in maniera tale da prevedere il trasferimento dell’intera somma da parte dello Stato direttamente alle diocesi. Inoltre, la Junta non escludeva l’assegnazione alla Chiesa di una percentuale del bilancio generale dello Stato. Tale ipotesi non era del tutto nuova dal momento che, nel luglio del 1966, il Ministero della Giustizia aveva manifestato la volontà di sostituire il sistema di dotazione economica allora vigente con la compartecipazione della Chiesa al bilancio dello Stato (senza specificare se tale
partecipazione dovesse essere realizzata sul gettito dell’imposta sul reddito o sul patrimonio netto), eventualmente pari al 2%, e di tale idea ne era stato debitamente informato l’episcopato spagnolo che aveva espresso la sua disponibilità a studiare proposta357.
Alla materia scolastica il questionario dedicava tre domande: le prime due volte ad acclarare se all’interno degli artt. XXVI e XXVII, relativi l’uno all’obbligo per tutti gli istituti d’istruzione di qualsiasi ordine e grado, sia statali che non statali, di adeguare l’insegnamento ai principi del Dogma e della Morale della Chiesa Cattolica, e l’altro all’insegnamento della religione cattolica, come materia ordinaria ed obbligatoria, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, potesse essere espressamente prevista una deroga per le scuole delle confessioni non cattoliche legalmente riconosciute. Sebbene in entrambi i casi, la quasi totalità dei vescovi si era dichiarata favorevole ad introdurre le modifiche proposte, secondo alcuni, la revisione dell’art. XXVI doveva essere realizzata in maniera tale da non privilegiare chi non professava (o dichiarava di non professare) la religione cattolica. La nuova norma doveva semplicemente riaffermare che los alumnos
non estarán obligados a recibir enseñanza de una religión distinta de la que profesan o,
in alternativa, que la enseñanza de la religión será sustituida por otras, come ad esempio, la moral natural. La Junta proponeva di rimettere la disciplina di dettaglio a futuri accordi tra la CEE e il governo.
Elaborando le risposte ottenute in merito all’art. XXXI, il gruppo di studio suggeriva di riformularlo nei seguenti termini: El Estado Español se compromete a adoptar en el
plazo más breve posible los medios para que los alumnos que frecuentan los centros docentes de la Iglesia, de todo grado, puedan gozar, en un régimen de paridad con los demás centros docentes, la misma ayuda que disfrutan los escolares de enseñanza oficial, de suerte que también en los centros docentes de la Iglesia llegue a ser gratuita la enseñanza.
Contrariamente alle altre questioni in cui una maggioranza più o meno elevata di vescovi si era mostrata favorevole all’introduzione delle modifiche di volta in volta
357 Alla riforma dell’art. XIX era strettamente collegata la modifica dell’art. XI nella parte concernente la dotazione delle parrocchie vacanti. In proposito, dei 42 vescovi che consideravano opportuno modificare il sistema, 22 invitavano a tenere in considerazione i bisogni effettivi delle parrocchie sottolineando come fino ad allora, i fondi destinati alle parrocchie vacanti fossero stati utilizzati da molte amministrazioni diocesane per soddisfare quelle esigenze per cui non era previsto alcun tipo di aiuto economico. I vescovi, dunque, erano disposti a rinunciare a tale dotazione solo nel caso in cui si fosse ipotizzato un sistema
razonable, mentre in caso contrario ritenevano che privar a esas diócesis de tales fondos sería ruinos para las mismas.
proposte, alla domanda ¿Se revisan los articulos referentes a las asociaciones de
Acción Católica y, en general, de Apostolado Seglar? soltanto 28 avevano risposto
affermativamente, mentre 5 avevano formulato osservazioni, 12 avevano preferito non soffermarsi sull’argomento e ben 9 avevano espresso la loro contrarietà. Tale risultato non deve sorprendere, soprattutto se letto in relazione alla crisi dell’ACE e al modo, assolutamente inadeguato, in cui era stata risolta. Nessun vescovo aveva fornito valide formule per la revisione, preferendo invece esprimere alcuni desiderata: dieci ritenevano che le associazioni apostoliche non dovessero godere di privilegi a livello civile; per alcuni l’esercizio dell’apostolato doveva essere garantito alle dipendenze della gerarchia; altri ancora ritenevano necessario chiarire cosa dovesse intendersi per immediata indipendenza e delimitare, a partire dagli statuti, l’ambito di attività delle associazioni, distinguendo chiaramente tra attività “ecclesiali” e attività “civili” (per cinque vescovi ciò era già sufficientemente sancito dal vigente statuto dell’ACE); alcuni chiedevano che i diritti riconosciuti all’ACE fossero estesi anche alle altre associazioni di apostolato laico approvate dalla gerarchia; altri ancora ritenevano che i suggerimenti di cui sopra fossero già sufficientemente esplicitati nel testo attuale e che era difícil e
inoportuno intentar otras fórmulas. In considerazione di ciò, la Junta riteneva preferible dejar el artículo como está, al massimo specificando che el concepto de Acción Católica ha de entenderse conforme a la determinación del decreto conciliar.
L’ultima domanda rivolta ai vescovi riguardava l’opportunità di inserire nel Concordato un articolo volto a disciplinare in maniera organica le relazioni la CEE e tra lo Stato. Solo 27 rispondevano in maniera affermativa, altri ritenevano che fosse sufficiente il riconoscimento alla CEE della personalità giuridica e delle libertà di riunione e di espressione.
Analizzando invece i punti di minore importanza, possono essere sottolineati due orientamenti. Innanzitutto, emerge un timido tentativo di allentare l’unione con il regime per riacquistare spazi di libertà. Ciò nel duplice senso di rinuncia ai privilegi della Chiesa e riduzione dell’ingerenza statale nelle questioni ecclesiastiche. Nel primo caso, i vescovi si dichiaravano disposti a rinunciare al braccio secolare in materia di riposo domenicale (proponendo finanche l’eliminazione dell’art. V) e nei casi di uso indebito dell’abito ecclesiastico (art. XVII); nel secondo caso, la Junta riteneva che nell’assoggettare la modifica delle circoscrizioni ecclesiastiche all’accordo con l’autorità statale si riconoscesse demasiada intervención al Estado. Lo stesso può dirsi
con riferimento ai benefici non concistoriali: 47 vescovi si erano espressi in favore di un adeguamento dell’art. X al n. 28 Christus Dominus e al n. 18 Ecclesiae Sanctae, mentre pochissimi (14) avevano ritenuto opportuno introdurre la prenotificazione in favore dello Stato, suggerendo, al contrario, la soppressione dell’art. 2 dell’accordo del 1946 che prevedeva “antes de publicar los nombramientos de los Párrocos, los notificarán
reservadamente al Gobierno para el caso excepcional en que éste tuviera que oponer alguna dificultad de carácter político general”358.
In secondo luogo, i vescovi avevano proposto di affidare alla CEE la regolamentazione di talune materie in precedenza riservate alla Santa Sede, riconoscendo di fatto l’organismo quale valido interlocutore dello Stato. Così, secondo i vescovi, la CEE, insieme allo Stato, doveva occuparsi del regime delle cappellanie e delle fondazioni pie, dell’esenzione dal servizio militare per i chierici e religiosi, dell’uso dell’abito ecclesiastico o religioso da parte dei laici o da parte di quei chierici o religiosi ai quali l’utilizzo era stato interdetto con provvedimento definitivo della competente autorità ecclesiastica, dei beni culturali di interesse religioso e del riconoscimento dei gradi accademici.
4. Le relazioni Chiesa-Stato nella prima fase delle trattative per la revisione del