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L’inconciliabilità del Concordato del 1953 con la nuova dottrina della Chiesa: l’aggiornamento del testo a partire da due stud

Quando, nel 1953, venne firmato il Concordato, in Spagna la dottrina e l’opinione pubblica prevalente ritennero che si fosse “alcanzado no sólo el más ejemplar nunca

firmado en Roma, sino […] un Concordato destinado a durar por todos los siglos necesarios”287. Ben presto, però, quell’accordo esemplare iniziò a fare “agua por todos los rincones”, e ciò non a causa di “grietas abiertas con el paso de los años, sino exactamente por los mismos agujeros que entonces se dejaron abiertos”288. In

proposito, si è già notato come, sotto il profilo giuridico, l’intero articolato fosse stato redatto in maniera alquanto imprecisa, forse anche a causa dell’ “euforia de la

amistad”289 che aveva contraddistinto sia il momento delle trattative che della redazione

del testo. In effetti, lo spirito di concordia e collaborazione se per un verso aveva avuto il merito di agevolare i negoziati290, per un altro verso aveva agito da deterrente alla

predisposizione di norme sufficientemente precise su quei temi che avrebbero potuto minare il delicato equilibrio tra le parti. Di fatto, non regolamentando le materie potenzialmente conflittuali, si rimetteva alla buona volontà delle parti o a ulteriori

      

287 Equipo Vida Nueva, Todo sobre el Concordato, cit., p. 8. 288 Equipo Vida Nueva, Todo sobre el Concordato, cit., p. 8.

289 J. Giménez y Martínez de Carvajal, Temática general de la revisión del Concordato español, cit., p. 474. In questi termini si era espresso anche J. Maldonado, Los primeros años del Concordato de 1953, in

REDC, 12, 1957, p. 28.

290 J. Giménez y Martínez de Carvajal, Temática general de la revisión del Concordato español, cit., p. 473.

negoziati la soluzione dei problemi che sarebbero potuti sorgere in futuro291. Tali

peculiarità finivano, dunque, per legare indissolubilmente il testo concordato al mantenimento di un rapporto idilliaco tra i soggetti firmatari, di modo che l’eventuale incrinatura dei rapporti avrebbe portato le parti a cercare ognuna l’interpretazione più favorevole della norma292.

Non ci volle molto perché le deficienze giuridiche del testo si manifestassero. Infatti, pure nel momento di massima compenetrazione tra l’ideale politico e quello religioso, l’attuazione di quelle disposizioni che il Concordato aveva rimesso ad ulteriori accordi o che erano state redatte in maniera imprecisa si rivelò praticamente impossibile293. Nel

primo caso, ad esempio, non fu mai data attuazione all’art. XII con cui la Santa Sede e il governo spagnolo si erano impegnati a regolamentare, il più presto possibile, con un accordo, il regime delle cappellanie e delle fondazioni pie o, ancora, all’art. XIX nella parte in cui prevedeva la creazione di un adeguato patrimonio ecclesiastico che assicurasse una congrua dotazione del culto e del clero (c. 1) e la collaborazione da parte dello Stato alla creazione e al finanziamento di istituzioni assistenziali in favore del clero anziano, infermo o invalido (c. 4). Nell’ambito dell’insegnamento non erano mai state organizzate le prove speciali volte ad accertare la sufficienza pedagogica di coloro ai quali doveva essere affidato l’insegnamento della religione nelle università e nelle scuole medie statali, né predisposti gli esami per accertare la sufficienza scientifica dei candidati all’insegnamento della religione nelle scuole medie, che non fossero in possesso dei gradi accademici maggiori in Scienze Sacre (art. XXVII); le università statali non avevano mai organizzato i corsi sistematici di filosofia scolastica, sacra teologia e diritto canonico, d’accordo con la competente autorità ecclesiastica, come pure era previsto dall’art. XXVIII.

Anche nel secondo caso, l’attuazione di talune disposizioni si rivelò particolarmente complicata. Basti pensare, ad esempio, al privilegio del foro. Il primo problema si pose con riferimento all’individuazione dei titolari di tale prerogativa. In effetti, poiché a

      

291 J. Giménez y Martínez de Carvajal, Temática general de la revisión del Concordato español, cit., p. 473-475. Ma, nota I. Martín, Aciertos y desaciertos del Concordato español de 1953, in I. Martín, Sobre

la Iglesia y el Estado, Fundación Española, Madrid, 1989, p. 469 nelle materie particolarmente ostiche

“prever la celebración de un nuevo acuerdo […] es casi lo mismo que no resolver nada”.

292 Già nel 1956 si esprimeva in questo senso J. Guasp, El concordato y el derecho procesal del Estado, in AA.VV., El concordato de 1953, cit., p. 264-265; così come A. Barroso, Sacerdotes bajo la atenta

mirada del régimen franquista, Desclée, Bilbao, 1995, p. 346.

293 J.L. Acebal Lujan, El Concordato de 1953, cit., p. 359; A. de la Hera, La relaciones entre la Iglesia y

el Estado en España (1953-1974), cit., p. 11. cfr. anche V. Enrique y Tarancón, Confesiones, cit., p. 152 e

norma del codice di diritto canonico è prelato chi ha giurisdizione ordinaria in foro esterno (can. 110), il diritto in questione sarebbe dovuto essere riservato solo ad una categoria di soggetti ben determinata. Parte della dottrina, come già ricordato, aveva invece sostenuto la necessità di interpretare la norma guardando alla reale volontà del legislatore che aveva utilizzato il termine prelato in maniera impropria, volendo invece riferirsi a quanti erano espressamente menzionati dal can. 120, § 2 e, dunque, ad un novero di soggetti più ampio294.

Nel 1954, il Tribunal Supremo, con circolare del 28 gennaio indirizzata ai presidenti delle Audiencias Territoriales, stante la necessità di coordinare la legislazione statale e canonica, nel rispetto della reciproca indipendenza, forniva alcune precisazioni sulle norme concordatarie e, tra queste, sull’art. XVI295. In tale occasione si precisava, ad

esempio, che spettava al giudice richiedere all’ordinario del luogo il consenso per poter validamente processare chierici e religiosi. La richiesta - da formularsi per iscritto, includendo sia motivi per cui si riteneva necessario avviare un procedimento sia il termine di cortesia entro cui inviare la risposta296 -, poteva avere tre differenti esiti: a)

concessione dell’autorizzazione; b) nessuna risposta da parte dell’autorità ecclesiastica; c) diniego297. Al verificarsi delle ipotesi a) e b) (l’assenza di una risposta era da

intendersi come silenzio-assenso), il processo penale a carico del chierico o religioso avrebbe seguito l’iter tradizionale. Al contrario, in caso di diniego scritto, anche non motivato, da parte dell’autorità ecclesiastica, il giudice si sarebbe dovuto limitare ad allegare il rifiuto agli atti processuali e sospendere definitivamente il procedimento senza compiere ulteriori verifiche.

      

294 E.F. Regatillo, El Concordato español de 1953, cit., p. 289. Siffatta interpretazione trova conferma nello scambio di note (4-6 luglio 1957) tra la Nunziatura apostolica e il Ministero degli Esteri con cui si estendeva il diritto in questione ai superiori generali di ordini e congregazioni religiose e ai moderatori supremi delle congregazioni e degli istituti religiosi di diritto pontificio, maschili e femminili, “por actos

inherentes al ejercicio de las funciones privativas da su cargo”. Sul punto si vedano anche F. Soto Nieto, Clérigos y religiosos ante los tribunales del Estado, cit., p. 89-90; L. Gutiérrez Martín, También los clerigos bajo la jurisdicción del Estado, cit., p. 186-187; C. De Diego-Lora, La aplicación del Concordato de 1953 (27-VIII-1953), cit., p. 65-66.

295 M. Gordillo García, Los conflictos del poder judicial entre la Iglesia y el Estado (una opinión sobre su

adecuado infoque), Salamanca, 1961, p. 28.

296 F. Soto Nieto, Clérigos y religiosos ante los tribunales del Estado, cit., p. 112. Contrario all’apposizione di un termine è M. Gordillo García, Los conflictos del poder judicial entre la Iglesia y el

Estado (una opinión sobre su adecuado infoque), cit., p. 28-29.

297 M. López Alarcón, El «privilegium fori» de los eclesiásticos, con especial referencia al vigente

Concordato, in Anales de la Universidad de Murcia, Vol. XIX, n. 2, 1961, disponibile online su

http://revistas.um.es/analesumderecho/article/view/104961/99891, p. 166; F. Soto Nieto, Clérigos y

religiosos ante los tribunales del Estado, cit., p. 119-120; C. De Diego-Lora, La aplicación del Concordato de 1953 (27-VIII-1953), cit., p. 66.

La circolare ribadiva poi l’obbligo di prestare le necessarie cautele per evitare ogni pubblicità del procedimento, specificando innanzitutto in quali termini dovesse avvenire la notifica: nel caso in cui il domicilio dell’imputato fosse sconosciuto o quest’ultimo non si trovasse in casa al momento della notifica dell’atto, prima di consegnarlo ai vicini o di pubblicarlo sul Boletín Oficial del Estado o de la Provincia sarebbe stato preferibile chiedere informazioni alle autorità ecclesiastiche298. In secondo luogo, la

disposizione in oggetto definiva in maniera alquanto precisa l’obbligo di mantenimento del segreto istruttorio, come stabilito nella Ley de Enjuiciamiento criminal, e disponeva che tutte le sessioni del procedimento si svolgessero a porte chiuse299.

Per ciò che concerne la detenzione dei chierici e religiosi un’ordinanza del 22 aprile 1957 distingueva tra i condannati che erano stati ridotti allo stato laicale e restavano assoggettati al Reglamento de los Servicios de Prisiones, dagli altri chiamati a scontare la pena in una casa ecclesiastica o religiosa designata congiuntamente dall’ordinario del luogo e dell’autorità giudiziaria statale300. Tale scelta doveva essere comunicata alla Dirección General de Prisiones che poteva eccepire alle autorità suddette delle

osservazioni in ordine all’adeguatezza del luogo individuato301.

Altra questione che era venuta immediatamente in rilievo riguardava il sistema di nomina dei vescovi. Ciò per almeno due motivi. Innanzitutto, tale procedimento, che presupponeva il raggiungimento di un accordo tra le parti su una lista di possibili

      

298 M. López Alarcón, El «privilegium fori» de los eclesiásticos, con especial referencia al vigente

Concordato, cit., p. 167.

299 M. López Alarcón, El «privilegium fori» de los eclesiásticos, con especial referencia al vigente

Concordato, cit., p. 167; F. Soto Nieto, Clérigos y religiosos ante los tribunales del Estado, cit., p. 120-

121.

300 L. Gutiérrez Martín, También los clerigos bajo la jurisdicción del Estado, cit., p. 224.

301 F. Soto Nieto, Clérigos y religiosos ante los tribunales del Estado, cit., p. 136 ss..; C. De Diego-Lora,

La aplicación del Concordato de 1953 (27-VIII-1953), cit., p. 67. La circolare del 1954 non risolse i

problemi legati all’interpretazione dell’art. XVI se, nel 1968, il Ministero della Giustizia tornava a discutere del tema con motivo del progetto di circolare del Tribunale Supremo sobre la autorización de

los obispos para procesar a clérigos y religiosos. Tale progetto forniva alcuni criteri, a dire il vero

abbastanza restrittivi, per facilitare una corretta interpretazione dell’art. XVI. In particolare, riconosceva il diritto del giudice ad avviare, sempre e comunque, la fase istruttoria poiché volta semplicemente ad accertare i fatti. La circolare fissava poi il limite temporale entro cui rispondere alla richiesta di autorizzazione a procedere a dieci giorni e stabiliva che un rifiuto poteva essere opposto solo per gravi motivi che “han de estar en relación directa con los hechos enjuiciados y con la persona sometida a

proceso, o basados en razones graves de índole religiosa” non essendo sufficiente “alegar de forma genérica que la continuación de la causa penal podría redundar en perjuicio de la persona del clérigo o religioso, o producir escándalo, pues el escándalo únicamente lo produce el delito, nunca el subsiguiente proceso, ni en su caso, la sanción que se imponga”. La circolare precisava che non era ammissibile la

revoca successiva del consenso da parte dell’ordinario mentre era da considerarsi valida l’ipotesi contraria. cfr. M. Blanco, La libertad religiosa en el derecho español. Gestión de Antonio Garrigues en la

candidati, avrebbe potuto funzionare solo in una situazione di perfetta concordia302. In

caso contrario, la definizione, alquanto generica, del diritto del capo dello Stato di formulare obiezioni di carattere politico generale si sarebbe potuto trasformare, come in effetti avvenne, in un diritto di veto303, con l’ovvia conseguenza di lasciare molte sedi

scoperte. La situazione diventava più complessa nel periodo post-conciliare, a seguito della richiesta, rivolta all’autorità civile, di rinunciare ai privilegi in materia di nomine. L’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Antonio Garrigues, che pure riteneva doveroso un adeguamento ai documenti conciliari, si era mostrato contrario a una rinuncia incondizionata del privilegio di presentazione, come pure all’introduzione della prenotificazione. Nello specifico, con riferimento a tale ultimo punto Garrigues sosteneva “para que la fórmula de la presentación pueda ser sustituida por otra

igualmente eficaz no basta […[ la prenotificación, sino que es imprescindible delimitar las facultades de la Nunciatura, con una intervención fundamental de la Conferencia Episcopal española en la selección de los candidatos, de acuerdo con el Concilio y con el Motu Proprio “Ecclesia Sanctae””304. Opzione questa che sarà più volte sostenuta

dal governo nelle fasi iniziali delle trattative per la revisione del Concordato. Come si

      

302 L. Gutierrez Martín, El privilegio de nombramiento de obispos en España, cit., p. 178-179. 303 L. Gutierrez Martín, El privilegio de nombramiento de obispos en España, cit., p. 180.

304 Lettera di Garrigues a F.M. Castiella, del 25 gennaio 1967, AGUN, 010/003/161-7. Tale teoria, invero, non era nuova. Già nel 1966, Carlos Corral, in un articolo pubblicato su Ya sosteneva “al renunciar al

privilegio de presentación, el estado español podría tal vez pedir la sustitución del Gobierno por la Conferencia Episcopal en dicho privilegio”. Sul punto Equipo Vida Nueva, Todo sobre el Concordato,

cit., p. 111-112. Il motu proprio Ecclesiae Sanctae, in attuazione del n. 20 del decreto Christus Dominus, introduceva un’importante novità dal momento che consentiva alle conferenze episcopali di partecipare al procedimento di nomina di vescovi. Queste ultime, infatti, a norma del n. 10 del citato documento erano chiamate a formulare ogni anno, sotto segreto, una lista (generica) di candidati idonei all’episcopato da inviare alla Santa Sede, secondo le norme stabilite dalla Sede Apostolica (n. 10). Queste disposizioni saranno emanate dalla Santa Sede solo nel 1972. Sul punto si veda, tra i tanti, G. Delgado, Elección y

nombramiento de obispos en la Iglesia latina, in Ius canonicum, 1974, p. 283; M. Tkhorovskyy, Procedura per la nomina dei vescovi. Evoluzione del Codice del 1917 al Codice del 1983, Pontificia

Università Gregoriana, Roma, 2004, p. 128-129. Nel procedimento di nomina dei vescovi un ruolo rilevante è stato assegnato anche ai legati pontifici che a norma del n. 6 del motu proprio Sollicitudo

omnium ecclesiarum hanno l’incarico di istruire il processo canonico informativo sui candidati, e di

inoltrare i nomi dei soggetti ritenuti idonei ai competenti dicasteri romani, insieme con una accurata relazione, nella quale esprimono, coram Domino, il proprio parere e il voto sul candidato ritenuto più adatto. A differenza del n. 10 del motu proprio Ecclesiae Sanctae, in questo caso si tratta non di una lista generica, ma specifica, concernente ciò una determinata sede vacante. Il secondo capoverso regolamenta le modalità di raccolta delle informazioni. Nell’esercizio di questa funzione, il legato pontificio può chiedere, con la dovuta riservatezza, il parere di ecclesiastici e laici prudenti che ritenga possano fornire utili informazioni; deve procedere tenendo presente la competenza delle Conferenze Episcopali di cui al n. 10 del motu proprio Ecclesiae Sanctae; rispettare i legittimi privilegi accordati o acquisiti e ogni procedura speciale riconosciuta dalla Santa Sede (Sul punto si veda R. Metz, Los legados del papa y el

nombramiento de los obispos, in H. Legrand – J. Manzanares – A. García García (a cura di), Iglesias locales y catolicidad. Actas del coloquio internacional celebrado en Salamanca, 2-7 de abril de 1991,

Universidad Pontificia de Salamanca, 1992, p. 369 ss..; M. Tkhorovskyy, Procedura per la nomina dei

avrà modo di osservare più avanti, il Governo, consapevole di non poter più eludere le richieste della Santa Sede, tenterà di mantenere una qualche forma di controllo sulle nomine proponendo per un verso la limitazione dei poteri del nunzio e, per un altro, la sostituzione nel procedimento di nomina delle autorità civili con la Conferenza episcopale la cui composizione, ancora sufficientemente pro-Franco, avrebbe potuto offrire adeguate garanzie sui candidati alle sedi episcopali vacanti.

Un secondo problema riguardava i vescovi ausiliari. Che fosse stato per l’abilità diplomatica del nunzio, Gaetano Cicognani305 o, al contrario, per l’incompetenza del

ministro degli esteri spagnolo, Serrano Suñer, il procedimento di nomina degli ausiliari era rimasto ai margini dell’accordo del 1941306. La Santa Sede, come già ricordato,

nominava liberamente il soggetto designato dandone comunicazione al governo il giorno prima della pubblicazione su L’Osservatore romano307. Invero, sebbene la

questione inizi a manifestarsi con maggiore evidenza dopo la celebrazione dell’assise ecumenica e, in particolare, dopo la nomina, come nunzio in Spagna, di mons. Luigi Dadaglio308 - uomo di “enorme trascendencia para cambiar la orientación ideológica del episcopado español, que había pasado de abiertamente conservador a netamente aperturista”309 -, i primi documenti concernenti il problema degli ausiliari risalgono al

1965. Già allora, infatti, il Ministero degli Esteri, come si evince da uno scambio

      

305 Gaetano Cicognani (Brisighella, novembre 1881 - Roma, febbraio 1962) è stato segretario nella nunziatura di Madrid e, dal 16 maggio 1938 fino al 1953, nunzio in Spagna.

306 P.M. de Santa Olalla Saludes, De la victoria al Concordato, cit., p. 71.

307 V. Carcel Ortí, Nombramiento de obispos en la España del siglo XX. Algunas cuestiones canónicas,

concordatarias y políticas, cit., p. 580; M. Blanco, La libertad religiosa en el derecho español. Gestión de Antonio Garrigues en la revisión del Concordato de 1953 (1967-1970), cit., p. 20.

308 Luigi Dadaglio (Sezzadio, settembre 1914 – Roma, agosto 1990). è stato ordinato sacertote, il 22 maggio 1937. Nel 1942, ha conseguito il dottorato in utroque iure presso la Pontificia Università Lateranense e nello stesso anno è entrato nella Segreteria di Stato - Sezione per gli Affari Ordinari - allora diretta da mons. Montini. Nel 1946 è diventato segretario della nunziatura apostolica ad Haiti; nel 1950 è stato nominato uditore della delegazione apostolica negli Stati Uniti e tre anni più tardi è stato chiamato a ricoprire lo stesso incarico presso la delegazione apostolica in Canada, per essere trasferito, l’anno successivo, in Australia dove è stato cosigliere della delegazione apostolica. Nel 1958 è stato nominato consigliere della nunziatura apostolica in Colombia e nel 1960 è stato scelto come nunzio apostolico per il Venezuela. Qui è riuscito a portare a termine le trattative per la stipula di un nuovo Concordato. L’8 luglio 1967 è stato nominato nunzio apostolico in Spagna, dove è rimasto fino al 4 ottobre 1980. Per le notazioni biografiche si veda l’articolo apparso su ABC, il 9 luglio 1967, p. 67. Per un’opinione positiva sul nunzio, diversa da quella del governo che lo considerava un uomo eccessivamente politicizzato (P.M. de Santa Olalla Saludes, El Concordato que nunca llegó a renovarse, in Historia del presente, 10, 2007, p. 44), si veda la lettera di Garrigues a F.M. Castiella, del 28 giugno 1967, AGUN 010/003/243-3. 309 Così P.M. de Santa Olalla Saludes, Los Gobiernos de Arias Navarro y la Iglesia, in Misceláneas

Comillas, Vol. 71, n. 139, 2013, p. 294. Nello stesso senso J.L. Orella, La Iglesia católica española ante Juan Pablo II, in Aportes, n. 80, 2012, p. 166. V. Carcel Ortí, Nombramiento de obispos en la España del siglo XX. Algunas cuestiones canónicas, concordatarias y políticas, cit., p. 582

epistolare con Antonio Garrigues310, riteneva necessario introdurre la prenotificazione

nel procedimento di nomina di ausiliari, al fine di consentire al governo di formulare obiezioni di carattere politico generale. Al contrario, Garrigues riteneva che “en este

momento en que se prepara un texto conciliar invitando a renunciar a los privilegios, el pretender que se ampliase el nuestro (spagnolo) sería navigar contra corriente”. A

conferma della sua ipotesi, l’ambasciatore, riportava l’opinione di Mons. Samorè per cui il riconoscimento di siffatto diritto alla Spagna avrebbe potuto indurre altri Stati a rivendicarlo. D’altro canto, Samorè si mostrava disponibile al dialogo e forniva talune rassicurazioni ipotizzando, ad esempio, l’estensione alla Spagna della prassi vigente in Germania dove gli ausiliari non si trasformavano necessariamente in vescovi residenziali311. Questa opzione sarebbe stata particolarmente utile laddove si pensi che

in Spagna si era andata creando - soprattutto dopo il progressivo deterioramento dei rapporti Chiesa-Stato e della conseguente difficoltà posta dal governo per l’elaborazione delle sestine - “una puerta falsa para nombrar obispos”312: gli ausiliari, liberamente

nominati, venivano, infatti, proposti dalla Santa Sede quali candidati per le sedi vacanti e il governo, per il rispetto dovuto alla religione cattolica, non sollevava obiezione alcuna, limitandosi a presentarli313. Per l’ambasciatore era quanto mai opportuno “no condicionar la posición del Gobierno español en vista a la próxima declaración conciliar que “invitará” a quienes tienen cualquier privilegio en cuanto al nombramiento de Obispos, a que renuncien espontáneamente a él”314: piuttosto che

rivendicare il diritto di prenotificazione sugli ausiliari che poteva essere interpretato

      

310 Sul tema si veda M. Blanco, La libertad religiosa en el derecho español. Gestión de Antonio

Garrigues en la revisión del Concordato de 1953 (1967-1970), cit., p. 20 ss..

311 Lettera di Garrigues a F.M. Castiella, del l’11 febbraio 1965 custodita in AGUN, Fondo Antonio Garrigues, 010/002/128-3.

312 J.L. Acebal Lujan, El Concordato de 1953, cit., p. 362. Sul punto si veda anche J. Iribarren,

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