• Non ci sono risultati.

1270-1275 circa

tempera e argento su tavola 143 × 119 cm

Matelica (Macerata), monastero delle clarisse della Beata Mattia (Santa Maria Maddalena)

Solitamente appesa alla parete di fondo del coro delle monache del monastero della Beata Mattia, la tavola, restaurata recentemente, rappresenta Gesù croci- fisso nell’iconografia del Triumphans, con il busto praticamente eretto, gli oc- chi aperti e il volto per nulla incupito dal dolore. Eppure si tratta di una scena narrativa, tanto che dalle ferite sgorga copioso il sangue in rigagnoli rossi che si appoggiano al bordo inferiore della croce (dalle mani) o che si coagulano poco sotto il suppedaneo (dai piedi). Come specificato da Andrea De Marchi (2015, ma si veda il saggio in questo volume, a cui si rimanda anche per la fortuna critica), la croce va letta paral- lelamente alla Madonna col Bambino dello stesso pittore, proveniente dal medesimo monastero (cat. 25) come una commissione unica, volta a creare la coppia di immagini da destinare alla preghiera delle sorelle nella clausura. Il punto di stile, in effetti, è lo stesso, an- che se la Madonna aspetta una pulitura che possa ovviare all’iscurimento della vernice per recuperare la stessa brillantez- za che si vede in questa croce. Chiaramen- te si tratta dello stesso pittore spoletino, Rinaldetto di Ranuccio, firmatario di altre due croci, una conservata a Fabriano in Pinacoteca (cat. 26) e l’altra, pure datata 1265, a Bologna in Pinacoteca Nazionale. Nella seconda metà del Duecento, in realtà, l’iconografia del Triumphans era fuori moda da qualche tempo, soppian- tata in maniera eclatante dal Patiens di matrice giuntesca e poi, alla fine del nono decennio dal Cristo morto in cro- ce. Parallelamente in scultura l’iconogra- fia del trionfante viene prima moderniz- zata con le figure del Cristo deposto e poi del doloroso, o del morto, seguendo le immagini dipinte. La presenza di una raffigurazione simile in un contesto che, invece, doveva essere all’avanguardia, va spiegato in altro modo.

È vero che nell’Umbria del sud, in

particolare in Valnerina, si assiste a una stupefacente resistenza di questo mo- dello, ma in questo caso il motivo è ben preciso.

La Madonna col Bambino, anch’essa destinata alla preghiera delle monache in clausura, è una replica di poco più tarda della Madonna dei Crociati di Santa Chiara ad Assisi e viene naturale pensare che il Cristo debba replicare a sua volta un modello ancora più alto, il

Crocifisso di San Damiano, a quelle date allestito nel coro delle monache (Zappa- sodi 2018, pp. 90-95). Tanto che, anche a Matelica, c’è la tradizione che questo

Crocifisso parlasse alla beata Mattia. Si spiega allora questa figura ibrida, con il corpo eretto ma in realtà girato un po’ di tre quarti verso sinistra, come aveva fatto già Sotio, ma con tutt’altre volontà. Qui il pittore si trova a disagio nel dipingere un’immagine che non crede sua, tanto che i dolenti sono tri- stissimi e la mestizia contagia anche gli angeli sui tabelloni laterali che, evi- dentemente, hanno subito un taglio nel corso del tempo.

Rinaldetto è uno degli ultimi protago- nisti della pittura “lineare” spoletina, prima dell’affermazione fugace ma profonda del cimabuismo e poi delle novità di Giotto che conquistarono in maniera completa tutto il panorama umbro della fine del Duecento.

Questa croce è paradigmatica, anche per- ché lo stato di conservazione permette una lettura più approfondita dello stile del pittore. La pittura è tutta risentita in superficie, schiacciata nelle forme con un colore brillante, steso a campiture unifor- mi e poi movimentato da chiari e scuri. Le pieghe acquisiscono così consistenza metallica, sottolineata dal bordino bianco che segue ogni stoffa. Allo stesso modo l’incarnato è chiarissimo e poi movimen- tato da un’ombreggiatura di un rosso pro- fondo sul costato a destra, esattamente, anche in questo caso alla croce di Sotio a

Spoleto. Le costole sono tutte evocate con pennellate bianche e rosse e anche l’addo- me è pervaso di striature più chiare a mo- vimentare la superficie, lo stesso dettaglio che la Madonna ha sopra la bocca e ai lati del naso e che il pittore prende, banalizzan- dolo un po’, dal Maestro di San Francesco. Stupendo è il perizoma, di un viola profon- dissimo che si illumina con la decorazione bianca sul davanti. Rinaldetto è un pittore che scende in maniera diretta dalla pittura tradizionale spoletina del XIII secolo, autori che si sentono come antagonisti a Giunta, fino all’arrivo, negli stessi anni di questi dipinti, del Maestro di San Felice di Giano che nella croce n. 17 della Rocca Albornoz cede allo spazialismo toscano. Qui, invece, tutto è decorazione e superficie, che non vuol dire arretratezza, ma solo alterità sti- listica. Il volto di Gesù, infatti, presenta oc- chiaie rese con un tenue trapasso di colore e anche la riga più chiara che attraversa in maniera verticale la guancia è memore del- le scheggiature sugli zigomi che Cimabue e il Maestro di San Francesco, gareggiando, mettevano nei loro Patiens alla metà degli anni sessanta.

È anche la consistenza gommosa delle for- me e lo spessore del disegno a far capire la matrice spoletina di questo stile, che in effetti ha il suo parallelo migliore proprio col Maestro di San Felice di Giano, come ultima resistenza allo stile toscano che irradiava da Assisi. Saranno poi i pittori del Trecento a riformare e a declinare in un lessico tutto locale le novità giottesche.

Bibliografia: Serra 1929, p. 176; Sandberg Vavalà 1934, pp. 35-36; Garrison 1949, p. 22; G. Vitalini Sacconi, in Pittura nel Maceratese 1971, pp. 47-49, cat. 6; Nanni, in Restauri nelle Marche 1973, cat. 3, pp. 23-26; Zampetti 1988, p. 63; Todini 1989, p. 133; Gardner 1995; Fratini 1998, p. 26; Angelelli 2007, De Marchi 2009, pp. 610-611; Fratini 2011, pp. 287-288; G. Benazzi, in Da Giotto a Gentile 2014, cat. 8, pp.126-127; G. Benazzi, in Croci dip-

inte 2014, cat. 4, pp. 120-121; De Marchi 2015; Del- priori 2015, p. 29; Zappasodi 2016, p. 77; Zappaso- di 2016, p. 147; Zappasodi 2018, p. 93.

168

Rinaldetto di Ranuccio