1270-1275 circa
tempera e argento su tavola, 140 × 119, 5 cm
Iscrizioni: egosumrexre[gum] / populumquide / mortemredemi (sulla tabella in alto)
[rai]naldictus [ra] / nucidespol[eto] / [p]insitho[copus] (sul finto cartiglio in basso)
Fabriano (Ancona), Pinacoteca “Bruno Molajoli” La croce sagomata è una delle due opere che ci tramanda la firma di Rinaldetto di Ranuccio (o, nella forma arcaizzan- te Rainaldetto di Ranuccio), insieme a quella assai simile e pure datata 1265 della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Il dipinto ha il fondo d’argento e rap- presenta il Cristo in croce nella consue- ta iconografia del Patiens, con il ventre tirato e arcuato, le braccia piegate e la testa reclinata sulla spalla. L’aureola, con proporzioni più grandi del solito, è crucisegnata e presenta una decorazio- ne a perline in rilievo di pastiglia che corre lungo tutta la circonferenza. Sul potenziamento dei tabelloni ci sono i dolenti a figura intera, nella più clas- sica della tradizione delle croci umbre, entrambi tristissimi e con l’aureola se- gnata da una linea rotonda rossa con una decorazione di perline.
Il dipinto, purtroppo, non gode di un buono stato di conservazione e un nuo- vo restauro potrebbe ovviare a qualche problema di lettura, anche stilistica. Arrivato in Pinacoteca Civica dal com- plesso del Buon Gesù, che però è stato costruito alla metà del XV secolo, la croce doveva probabilmente far parte del corredo di una chiesa francescana in città, forse dal San Francesco o, più probabilmente, un monastero femmi- nile. Le dimensioni ridotte, infatti, non permettono di pensare questa tavola sopra il tramezzo di una chiesa gran- de, mentre poteva ben stare dentro un coro delle monache, stante la perfetta sovrapponibilità di dimensioni con la croce di Matelica (cat. 24).
Rinaldetto sembra diventare il pit- tore preferito delle clarisse, a partire dalle tavole per Santa Chiara ad Assi- si, poi quelle di Matelica e, possiamo
immaginare anche per questo dipin- to di Fabriano. Il modello, infatti, è senz’altro la croce, più grande, della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Il confronto fra i due dipinti sagomati è parlante: identica è la sagomatura, anche se nell’esemplare di Bologna è presente ancora la cuspide con il mez- zobusto del Cristo risorto, che non sap- piamo fosse anche a Fabriano, ma che è tipico nella variante spoletina delle croci dipinte alla metà del Duecento; identica è l’aureola molto grande, cru- cisegnata e decorata nella circonferen- za da una fila di bolli a rilievo; la croce azzurra, ormai virata in nero, è incorni- ciata da un motivo a palmette su fascia rossa per tutto il perimetro; entrambe le croci sono dipinte su fondo argento ed entrambe hanno la stessa decorazio- ne geometrica sul tabellone centrale. Unica variante, ma non molto signifi- cativa, è la decorazione del perizoma che a Bologna è semplicemente rosa, pieno di pieghe che muovono la stof- fa, a Fabriano, invece, è presente anche una doppia riga rossa che si rincorre tra il panneggio (come già nel Maestro delle Croci francescane e nella tavola di Matelica).
In entrambi i casi il suppedaneo ha una decorazione a quadrilobi dorati entro un motivo di intrecci obliqui applicati a missione che rende la tavola traver- sa come una riza bizantina contro cui si stagliano i piedi. Un’invenzione del Maestro di San Francesco che serviva a enfatizzare le ferite nei piedi, la parte più in basso delle croci e quindi quel- la più visibile dai fedeli. Il Maestro di San Francesco, però, scontorna i piedi proprio come se la decorazione fosse la coperta di un’icona o di una reliquia,
mentre Rinaldetto (e per la verità anche il Maestro delle Croci Francescane) ba- nalizza il dettaglio come una semplice decorazione.
Purtroppo la croce di Fabriano ha sofferto in passato all’attaccatura del nimbo ed è saltato il colore in corri- spondenza del volto che vediamo solo nella parte superiore (occhio sinistro, fronte e capelli) e inferiore (naso, bocca e barba). Da quanto vediamo, però, le scheggiature che ancora sono presenti a Bologna, con lo zigomo scalfito pro- prio come nella croce opistografa del Maestro di San Francesco della Galleria Nazionale di Perugia, lasciano il campo a una pittura più liquida e meno rigida. La barba si confonde con il mento in una soluzione evocativa e assai elegan- te e anche l’incarnato è più morbido, pervaso da segni di verdaccio a segnala- re la muscolatura sulle braccia e sul bu- sto. Si dovrà pensare, allora, che questo dipinto sia più tardo di qualche tempo rispetto al 1265 iscritto sulla croce di Bologna e che debba stare accanto alle tavole di Matelica. In queste, in realtà, è maggiore l’attenzione verso i riflessi chiari sulle carni, un dettaglio che viene diretto dal Maestro di San Francesco e che forse denuncia una cronologia leg- germente più alta.
Bibliografia: Venturi 1915, pp. 1-4; Gnoli 1923, p. 314; Sandberg Vavalà 1929, pp. 741-743; Garrison 1949, pp. 26, 211, 213; Severi alias Ragghianti 1962, p. 49; F.M. Aliberti Gaudioso, in Mostra di
opere d’arte restaurate 1969, pp. 13-16; Zampetti, 1988, p. 63; Todini 1989, p. 305; G. Benazzi, in Da
Giotto a Gentile 2014, cat. 5, pp. 120-121; M. Mas- sa, in Croci dipinte 2014, cat. 6, pp. 124-125 (con ampia bibliografia precedente); De Marchi 2015; Delpriori 2015, p. 29.
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Officina toscana
27. Turibolo
fine del XII-prima metà del XIII secolo bronzo, 15,6 × 10,8 cm
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. OR 56
Provenienza: Firenze, Galleria degli Uffizi
Il turibolo ha forma sferoidale. L’emi- sfero della coppa poggia su una piccola base tronco-conica e sulla sua superfi- cie si alternano sei baccellature a punta di diamante alternate a specchiature rettangolari; in queste ultime, delimita- te da una cornice perlinata, si presenta- no figure di uccelli affrontati e divisi da un tralcio vegetale terminante in alto con una foglia cuoriforme oppure serie di cerchi che accolgono motivi fogliacei e floreali. Tali motivi si ripetono, trafo- rati a giorno, nella coppa, sormontata da una lanterna a capanna chiusa da un tetto conico, al colmo del quale è saldato l’anello per la catena centrale; le tre catene restanti, collegate al piat- tino (che sembra frutto di un recente restauro), passano attraverso le tre ma- glie saldate e allineate lungo il profilo modanato di coppa e coperchio. Questo genere di incensiere, caratte- rizzato dalle sue robuste e spigolose baccellature, quasi idee di contraffor- ti, sembra riproporre in modo assai più moderato le acrobatiche ricerche architettoniche transalpine, capaci di generare poderose strutture a pianta centrale, come nel caso dell’esemplare turibolo di Gozbertus del Tesoro del Duomo di Treviri, della seconda metà del XII secolo (ill. a). Grazie a un am- pio e rigoroso sistema di confronti, Westermann-Angerhausen (2014, pp. 194-203, 414-415, 490-497; serie II.O) ha consolidato autorevolmente quanto i precedenti tentativi di inquadramen- to di questo tipo di oggetto avevano già individuato a grandi linee (Braun 1932, p. 613; Hueck 1982, p. 182, scheda 11.5, Collareta, Capitanio 1990, pp. 1-2, sche- da 1; Del Grosso 2012, pp. 29-32, 70, scheda 8.A), vale a dire l’assegnazione a una manifattura italiana e l’indicazione di una cronologia tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Sembra tuttavia ancora più prudente mantenere larga la cronologia per buona parte del XIII
secolo: sia per una serie di osservazioni sulla diffusione dei motivi ornamentali nell’arte tessile che per alcune riflessio- ni sulla permanenza delle matrici per realizzare i sistemi ornamentali che ravvivano le specchiature.
Questo turibolo mostra, inoltre, cla- morose somiglianze con quello pro- veniente da Santa Margherita a Ta- ena (ill. b) (Del Grosso 2012, n. 3.A; Westermann-Angerhausen 2014, n. II.O.13) e del Detroit Institut of Arts
(Westermann-Angerhausen 2014, n. II.O.15; proviene dal mercato anti- quario italiano), nei quali si ripete lo stesso motivo ornamentale dei volatili affrontati e divisi da un tralcio vege- tale con foglia cuoriforme. Sempre riflettendo sui motivi delle specchia- ture, è ancora possibile avvicinare l’e- semplare del Museo del Bargello ad altri cinque incensieri nei quali, nella stessa combinazione, tornano associa- ti con regolarità due tipi di palmetta
a. Turibolo di Gozbertus. Treviri, Tesoro del Duomo
c. Distribuzione delle croci a bracci patenti (losanga), croci a bracci diritti (quadrato) e turiboli sferoidali (cerchio)
b. Turibolo. Arezzo, Museo di arte medievale e moderna, inv. Fraternita 19214 (da Santa Margherita a Taena)
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e un giglio (Firenze, Museo Stibbert; Città di Castello, Museo del Duomo; Pe- rugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, Parigi, Musée Nationale du Moyen Âg- e-Thermes de Cluny: Del Grosso 2012, pp. 38-40). Anche in questi casi la de- corazione degli spazi rettangolari è af- fidata a rettangoli con figure intere (an- geli, animali mitici, volatili affrontati) e rettangoli occupati da tre cornicette circolari con motivi vegetali. Occorre, a questo punto, notare come queste rela- zioni siano rappresentate da esemplari in buona parte conservati in territorio italiano. A ciò si aggiunga che la serie
“II.O”, individuata da Westermann-An- gerhausen sulla base di più di trenta esemplari, presenta un nucleo piutto- sto importante di opere provenienti dal mercato antiquario italiano (cinque, tre delle quali dall’Italia centrale) e sei ope- re ancora dotate di indicazione di pro- venienza dal territorio (quattro ancora conservate in Italia centrale, senza con- tare l’esemplare in esame). Tutto questo sommato, e fatti i dovuti confronti con turiboli sferoidali analoghi (Del Grosso 2012; Westermann-Angerhausen 2014) si può ragionevolmente ritenere che l’a- rea di produzione di queste opere sia
da individuarsi nell’Italia centrale, pre- sumibilmente in un’ampia fascia com- presa tra la Toscana centrale a ovest e la catena appenninica a est, stessa area nella quale risulta particolarmente den- sa la distribuzione delle provenienze di croci a bracci patenti (Certaldo), croci a bracci diritti (Cortona) e i nostri turi- boli (ill. c).
Bibliografia: Hueck 1982, p. 182, scheda. 11.5, Collareta, Capitanio 1990, pp. 1-2, scheda 1; Del Grosso 2012, pp. 29-32, 70, scheda 8.A; Wester- mann-Angerhausen 2014, p. 199, scheda II.O.17.
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Officina toscana
28. Turibolo
fine del XII-inizio del XIII secolo bronzo, 17,5 × 9 cm
Cortona (Arezzo), Museo Diocesano.
Provenienza: Cortona, chiesa di Santa Caterina alla Fratta
La forma sferoidale del turibolo, che poggia su una piccola base tronco-coni- ca, è data dall’efficace corrispondenza delle due semisfere che costituiscono il braciere e il coperchio, differenziate solo dalle aperture a giorno del coper- chio, operate per consentire l’ingresso dell’aria necessaria a ravvivare le braci e far uscire il fumo generato dalla com- bustione dell’incenso. Al sommo del coperchio, sormontato da una piccola lanterna traforata chiusa da un tetto a capanna, è saldato l’anello per il passag- gio della catena centrale; le tre catene esterne, lungo le quali il coperchio può scorrere, passano per le apposite cop- pie di anelli saldate lungo i bordi moda- nati della coppa e del coperchio e sono raccolte da un disco presumibilmente di epoca posteriore.
L’ornamentazione delle superfici è af- fidata a coppie di leoni affrontati; cia- scuno di essi è racchiuso da un nastro scanalato a “V” che forma una cornice tondeggiante. Gli spazi rimanenti sono decorati con fogliette simmetriche (al di sotto delle cornici), un volatile ripro- dotto frontalmente ad ali spiegate (al di sopra) e, solo nel coperchio, numerosi pertugi triangolari.
Il turibolo del Museo Diocesano di Cortona appartiene a un gruppo di in- censieri sferoidali che, all’interno del nutrito insieme di incensieri riferibili all’area toscana che comprende anche quello del Museo Nazionale del Bar- gello qui in mostra (Del Grosso 2012,
passim), si caratterizza per un impian- to decorativo giocato sulla successione di cornici circolari contenenti volute vegetali o figure araldicamente con- trapposte. Le analogie nell’impiego delle immagini consentono di colle- garlo significativamente al coperchio del turibolo proveniente da San Pietro a Calbi ora nel Museo del Duomo di Arezzo (ill. b) (Del Grosso 2012, p. 91, scheda 27.C), mentre la spigolosità e
una certa rigidezza delle fasce scana- late lo avvicina alla coppa del Museo di Palazzo Venezia a Roma, inv. PV 5230 (ill. c) (ivi, p. 89, scheda 26.B). Secondo la classificazione di Wester- mann-Angerhausen, il turibolo è ri- conducibile a una serie attribuibile a un’officina italiana attiva tra la fine del
XII e l’inizio del XIII secolo (Wester- mann-Angerhausen 2014, pp. 188-193, 485-489; serie II.N). In questa serie, per somiglianza con l’esemplare corto- nese nell’impiego del motivo dei leoni affrontati, spiccano sei esemplari di collocazione ignota o conservati pres- so musei stranieri, dove non di rado
a. Frammento di mosaico pavimentale dalla basilica di Santa Maria, Arezzo, colle di Pionta, oratorio di Santo Stefano
b. Turibolo. Arezzo, Museo Diocesano (dalla chiesa di San Pietro a Calbi) c. Coppa di turibolo. Roma, Museo di Palazzo Venezia
177 sono giunti attraverso il mercato anti-
quario (ivi, nn. II.N.1-6). La particolare scelta di organizzare la decorazione attorno a coppie di animali affronta- ti richiama lo schema delle cosiddette ruote, assai diffuse nell’arte tessile di ogni tempo e presenti con diffusione di esempi, anche locali, nella scultura e nelle decorazioni pavimentali a mo- saico; valga, per quest’ultima, quella dell’antica cattedrale aretina sul colle
del Pionta, databile alla seconda metà dell’XI secolo, nella quale è ancora possibile rinvenire una coppia di fiere affrontata e a fauci spalancate racchiu- sa in una doppia cornice vegetale ton- deggiante rinserrata, in alto e in basso, da fogliette trilobate (ill. a). Questa osservazione contribuisce ulterior- mente a collegare l’attività dell’offici- na responsabile dell’incensiere al ter- ritorio dell’Italia centrale, con buona
probabilità toscano o prossimo all’area umbra, e ne segnala la costante capaci- tà di appropriarsi e adattare per que- ste piccole opere motivi compositivi di ampia diffusione impiegati in opere differenti per tecnica e dimensioni.
Bibliografia: Maetzke 1992, p. 192; Capitanio 2007, p. 132; Del Grosso 2012, p. 92, scheda 28.C.
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29a-e. Cinque matrici per sigilli dall’Italia centrale Incisore marchigiano (?)