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La cittadinanza nelle scienze sociali

3.2 QUALE CITTADINANZA? UN CONCETTO POLIMORFO

3.2.2 La cittadinanza nelle scienze sociali

La cittadinanza entra a pieno titolo nella riflessione sociologica internazionale a partire dall’importante contributo apportato da Thomas Humphrey Marshall, il quale durante la lecture commemorativa dell’omonimo economista Alfred Marshall, tenuta all’Università di Cambridge nel 1949, ha posto a tema la cittadinanza nei termini di una categoria sociologica fondamentale65. Il padre degli studi sociologici sulla cittadinanza ha definito questo oggetto di analisi:

«uno status che viene conferito a coloro che sono membri a pieno diritto di una comunità. Tutti quelli che posseggono questo status sono uguali rispetto ai diritti e ai doveri» [Marshall 1976, 24].

Tale concetto viene così a rappresentare una forma di uguaglianza umana fondamentale [Hobhouse 1928; Weber 1999] inestricabilmente connessa alla piena appartenenza ad una comunità [Parsons 1976; Durkheim 1996]. I due principi definitori della cittadinanza, che continueranno a indirizzare la riflessione sociologica, sono dati dall’aspetto più propriamente sociale dell’appartenenza collettiva e da quello formale e giuridico delle garanzie individuali e dei diritti. Per quanto attiene alla visione formale della cittadinanza, Marshall illustra compiutamente tale profilo attraverso uno sguardo retrospettivo sulla formazione storica dello status giuridico. A partire dall’affermarsi delle moderne democrazie industriali, la cittadinanza ha potuto definire i suoi contenuti e sviluppare i rispettivi diritti, in forma graduale ed espansiva. Inizialmente, attraverso l’istituzione dei diritti civili, che trovano la loro fondazione nella Gloriosa Rivoluzione del 1688 e sono espressi dall’Habeas Corpus, si diffonde l’idea della fondamentale uguaglianza e dell’inalienabile dignità di tutti gli individui, in netta discontinuità rispetto alle logiche di ceto o di status ereditarie. La possibilità, inaugurata dalla cittadinanza, di un superamento della struttura cetuale e delle appartenenze tradizionali, coinvolge direttamente l’individuo e le logiche del mercato. In virtù delle possibilità garantite ad ogni soggetto di impegnarsi nella

65 A partire dalla rilettura del concetto di cittadinanza elaborato da Marshall, il dibattito che ne è

scaturito ha interessato molteplici voci del panorama sociologico: Bendix 1969; Dahrendorf 1970 e 1989; Parsons 1975; Giddens 1982 e 1985; Turner 1986 e 1993; Held 1989 e 1992; Barbalet 1992; Habermas 1992; Zincone 1992; Clarke 1994; Soysal 1998; Kymlicka 1999; Donati 2000; Delanty 2000 e 2001; O’Neill 2002; Isin - Turner 2002.

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sfera economica, come unità indipendente rispetto alla stratificazione sociale tradizionale, la libertà acquisisce una valenza non solo teorica ma pragmatica e normativa. Ed ecco che la formulazione civile della cittadinanza si traduce, in un primo momento, in un indispensabile strumento per lo sviluppo dell’economia di mercato. Successivamente, con il Reform Act del 1832, hanno fatto il loro ingresso nell’alveo delle proprietà formali della cittadinanza moderna i diritti politici. Questo secondo passaggio non comporta, a differenza del precedente, una trasformazione dell’assetto sociale o la creazione di nuovi diritti, quanto piuttosto l’estensione di diritti preesistenti a nuovi strati di popolazione. Le classi lavoratrici vengono introdotte nelle istituzioni elitarie delle democrazie liberali, aprendo di fatto la strada al riformismo delle politiche egualitarie. Infine, si sono affermati i diritti sociali, con un netto ritardo rispetto ai precedenti, poiché la loro piena attuazione ha preso avvio solo a partire dalla metà del Novecento. Benché anche in precedenza vigesse una forma pubblica di assistenza sociale, la sua fruizione era considerata discriminante, poiché chiunque facesse ricorso a tali servizi rendeva manifesta la propria condizione di disagio e indigenza. Se da un lato i diritti civili affermavano la libertà del cittadino, i diritti sociali, così concepiti, annullavano tale libertà negando alla radice l’autonomia del soggetto, in quanto considerato incapace di badare a se stesso [Marshall 1976]. Con la piena affermazione dei diritti sociali viene assicurata una riduzione dei rischi e delle insicurezze dei cittadini, attraverso la garanzia, data a tutti i soggetti, di potere fruire dei beni essenziali.L’autore attribuisce una particolare importanza a questa terza classe di diritti in virtù della possibilità da essi inaugurata di conferire alla cittadinanza un reale potere costruttivo, attraverso una configurazione sociale più equa. La logica dello status universale del cittadino, prima in perfetta sinergia con la logica mercantile del contratto, si è trovata infine a configgere con quelle istanze che ne avevano decretato le origini. Quanto Marshall ottimisticamente prevede, in linea con la sua interpretazione storica della cittadinanza moderna, è la fine della competizione sociale ottenuta mediante la piena realizzazione delle tre dimensioni (civile, politica e sociale) della cittadinanza. La cittadinanza finisce per assurgere al rango di principio organico di sicurezza personale, attraverso la simultanea incorporazione dei principi di autonomia, libertà, sicurezza e benessere.

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Benché la risonanza dell’elaborazione storico-concettuale della cittadinanza proposta da Marshall, qui sinteticamente presentata, abbia da subito raggiunto un’ampia condivisione ed un diffuso accordo accademico, non sono mancate le voci più critiche. Rivolto al processo storico di formazione della cittadinanza, Giddens [1982]66 ha preso le distanze dall’interpretazione marshalliana, ponendo l’accento sulla conflittualità sia sociale che politica che ha consentito il pieno sviluppo dei diritti di cittadinanza. Di contro a una visione lineare e progressiva, Giddens ha affermato la portata rivoluzionaria del conflitto di classe come strumento imprescindibile del mutamento sociale e di conseguenza della formazione della cittadinanza moderna:

Da un punto di vista più sostanziale, Barbalet [1992] ha contestato l’inclusione dei diritti sociali all’interno della definizione di cittadinanza. Questi ultimi, a differenza dei diritti civili e politici, che attribuiscono un potere soggettivo all’individuo in opposizione rispetto allo stato, sono orientati al contrario alla fruizione di benefici forniti dallo stato al cittadino67. Essi risentono, pertanto, di una capacità attuativa necessariamente limitata dalle disponibilità di risorse pubbliche e dalle aspettative sulle prestazioni dei cittadini. In questo senso, Barbalet sostiene la portata sostanzialmente aleatoria dei diritti sociali rispetto a una definizione di cittadinanza. I diritti sociali, possono configurarsi di converso come delle conditional opportunity, ovvero delle condizioni strumentali all’esercizio dei diritti civili e politici.

L’aspetto d’interesse più strettamente sociologico della cittadinanza, proposto da Marshall, risiede nel criterio di appartenenza del soggetto ad una comunità. Oltre alla dimensione giuridico-formale dei diritti (che nondimeno contempla importanti aspetti del sociale, come la relazione tra l’individuo e lo stato, la differenziazione sociale e lo spazio delle libertà soggettive), la dimensione sociale dell’appartenenza rappresenta l’elemento chiave per l’interpretazione del legame materiale e immateriale tra il soggetto e la collettività nella quale è inserito. Vincolo che, d’altra parte, è posto a fondamento dell’esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Uno dei caratteri maggiormente innovativi

66 Una critica analoga viene mossa tra gli altri anche da: Dahrendorf [1970]; Held [1989]; Offe

[1985]; Turner [1986]; Vandenberghe [1999].

67 In un saggio dal titolo Reflections on Power Marshall [1969], venti anni dopo la comparsa di Citizenship and Social Class, sostiene che i diritti sociali appartengono agli individui intesi come consumatori, attestando la differenza qualitativa di tali diritti rispetto a quelli politici e civili.

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dell’appartenenza, sancito dalla categoria di cittadinanza, risiede nel passaggio da un legame culturale e tradizionale in senso etnico ad un legame politico tra il soggetto e le istituzioni preposte al governo di un determinato territorio. La

membership propria ed esclusiva della cittadinanza moderna è pertanto svincolata

dall’ideale di un’appartenenza esclusiva fondata sul legame identitario etno- culturale ad essa corrispondente; ma in linea con le formualzioni giusnaturalistiche assume un carattere universale e razionale, in grado di giustificare la sua esistenza formale anche in assenza di un’identità condivisa [Prosperi 2016]. Il legame tra appartenenza e cittadinanza descrive le condizioni di possibilità per il godimento di determinati diritti spettanti ai cittadini, contribuendo in tal modo a definire chi è il soggetto. In virtù del suo essere cittadino, l’individuo dà forma a una parte della sua soggettività individuale e relazionale, stabilendo da quale posizione sociale può guardare al mondo. Così come l’enucleazione dei diritti connessi alla cittadinanza ha posto diverse questioni di carattere sia teorico che empirico; allo stesso modo, il criterio di appartenenza originariamente legato all’ordinamento moderno dello Stato- nazione, viene oggi considerato un dato non più inoppugnabile. Nel contesto contemporaneo sta emergendo una tendenza alla concettualizzazione di una forma di cittadinanza che supera i limiti di appartenenza statuali, legata al più generale processo di deterritorializzazione della vita economica e sociale. Si osserva la concreta possibilità di immaginare una cittadinanza multilivello [Maas 2013] o flessibile [Ong 1999] nella quale l’attore sociale è coinvolto in più di una comunità politica delimitata localmente, nazionalmente o globalmente. Un caso particolare ed unico nel suo genere viene offerto dall’istituzione della cittadinanza europea, che verrà ora indagata nei suoi presupposti giuridico-formali e nei suoi effetti politico-sociali.